CHI SE LA PRENDE CON LA RIFORMA ELETTORALE PERCHÉ CONSENTIREBBE AI PARTITI DI DESIGNARE I CANDIDATI NON CONSIDERA CHE ANCHE NELL’UNINOMINALE E NEL PROPORZIONALE SONO I PARTITI A SCEGLIERLI; E NEL SISTEMA DELLE PREFERENZE IL POTERE DEI PARTITI È TEMPERATO SOLO DA QUELLO DEL DENARO E DELLE LOBBIES
Lettera pervenuta il 2 dicembre 2015 – Seguono la mia risposta e una replica del mittente – In argomento v. anche l’editoriale telegrafico del 19 ottobre scorso, La polemica fasulla contro i parlamentari nominati.
Egregio Senatore, la peggiore legge di questa legislatura è l’Italicum. Avendo Lei militato con Marco Pannella per l’uninominale, avrebbe un obbligo morale particolare di opporsi a leggi elettorali truffaldine.
L’Italicum non rinforza l’esecutivo attraverso maggioranze stabili. Rinforza infatti le segreterie dei partiti. La differenza è abissale. Il governo è un organo preciso e responsabile dello Stato, mentre la segreteria di partito è l’opposto, una realtà indefinita, non ufficiale, che opera all’ombra e non deve rispondere. I futuri governi più che mai saranno la lunga mano degli interessi opachi di partito. Non discuto la capacità dell’Italicum di produrre un’immediata maggioranza, perché la nuova legge tiene tale promessa. Non trovo niente di scandaloso nel premio. Il problema è un altro; è doppio: non si sa quanto una maggioranza “artificiale” prodotta da una lista duri, perché fra due elezioni la lista si può frantumare, come sta succedendo anche adesso, e come sempre sarà. E peggio ancora per i promotori della legge, sarà probabilmente (secondo i sondaggi recenti concordanti) la così detta ”antipolitica” organizzata in lista a conquistare la maggioranza parlamentare e il potere di governo; anche questo effetto o rischio è inevitabile con una legge elettorale basata su liste artificiali come strumenti di potere invece di funzionare con deputati liberi scelti liberamente dai cittadini fra altri cittadini.
La democrazia liberale è fondata sul principio opposto alla logica dell’Italicum, ossia su una tripla libertà. Il paese è purtroppo tristemente famoso per la sua creatività liberticida, dagli anni 20 agli anni 50, dal governo Berlusconi al governo Renzi. Sarà quello che ricorderanno i libri di storia (scritti fuori dal regime).
Qual è la tripla libertà, fondamento del costituzionalismo liberale, sancita dagli articoli 48, 51 e 67 della Costituzione ma calpestata dall’Italicum in nome di un illusorio argomento di governabilità?
1. La libertà dei candidati di candidarsi a qualsiasi carica elettiva.
2. La libertà degli elettori di eleggere i propri rappresentanti.
3. La libertà degli eletti di proporre, deliberare e votare le leggi come meglio credono.
Tutte e tre queste libertà sono state soppresse o sensibilmente ristrette a favore delle segreterie di partito. La lista sopprime il primo diritto, il trucco dei capilista nominati sopprime il secondo e la dipendenza degli eletti dal padrone futuro delle liste sopprime il terzo. Né il partito, né tanto meno la sua segreteria, sono organi dello Stato. Si tenta di aggiungere anche questo tassello al modello di repubblica finta liberale. Si sta promuovendo uno “statuto pubblico” del partito e le così dette “primarie”. Questi stratagemmi completano il regime di “dittatura di partito” e allontanano il Paese sempre di più dalle soluzioni vigenti nei tre Paesi che hanno fatto la storia del costituzionalismo liberale.
Sono stupito che nel Paese con il maggior numero di “costituzionalisti”, tutti alla paga dello Stato, pochi, quasi nessuno, individuino i veri difetti, o diciamo più neutralmente le vere differenze della legge elettorale rispetto al modello del costituzionalismo liberale. E se questo sistema elettorale che favorisce, anzi istituzionalizza la manipolazione fosse intrinsecamente correlato ai vizi che tristemente caratterizzano (senza esclusiva) l’Italia: corruzione, inefficienza, burocrazia, clientelismo, malaffare, truffa, inganno, furto, estorsione, ricatto, contropoteri occulti, criminalità organizzata, evasione fiscale
Poveri noi! Distinti saluti
Henri Schmit
Rispondo al grido d’allarme accorato di H.S. con sette brevi osservazioni, delle quali due (la seconda e la terza) mi sembra non siano state proposte con forza sufficiente dagli opinionisti nel dibattito sui media, in occasione della discussione in Parlamento della riforma elettorale (ora in vigore: legge 6 maggio 2015 n. 52).
