IL GIOCO AL RIBASSO NELLA RES PUBLICA: QUALE CULTURA PER QUALE PERFORMANCE?

SECONDO UNA DEFINIZIONE ELABORATA DAGLI STUDIOSI DELLA MATERIA, LA CULTURA DI UN’ORGANIZZAZIONE PUO’ ESSERE DEFINITA COME “CIO’ CHE Sl FA QUANDO SI PENSA CHE NESSUNO STIA GUARDANDO”. QUAL E’ LA CULTURA DEL NOSTRO GOVERNO NAZIONALE?
Lettera (ma in realtà è un vero e proprio piccolo saggio) pervenuta il 2 giugno 2009

Caro Senatore,
mi spingono a scriverle gli eventi più recenti in cui vedo coinvolto il Presidente del Consiglio italiano: vorrei proporle la chiave di lettura di uno studioso di scienza dell’organizzazione.

Alla base di trasparenza, responsabilità e miglioramento dei prodotti e servizi erogati da un’organizzazione è la definizione del concetto di performance. In alcuni contesti, come il settore pubblico, questa formulazione è particolarmente ardua, data la sua complessità e la moltitudine di stakeholder coninvolti nell’erogazione e uso dei servizi stessi.

Attravero l’utilizzo di strumenti già affermati – come mappe strategiche (strategy map), analisi degli attori coinvolti (stakeholder analysis) e mappe del valore (value stream map) – si possono sviscerare gli aspetti sostantivi della performance (efficienza, efficacia, qualita’, etc.).

Allo stesso tempo, però, ci sono degli aspetti simbolici della performance – ‘esibizione’ come in un teatro o in un campo da calcio -, che sono più difficili da esplicitare. In questo caso, la performance viene definita da chi eroga, ma anche da chi usufruisce del servizio, allo stesso modo in cui un pubblico può applaudire o fischiare un’opera o un atleta.

Uno dei fattori chiave determinanti degli aspetti sia simbolici sia sostantivi della performance è la cultura organizzativa (organizational culture). L’erogazione di un servizio, infatti, dipenderà da come i lavoratori si comportano all’interno dell’azienda (se sono efficienti, produttivi, etc.) e dal modo in cui si interfacciano col pubblico.
La cultura di un’organizzazione puo’ essere definita come ‘il modo in cui si fanno le cose qui’ (the way things get done around here), oppure ‘cosa facciamo quando pensiamo che nessuno ci stia guardando’ (what we do when we think no one is watching) [1]. Queste semplici definizioni dimostrano come le convinzioni e motivazioni alla base dell’operato di individui e gruppi di persone possano essere influenzate solo parzialmente dal monitoraggio e controllo delle loro azioni.Oltre a sistemi formali di valutazione, infatti, per influenzare la cultura di un’organizzazione bisogna far leva anche su elementi spesso informali e impliciti (storie, simboli, riti, rapporti di potere etc.). Gli elementi formali e informali sono tanto piu’ efficaci quanto sono supportati dai leader nell’organizzazione.
Gli eventi che hanno recentemente coinvolto il Presidente del Consiglio italiano sono problematici da vari punti di vista. Dalla prospettiva della performance e della cultura – in questo caso nazionale e non più solo organizzativa – l’operato di un Presidente del Consiglio, infatti, è fondamentale. Determinare cosa sia lecito e cosa non lo sia – da un punto formale (legale) come da quello informale – può avere un impatto significativo sul modo in cui si pensa che ‘sia giusto fare le cose’ e su che cosa costituisca una performance accettabile o no. Utilizzare fondi pubblici per scopi privati o nominare candidati per le elezioni europee sulla base dell’aspetto fisico o di rapporti interpersonali possono allargare le maglie della cultura nazionale. Se accettate dal pubblico, infatti, entrano a far parte della ‘cultura’, cioe’ della normalita’, ‘del modo in cui si fanno le cose qui’.
L’argine a questo tipo di fenomeni, se lo si vuole porre, può venire da due parti. Dalle autorità che dovrebbero controbilanciare il potere del leader: in questo caso dai tanto vituperati giudici e Parlamento (in un contesto lavorativo dal top management o dagli azionisti, per esempio); oppure dalla società (in un contesto lavorativo, dai lavoratori). E’ proprio l’indignazione cittadina  che in Inghilterra sta portando a una riforma del sistema delle allowances dei parlamentari. In Italia, invece, come ai tempi di guelfi e ghibellini, le guerre non si combattono sul campo dei valori assoluti – ‘ciò che è giusto’ – ma su quello degli interessi particolari. Questo è il peggior nemico dell’avanzamento di qualsiasi sistema.

            M.M.

 [1] Edgard Schein definisce la cultura di un’organizzazione come: “A pattern of shared basic assumptions that the group learned as it solved its problems of external adaptation and internal integration, that has worked well enough to be considered valid and, therefore, to be taught to new members as the correct way you perceive, think, and feel in relation to those problems”.

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