PERCHÉ I NEET (E DI CHI È LA COLPA)

ALL’ORIGINE DEL FENOMENO DEI GIOVANI NON PIÙ A SCUOLA E NEPPURE IMPEGNATI IN FORMAZIONE PROFESSIONALE O LAVORO C’È IL DIFETTO GRAVISSIMO DEI SERVIZI DI ORIENTAMENTO SCOLASTICO E PROFESSIONALE, DEI MECCANISMI DI ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO E DELL’INFORMAZIONE SULL’EFFICACIA DEI CORSI SUL PIANO OCCUPAZIONALE

Intervista a cura di Luca Salvi, pubblicata sul quotidiano Il Giorno l’8 gennaio 2016 – In argomento v. anche l’articolo di Irene Tinagli del gennaio 2010, Sui due milioni di giovani che non sono né a scuola né al lavoro, la mia intervista al Giornale del maggio 2011 e l’articolo di Luca Ricolfi del febbraio 2012, I giovani disoccupati e la strada verso il nulla

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Professor Ichino, gli ultimi dati parlano di 70mila Neet a Milano e 260mila in Lombardia. Più del 17% della popolazione, e per di più in crescita rispetto al 2008. Una situazione allarmante?
Solo un folle potrebbe non considerarla allarmante.

E come la spiega?
Questo dato catastrofico è la conseguenza del difetto pressoché assoluto del servizio di orientamento scolastico e professionale; e della mancanza – se si esclude il Trentino Alto Adige – di qualsiasi meccanismo di alternanza scuola-lavoro. Questi due strumenti sono sempre più indispensabili per favorire l’accesso al tessuto produttivo della parte più sprovveduta degli adolescenti.

Con il Jobs Act le cose miglioreranno su questo fronte?
Il decreto legislativo n. 81/2015 contiene alcune disposizioni in materia di apprendistato mirate a promuovere l’alternanza scuola-lavoro, avendo come modello proprio l’esperienza altoatesina: non è un caso che a Bolzano la disoccupazione giovanile sia sotto il 10 per cento! Invece sul versante dell’orientamento scolastico e professionale, che è di competenza esclusiva delle Regioni, e resterà tale anche con la riforma costituzionale, purtroppo ci si sta muovendo troppo poco.

Le Regioni, però, sostengono di svolgere un servizio di orientamento per i giovani.
Sì, un servizio fatto così: verso la fine dell’anno scolastico l’“orientatore” incontra i ragazzi dell’ultima classe nell’aula magna e racconta loro qualche cosa sul mercato del lavoro e sull’offerta di istruzione universitaria. Nei Paesi del centro e nord-Europa, invece, i Guidance o Career Services raggiungono uno per uno ciascun adolescente all’uscita di ciascun ciclo scolastico, tracciano un quadro delle sue capacità e delle sue aspirazioni e gli delineano gli itinerari possibili, informandolo compiutamente sulle probabilità di uno sbocco professionale soddisfacente. Questo è il servizio di cui noi priviamo pressoché totalmente i nostri ragazzi, col risultato che essi compiono le scelte fondamentali per la loro vita con la testa nel sacco; oppure non le compiono affatto.

Il titolo di laurea aiuta ancora nel mercato del lavoro?
Aiuta quando c’è dietro un corso di laurea serio. Lo stesso vale per qualsiasi diploma di istruzione o di formazione professionale. Ma anche qui noi priviamo i nostri ragazzi di un fattore di orientamento che sarebbe decisivo per compiere le scelte giuste.

A che cosa si riferisce?
All’informazione sulla qualità della formazione o dell’istruzione che ciascuna facoltà o ciascun centro di formazione professionale è in grado di fornire. Occorrerebbe rilevare a tappeto il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi di chi l’ha ricevuta; e poi obbligare ogni facoltà e ogni centro di formazione a pubblicare on line questo dato in riferimento agli ultimi anni. Così i ragazzi saprebbero quali sono i corsi che danno maggiori probabilità di risultati occupazionali positivi.

Perché non lo si fa?
Il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi non viene neppure rilevato, perché rilevarlo metterebbe pesantemente sotto stress l’intero sistema della formazione professionale, ponendo in luce le sue gravissime inefficienze. Da noi, in questo campo, molto più che l’interesse degli utenti contano gli interessi degli addetti alla stabilità e all’essere esentati da ogni “stress da esame.

Il disallineamento tra competenze acquisite dai giovani e necessità sul mercato del lavoro nasce da questo difetto del sistema?
In larga parte sì, certo.

Un altro dato di una ricerca della Statale sugli esercizi commerciali in centro e nelle zone più commerciali di Milano, a cura di Lucio Imberti e Maria Teresa Carinci, dice che un giovane su 10 in centro a Milano rifiuta un posto di lavoro da 1500-2000 euro come cuoco, barman, cameriere, commesso. Come spiega questa ritrosia nonostante la crisi?
È anche questa una conseguenza del difetto grave dei servizi di orientamento scolastico e professionale. Questa funzione viene di fatto lasciata alle famiglie, le quali per lo più non ne sono capaci.

I bamboccioni: un tema che fino a poco tempo fa era all’ordine del giorno. È ancora un problema reale o è stato gonfiato?
È la conseguenza del nostro modello di welfare mediterraneo, tutto centrato sulla famiglia: finché è la famiglia la fonte principale della sicurezza sociale, e i giovani sono abbandonati a se stessi nel mercato del lavoro, non ci si può stupire che essi restino attaccati alle gonne della mamma troppo a lungo.

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