1. Ho sempre sostenuto e sostengo tuttora i meriti del sistema elettorale fondato sul collegio uninominale maggioritario, soprattutto per la sua caratteristica di rendere possibile una precisa conoscenza del candidato da parte degli elettori. Osservo, però, che questa possibilità è data in larga misura anche dall’Italicum: il nostro nuovo sistema elettorale, infatti, prevede collegi elettorali piccoli, nei quali i candidati saranno in numero molto esiguo e di fatto un solo partito riuscirà a vedere eletto un candidato in più rispetto al capolista. Sarà dunque facile per gli elettori conoscere e valutare da vicino le qualità personali di ciascuno dei possibili eletti.
2. La critica che viene mossa più diffusamente all’Italicum dagli oppositori, ivi compreso il nostro H.S., riguarda il fatto che è il partito a decidere le candidature e in particolare i capilista, determinandosi così uno strapotere del capo del partito stesso. Questa critica è molto ingenua: non considera che in qualsiasi sistema elettorale, quando l’elettorato attivo e quello passivo sono attribuiti a decine di milioni (o anche solo a decine di migliaia) di persone, il ruolo dei partiti nella selezione dei candidati è insostituibile. Anche nell’uninominale maggioritario, sia esso all’anglosassone o alla francese, sono i partiti a scegliere i rispettivi “candidati unici” per ciascun collegio. Chi apprezza l’uninominale non può certo aderire alla polemica contro i “parlamentari nominati”, poiché anche con quel sistema sono tutti “nominati”! Il grado di democraticità del sistema si misura non su di una impossibile esclusione dei partiti dal processo di selezione delle candidature, ma soltanto sulla libertà di costituzione di nuovi gruppi politici – cioè, piaccia o no, di nuovi partiti – capaci di presentare propri candidati. Questa libertà mi sembra pienamente garantita, dal nostro nuovo sistema elettorale, in ciascun collegio.
3. Se dunque in un collegio i vecchi partiti presentano candidati non meritevoli di fiducia, o comunque privi della necessaria autorevolezza e indipendenza dal partito, nulla vieta che gli elettori si organizzino (anche soltanto sul piano locale) per presentarne altri. I soli oneri previsti dall’Italicum è che essi costituiscano una associazione dotata di uno statuto democratico, e riescano a raccogliere il numero di firme necessario per la presentazione della lista: requisito indispensabile per evitare una proliferazione eccessiva di liste che non gioverebbe alla chiarezza della competizione elettorale. Con questo sono garantite le prime due delle tre libertà elencate da H.S. (la terza è garantita dall’esenzione dei parlamentari dal vincolo di mandato, sancita dalla Costituzione).
4. Un aspetto dell’Italicum che considero come un perfezionamento importantissimo, rispetto a tutti i sistemi elettorali oggi sperimentati altrove tranne quelli francese, e che basta da solo per farmi esprimere un giudizio fortemente positivo su questa riforma elettorale, è il ballottaggio (quindi il doppio turno) per ottenere il premio di maggioranza nel caso in cui nessun partito raggiunga la soglia del 40 per cento (avrei preferito la soglia del 50, ma va benissimo anche così, perché nel nostro Paese non si è mai visto che due partiti abbiano raggiunto entrambi il 40 per cento nella stessa consultazione elettorale; e quando il primo ha superato il 40, ha sempre staccato il secondo di più di 10 punti). In qualsiasi sistema nel quale il bipartitismo non sia ben consolidato questa regola costituisce il solo modo per assicurare nella misura del possibile, al tempo stesso, la stabilità del governo per l’intera legislatura e una sua solida investitura elettorale democratica. Con i chiari di luna attuali il discorso incomincia a interessare, per quel che riguarda le elezioni politiche, anche la Gran Bretagna e la Francia, pur con i loro ottimi sistemi uninominali maggioritari.
