UNA PROPOSTA: FLESSIBILIZZIAMO, PARIFICANDOLO, IL LIMITE DI ETA’ PER IL PENSIONAMENTO DI DONNE E UOMINI; AL TEMPO STESSO UTILIZZIAMO I RISPARMI CHE NE CONSEGUIRANNO PER RAFFORZARE E INCENTIVARE IL LAVORO FEMMINILE
Questa è la risposta in forma di lettera aperta – in corso di pubblicazione su la Repubblica del 28 ottobre 2008 – di un gruppo di parlamentari e di studiosi ed esperti in materia di welfare all’invito del ministro Sacconi per la discussione sul suo Libro verde, pubblicato nella primavera scorsa.
Signor Ministro, nelle 25 pagine del suo Libro Verde “La vita buona nella società attiva”, ci sono delle grandi assenti: le donne. Se è vero ‑ come lei scrive – che “vita buona” può esserci in una società attiva, ci chiediamo come possa sfuggire che in Italia le cifre più allarmanti su servizi di assistenza all’infanzia e sul mercato del lavoro riguardino proprio una parte importantissima della popolazione, quella femminile.
Se di “società attiva” vogliamo parlare, partiamo da chi – secondo le statistiche – ufficialmente attivo non è, ma ufficiosamente occupa gran parte della propria giornata a fare da “tappabuchi” a un welfare che non c’è, non ha un impiego perché non riesce a conciliare le cure ai bambini o agli anziani con l’orario di lavoro, oppure perché è scoraggiato dalla bassa domanda da parte delle imprese. Una società che vuole essere attiva e vuole raggiungere “la buona vita” non può certo disinteressarsi di circa tre milioni e mezzo di donne inattive che vorrebbero lavorare ma non possono farlo. In una situazione economica precaria e grave come quella di questi giorni, può apparire totalmente fuori agenda parlare di occupazione femminile e riforme possibili. Tuttavia è forse proprio questa congiuntura non felice a render necessario uno sforzo comune per non abbandonare le donne italiane, maggiormente esposte ai rischi dei tagli sui servizi che probabilmente ci saranno e a essere scartate dalle imprese italiane in affanno, con un ulteriore aggravio dei gap occupazionali e della vulnerabilità sociale. Ci sono piccole e grandi manovre possibili per tamponare l’emergenza e riprendere il passo. Occorrerebbe intanto avere una mappatura precisa sui servizi di cura e assistenza. Nel settembre 2006 fu istituito un Piano straordinario per i servizi della prima infanzia dall’intesa in Conferenza Unificata tra il Governo, le Regioni e le autonomie locali, per sviluppare una rete di asili nido e di servizi integrativi sul territorio nazionale. Dei 743 milioni stanziati ne sono stati spesi solo 105.Una simile osservazione vale anche per i fondi europei destinati all’occupazione femminile. Vogliamo cercar di capire insieme perché questi fondi non siano stati spesi e che fine abbiano fatto?
Esiste poi la possibilità di una piccola rivoluzione a costo zero per lo Stato che proviamo a riproporre, una annosa affaire che non pare interessare molto la politica: l’equiparazione dell’età pensionabile. La questione non può più essere elusa, considerati i venti di crisi e una probabile salatissima multa ai danni dell’Italia conseguente alla procedura d’infrazione della Corte europea per discriminazione retributiva: in un sistema totalmente contributivo in cui tanti più anni di versamento dei contributi si hanno, quanto più aumenta l’importo della pensione di vecchiaia, stabilire per legge che una donna debba avere meno anni di contributi di un uomo, è a tutti gli effetti una discriminazione retributiva. Per altro verso, una maggiore flessibilità per tutti nella scelta del momento del pensionamento sarebbe pienamente compatibile con la logica del regime pensionistico contributivo. Come auspicato nel suo Libro Verde è necessaria una ristrutturazione della spesa del welfare che tocchi le voci più costose e meno sostenibili – pensioni e sanità – anche alla luce dei preoccupanti trend demografici del nostro Paese e l’aumento dell’età media, specialmente delle donne. Ed è qui che azzardiamo una ipotesi: perché non una riforma del welfare che passi anche attraverso l’equiparazione di un’età pensionabile resa al contempo più flessibile? In quest’ordine di idee, si potrebbero vincolare i risparmi derivanti dall’ equiparazione alla creazione di servizi che aiutino le donne nella conciliazione della vita familiare e lavorativa. Questa proposta è peraltro in linea con l’appello avanzato in queste ore da Ignazio Visco, vice direttore generale della Banca D’Italia, che evidenzia come per il mantenimento e l’espansione del livello di vita raggiunto nel nostro Paese, occorra lavorare di più e più a lungo. Infine, sull’occupazione femminile, occorre forse ricordare un paio di aspetti più appetibili e che non seguono certo logiche buoniste. In un periodo in cui si parla molto di qualità nel mondo del lavoro e merito, occupazione femminile è spesso sinonimo di qualità: le donne non temono certo la meritocrazia, anzi, la richiedono, anche perché secondo tutte le statistiche paiono essere in molti campi più brave dei colleghi uomini. Inoltre, se ci impegnassimo il minimo indispensabile sul fronte occupazionale, favorendo l’ingresso sul mercato del lavoro italiano di appena 100 mila donne in più nell’arco di un anno, ciò si tradurrebbe in un incremento del PIL corrente dello 0.3%. Siamo oggi nelle condizioni di poter rifiutare qualità, sviluppo e crescita declinate al femminile? Vogliamo discuterne insieme e impegnarci a trovare delle proposte praticabili?
Sen. Emma Bonino, sen. Pietro Ichino, on. Linda Lanzillotta, prof. Fiorella Kostoris Padoa Schioppa, sen. Donatella Poretti, sen. Nicola Rossi, on. Rita Bernardini, on. Maria Antonietta Farina Coscioni, sen. Maria Leddi Maiola, sen. Francesca Maria Marinaro, Stefania Sidoli- Direzione Generale Studi e Ricerche INPS, on. Elisabetta Zamparutti
Per adesioni e commenti: equiparare@yahoo.it