LA COMBINAZIONE DELLO SHOCK ECONOMICO CON LO SHOCK NORMATIVO È STATA INDISPENSABILE, COME UNA SORTA DI DEFIBRILLATORE, PER RIATTIVARE LE ASSUNZIONI STABILI E RIMETTERE IN MOTO I MECCANISMI CHE PRODUCONO AUMENTO DELL’OCCUPAZIONE
Intervista a cura di Alberto Galimberti, in corso di pubblicazione sul mensile Segno, organo dell’Azione Cattolica, febbraio 2016 – In argomento v. anche l’intervento degli economisti Marco Leonardi e Tommaso Nannicini Non è affatto una ripresa senza lavoro.
Pietro Ichino, giuslavorista, senatore del Pd, un passato a trazione riformista nella Cgil, da sempre fautore di un progetto d’innovazione e ammodernamento del mercato del lavoro, è considerato, unanimemente, il padre nobile del Jobs Act. Sulla natura del provvedimento, cuore della riforma pervicacemente perseguita dal premier Matteo Renzi, ha scritto un saggio, Il lavoro ritrovato (Mondadori), per fare un po’ di chiarezza, riconducendo dibattito, cifre e valutazioni nella loro giusta misura.
Professor Ichino, il Jobs Act sta producendo gli effetti sperati?
Sulla qualità del flusso delle nuove assunzioni, direi proprio di sì: un incremento del 37 per cento delle assunzioni stabili nel corso del 2015 rispetto al 2014 costituisce un risultato davvero di grande importanza.
Sullo stock dell’occupazione, però, l’aumento si misura ancora con uno zerovirgola.
È vero. Ma nessuno poteva pensare che una legge entrata in vigore per un quarto a marzo, un altro quarto a giugno e l’ultima metà a settembre del 2015 potesse produrre entro la fine dell’anno un aumento degli investimenti con risultati occupazionali immediatamente visibili. Incominceremo a vederlo probabilmente nel giro di quest’anno.
Le cifre, si sa, spesso sono piegate in base alle convenienze di parte. Alcuni, per esempio, accreditano l’aumento dei contratti a tempo indeterminato ai generosi sgravi contributivi concessi alle imprese, sminuendo gli effetti del Jobs Act.
Nel 2015 il Governo è intervenuto su di un mercato del lavoro letteralmente infartuato con due misure molto incisive, combinate tra loro, usate come una sorta di defibrillatore: uno shock normativo e uno shock economico. Le analisi econometriche ci diranno, fra qualche mese, quanta parte dell’aumento delle assunzioni stabili sia un effetto causato dal primo e quanta parte dal secondo; ma molti economisti pensano che probabilmente ciascuna delle due misure, da sola, avrebbe prodotto un effetto inferiore alla metà di quello che si è verificato.
E quando l’incentivo economico sarà cessato, cosa accadrà?
Non credo che assisteremo a una riduzione delle assunzioni stabili: anzi, penso che l’incremento sia destinato ad assumere dimensioni ancora maggiori via via che la filosofia del “contratto a tutele crescenti” si radicherà nella cultura diffusa del nostro Paese.
Quali sono i prossimi capitoli da affrontare?
Il salario orario minimo, che deve fare il Governo, e la conseguente riforma della struttura della contrattazione collettiva, che devono fare sindacati e imprenditori.
Angela Merkel ha lodato il governo italiano, particolarmente in riferimento al Jobs Act. Un segnale positivo anche per la nostra politica europea?
Sì: è solo sanando le piaghe antiche del nostro sistema economico che possiamo conquistarci la fiducia dei nostri partner del centro e nord-Europa e porre le basi per una vera integrazione europea.