5. A chi polemizza contro i “parlamentari nominati” può piacere soltanto un sistema basato su liste lunghe ed espressione da parte degli elettori della preferenza, che dà alla gente l’illusione di una maggiore democraticità nella scelta degli eletti. Ma in realtà questo sistema non limita affatto il potere dei partiti, perché il potere di compilare e ordinare le liste spetta pur sempre a loro (tutt’al più favorisce la loro organizzazione in correnti). Per altro verso, esso genera costi elevatissimi delle campagne elettorali dei singoli candidati, premiando così non i candidati migliori ma i più ricchi, quelli che hanno dietro le lobbies (si spera non le cosche) piccole e grandi. L’Italicum è il frutto di un compromesso tra la posizione del PD, favorevole all’uninominale maggioritario con doppio turno, e quella di Forza Italia e dei centristi, contrari a quel sistema e favorevoli invece al sistema delle preferenze. Considerate le circostanze, questo compromesso mi sembra accettabile, sia perché è sempre bene evitare che a una riforma elettorale partecipi anche l’opposizione, sia perché nel caso specifico il PD non avrebbe comunque avuto in Senato la forza sufficiente per fare la riforma da solo.
6. Di fatto, in applicazione di questo nuovo sistema verrà eletta con le preferenze soltanto una parte minoritaria dei parlamentari del partito maggiore e una parte ancor più esigua dei parlamentari del secondo. È lo scotto che paghiamo per il compromesso necessario, di cui ho detto al punto precedente. Sta di fatto che questa parte minoritaria di eletti con le preferenze costituirà un elemento di possibile “contropotere interno” a ciascuno dei due partiti maggiori: questo non dovrebbe dispiacere ad H.S.
7. Quello che considero davvero un difetto grave della legge è il fatto che essa consenta la candidatura di uno stesso capolista in più collegi, con successiva opzione da parte sua per uno dei collegi nei quali il seggio è stato conquistato e, negli altri, subentro del candidato più votato della stessa lista. È stato un compromesso necessario per evitare il voto contrario di NCD. Concordo con il ministro delle riforme Boschi quando vede in questo, come nella quota di eletti con le preferenze, il male minore rispetto a un fallimento di questa riforma, che avrebbe precipitato di nuovo il Paese nellla gravissima paralisi istituzionale in cui esso si è trovato all’inizio della legislatura, con coseguenze potenzialmente disastrose. (p.i.)
LA REPLICA DI HENRY SCHMIT
Onorevole Senatore,
Ringrazio sinceramente dell’interesse per il mio punto di vista del tutto unico ed isolato: contesto solo la violazione del diritto di voto in senso lato (le tre libertà), mentre il premio, le soglie e il ballottaggio di lista non mi scandalizzano e m’interessano meno perché sono manipolazioni neutre che prima o poi si storcono contro chi le ha create.
Mi permetta tre contro-risposte:
- La logica delle scienze politiche ha soppiantato la logica del diritto, anche nella mente dei costituzionalisti. Il diritto dei cittadini non è (solo) di conoscere i candidati, ma di poter essere candidato con pari opportunità di successo e di poter scegliere liberamente il candidato che preferiscono. Non è vero come sostiene nella sua risposta che il sistema approvato a maggio dal parlamento consenta a chiunque di costituire una sua lista, di raccogliere firme, farsi accreditare come partito ufficiale per competere a parità di opportunità; il sistema elettorale nazionale per lista con l’ostacolo di soglie nazionali vieta l’accesso a chiunque non sia una grande organizzazione capillare e ben finanziata, cioè sostanzialmente non ci sia già o sia sostenuto da interessi molto potenti. Non è vero che il sistema di voto che meglio rispetta le tre libertà elettorali sia quello che prevede lunghe liste con preferenze; se si scelgono liste, è preferibile che siano corte e con una sola preferenza (in uso in Finlandia e Polonia) perché così si pareggia il valore fra voto individuale e voto di lista. Altri sistemi equi sono puramente individuali, detti ”maggioritari”, uni- o plurinominali, a doppio turno o a voto preferenziale decrescente; tentano di riprodurre la “vera” preferenza della maggioranza. Le liste obbligatorie sono una deviazione che sostituisce il voto di partito a quello dell’individuo. Andavano bene ai tempi di Turati per permettere ai sindacati dei lavoratori appena affrancati di lottare contro l’egemonia dei notabili, ma oggi sono nocive, distorcenti. Per creare stabilità di governo il voto proporzionale di lista è controproducente; per superare il difetto non servono listoni, ma l’opposto: liste corte in collegi da pochi seggi con un solo voto per elettore o l’uninominale a doppio turno o il sistema di voto preferenziale decrescente. Infine se vogliamo conoscere il governo la sera delle elezioni e avere un governo stabile, osiamo eleggere direttamente il capo dell’esecutivo (USA, F) e/o rendiamo l’esecutivo (quasi) irrevocabile per un determinato periodo (CH). Farlo attraverso listoni è truffa o vi si avvicina molto.
