I PROFESSIONISTI DEL SETTORE SARANNO SEMPRE MENO I SERVITORI DI UN CONTENZIOSO MASTODONTICO (CHE SI STA GIÀ NOTEVOLMENTE RIDUCENDO) E SEMPRE DI PIÙ GLI “INGEGNERI” DELLA SCOMMESSA COMUNE TRA IMPRESE E LAVORATORI SU PIANI INDUSTRIALI INNOVATIVI
Intervista a cura di Paride Cleopazzo per Financialounge-Repubblica.it, 23 dicembre 2015.
Nella bellissima cornice del Collegio Borromeo di Pavia, si è tenuto il primo convegno Provinciale dei Consulenti del Lavoro dall’entrata in vigore del cosiddetto Jobs Act. Visto il tema, l’agenda era molto serrata e ha registrato la partecipazione di molte personalità. I lavori sono stati aperti dagli interventi di Marisa Manzato, Presidente CPO Pavia, di Federico Tresoldi, Presidente ANCL UP Pavia, e di Marina Calderone Presidente Consiglio Nazionale Consulenti del Lavoro e Presidente CUP. All’evento è intervento anche il Professor Pietro Ichino, Senatore della Repubblica, giurista e giornalista il quale in particolare, ha esposto la sua relazione dal titolo “Il Nuovo Diritto del Lavoro: Luci, Ombre e Questioni aperte” nella quale ha spiegato i tratti distintivi degli otto decreti attuativi della delega in tema di diritto del lavoro. Vista l’importanza di questa riforma per il mercato del lavoro e per i diversi soggetti coinvolti, FinanciaLounge ha chiesto al professore quali siano le sue valutazioni sul Jobs Act promosso dal Governo Renzi e quali potranno essere le implicazioni per chi svolge la professione di consulente del lavoro.
Professor Ichino, a un anno esatto dal varo dei primi due schemi dei decreti attuativi della legge-delega n. 183/2014, qual è la sua valutazione sul cosiddetto Jobs Act, la riforma italiana del lavoro entrata in vigore quest’anno?
La valutazione complessiva è molto positiva, anche sotto il profilo della tempestività di adempimento di deleghe tanto articolate e complesse. Quanto ai contenuti, il risultato positivo più rilevante consiste nel fatto che con questa riforma si volta pagina rispetto al regime di job property che è stato dominante negli ultimi quattro decenni, mentre per converso si rafforza notevolmente il sostegno al lavoratore nel mercato. Questo non significa che nella riforma non ci siano anche dei difetti.
Quali i difetti principali?
L’attuazione soltanto parziale del principio di semplificazione del dettato legislativo: sulla via del Codice semplificato del lavoro si sono fatti alcuni importanti passi avanti, ma la strada da percorrere è ancora lunga. Su alcuni punti particolari, come la disciplina delle dimissioni, c’è qualche concessione di troppo alla vecchia cultura giuslavoristica. Ma occorre riconoscere che qualche compromesso era politicamente inevitabile.
A che punto si posiziona ora il mercato del lavoro italiano a confronto con quello europeo?
Sul piano della disciplina del contratto di lavoro e dell’assicurazione contro la disoccupazione, l’Italia ora è allineata con i Paesi più avanzati. Dove siamo ancora indietro è sull’implementazione dei servizi al mercato: qui tutto è ancora da costruire.
Com’è cambiata la professione del consulente del lavoro negli ultimi anni in Italia e, in particolare, con l’introduzione del Jobs Act?
Con questa riforma si sta riducendo notevolmente il contenzioso in materia di lavoro. Su questo terreno ci sarà meno domanda sia per i consulenti, sia per gli avvocati giuslavoristi. Però il nuovo ordinamento apre nuovi spazi alla “scommessa comune” di imprenditori e lavoratori su piani industriali innovativi; e i consulenti del lavoro saranno sempre più gli “ingegneri” di questa scommessa: una attività molto più utile per il Paese in generale, e per lavoratori e imprese in particolare, rispetto a quella svolta fin qui, di servitori di un contenzioso mastodontico, o di “sacerdoti dei sacri misteri”. Poi la speranza, ora, è che aprendosi l’Italia agli investimenti esteri i professionisti siano sempre più impegnati a far da guida agli operatori stranieri che intendono avviare un’attività a sud delle Alpi.
Quali saranno le principali sfide nel 2016 per i consulenti del lavoro?
La sfida principale sarà quella di far propria, e proporre ai propri clienti, la nuova cultura della flexsecurity: quella cioè della coniugazione di una grande flessibilità delle strutture produttive con una forte sicurezza economica e professionale dei lavoratori nel passaggio da una vecchia occupazione a una nuova. Un esempio: i consulenti dovranno cimentarsi sempre meno con il vecchio articolo 18, destinato ad applicarsi soltanto in casi marginali di discriminazione, e sempre più con strumenti nuovi come il trattamento complementare di disoccupazione, destinato a essere contrattato al livello aziendale e a costituire uno dei capitoli più importanti e avanzati del welfare d’impresa, con costi per le imprese ridottissimi.
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