- Non è vero che in USA, UK e F dove vigono sistemi uninominali i partiti stabiliscano liberamente (o “nominino”) i candidati di collegio, perché devono tener conto della possibilità di candidati concorrenti. Per illustrare il punto che è cruciale ricordo che alle ultime legislative francesi il PS aveva candidato l’ex compagna del presidente eletto e ex candidata alla presidenza in un collegio “sicuro”; non è stata eletta perché un candidato libero, ex militante del PS, si è candidato pure lui ed è stato eletto contro tutti gli altri nonostante la divisione degli elettori di sinistra fra i due candidati. Il fatto che questo è anche solo marginalmente possibile cambia completamente il potere di nomina del partito, e soprattutto la “qualità” degli eletti, il loro comportamento e la loro produttività legislativa. A conferma del mio giudizio della qualità dei singolo deputato condizionata dal sistema di voto cito P.F. Casini che circa tre anni fa ha detto che la legge Calderoli (da lui votata) “aveva modificato il DNA dei deputati italiani”, che si comportavano diversamente (in contatto con i giornalisti) perché rispondevano non più all’elettorato ma alle segreterie di partito. La pregherei quindi di riflettere; se il mio argomento le sembro ingenuo, il suo (ripetuto ormai ciecamente da tutti gli opinionisti) è incompleto e fuorviante.
- Per quanto riguarda il potere delle cosche, che io chiamerei più neutralmente i poteri privati, concordo con lei che sono da combattere, cioè da tener attraverso la legge e il potere pubblico entro limiti accettabili. Anche i partiti politici sono – fino a ordine contrario – poteri privati. La pregherei di riflettere e spiegarmi perché i contropoteri occulti, i vari poteri privati all’ombra di quello pubblico, i contropoteri dei partiti rispetto agli organi dello Stato, i poteri occulti dentro l’amministrazione che attraverso la corruzione e la concussione determinano gran parte dell’attività pubblica e comandano il flusso di ingenti fondi pubblici e privati, le aziende pubbliche e cooperative para-pubbliche che protetti dagli interessi partitici da loro finanziati operano al margine della legalità e spesso oltre quel margine, il malaffare che si sviluppa indisturbato e le cosche mafiose vere e proprie, fioriscono così tanto meglio in Italia dove comandano le segreterie dei partiti, mentre altrove il potere più forte è più concentrato nelle istituzioni pubbliche, più trasparenti e più responsabili (davanti al giudice supremo in democrazia!), a maggior rischio di sanzione in caso di errore, inefficienza o abuso? Preferisco quindi tante piccole “cosche” diffuse che solo tre cosche politiche opache e feudali che gerarchicamente controllano tutte le altre e sono alimentate da esse. Forse solo una sinistra liberale poteva tirare fuori il paese da questa situazione. A un quarto di secolo dalle campagne referendarie di Mario Segni il governo da lei sostenuto ha sprecato un’enorme occasione storica che per almeno una generazione non tornerà più. L’elezione dei giudici mancanti della consulta e i successivi verdetti bloccheranno definitivamente il sistema da cupola .
Il diritto è per natura una “pretesa” (B. Leoni) o una lotta continua contro il potere di fatto (eccessivo o dannoso), contro l’abuso e contro la prevaricazione; bisogna quindi essere ingenui per continuare a lottare. Mi fa dunque un enorme e gradito complimento giudicando la mia opinione ingenua. L’opposto sarebbe cinico e sottomesso.
Con grande stima per le sue battaglie coronate da successo parziale in altri campi,
La saluto cordialmente
Henri Schmit
Non voglio avere a tutti i costi l’ultima parola: gli argomenti proposti da H.S. sono seri e meritano attenta riflessione. Solo una rapida risposta, in riferimento al punto 1 di questa replica: la soglia minima del 3 per cento su base nazionale, prevista dalla nostra nuova legge elettorale, è inferiore rispetto a quella – del 5 per cento – vigente in Germania. Risponde a una esigenza non trascurabile: contrastare la tendenza al frazionismo, e persino alla polverizzazione delle organizzazioni politiche e delle rappresentanze parlamentari, tipica della politica italiana. Se questa esigenza sia più rilevante rispetto a quella sottolineata da H.S. non è affatto certo; di una cosa, però, sono certo: che questo sistema elettorale è molto migliore rispetto al proporzionale puro che era residuato a seguito della sentenza della Corte costituzionale sulla legge Calderoli. Un buon sistema elettorale non può costituire soltanto un sondaggio circa le opinioni politiche dei cittadini, ma deve in primo luogo consentire al Paese di darsi un governo sorretto dalla maggioranza dei consensi. (p.i.)
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