MUTAMENTO DI MANSIONI: CHE COSA DICE DAVVERO LA RIFORMA E PERCHÉ

LA POSSIBILITÀ DI UNO SPOSTAMENTO DEL LAVORATORE A MANSIONI PROFESSIONALMENTE INFERIORI È DA TEMPO PREVISTA DALLA LEGGE COME ALTERNATIVA ALLA PERDITA DEL POSTO – IN QUESTO ORDINE DI IDEE È ASSAI DISCUTIBILE, SEMMAI, IL DIVIETO DRASTICO DI PASSAGGIO DA UNA “CATEGORIA LEGALE” A UNA INFERIORE

Lettera ricevuta il 24 novembre 2015 – Segue la mia risposta – In argomento v. anche Mutamento di mansioni e motivo oggettivo di licenziamento .

Salve professore,
vorrei approfondire il tema del mutamento di mansioni trattato nel Jobs Act; viene posto un limite al potere datoriale nel mutamento di mansioni con la categoria legale; non è possibile demansionare se non restando nella categoria da impiegato se il lavoratore è un impiegato ecc..Mi sembra di riscontrare una contrarietà da parte sua riguardo a questo limite.
Avrebbe preferito la possibilità di demansionamento senza nessun  limite? Nella legge delega, riguardo a questo tema, era stata inserita la frase con non poca fatica dalla minoranza Pd…: revisione della disciplina delle mansioni, in caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento. Credo che “la previsione dei limiti all ‘inquadramento è stata tradotta nel decreto attuativo con il limite della categoria legale.Non trovo invece nel decreto attuativo la traduzione sull’individuazione dei parametri oggettivi; anzi, mi sembra di riscontrare tutto il contrario nel decreto attuativo: modifica degli assetti organizzativi aziendali significa tutto il contrario dell’ oggettività, è una frase totalmente discrezionale, significa tutto e niente.Non siamo forse di fronte ad un violazione di delega? Non riscontro i parametri oggettivi.La ringrazio per la risposta.
Davide

Perché la nuova norma – Consideriamo la condizione in cui si troverebbe il lavoratore se fosse vietato il mutamento delle sue mansioni e quelle che attualmente svolge non fossero più utili ala datrice di lavoro: quest’ultima non avrebbe altra scelta che licenziare il dipendente per motivo oggettivo. Se invece adibirlo a mansioni diverse è consentito, e l’interessato ritiene accettabile il mutamento, il rapporto di lavoro può continuare. D’altra parte, quale datrice di lavoro adibirebbe un proprio dipendente a mansioni inferiori rispetto alle sue capacità, potendo ottenerne una prestazione di livello superiore effettivamente utile per l’azienda? Gli unici casi in cui questo può accadere sono quelli (riconducibili alla nozione generale di mobbing) della discriminazione, o della rappresaglia antisindacale, o per motivi politici o religiosi: ma in questi casi la legge attribuisce al giudice una ampia possibilità di intervento, per reprimere il comportamento datoriale vietato e rimuoverne gli effetti. Possiamo dunque concludere che – essendo comunque eccettuati i casi di comportamento della datrice di lavoro dettati da motivi illeciti, che restano esclusi dalla legge e per i quali rimangono disponibili i rimedi reintegratori – consentire il mutamento di mansioni, anche in direzione di quelle di contenuto inferiore, giova a entrambe le parti riducendo le ipotesi di licenziamento per motivo oggettivo. E si osservi che a questa stessa conclusione si arriva anche là dove si applichi la vecchia disciplina del licenziamento: anche in quel contesto, infatti, se le vecchie mansioni non servono più e non ne sono disponibili altre, il lavoratore può essere licenziato; tanto è vero che anche nel vecchio ordinamento erano state introdotte diverse disposizioni mirate a consentire il mutamento di mansioni, anche peggiorativo, là dove necessario per evitare la perdita incolpevole del posto di lavoro.

Il contenuto della legge-delega su questo punto – Nella legge-delega, in accoglimento di una richiesta pressante della minoranza Pd, è stata inserita a questo proposito la precisazione richiamata dall’autore della lettera: la possibilità del mutamento di mansioni, anche peggiorativo, deve essere ammessa nel solo caso di processi di riorganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale individuati sulla base di parametri oggettivi contemperando l’interesse dell’impresa all’utile impiego del personale con l’interesse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, della professionalità e delle condizioni di vita ed economiche, prevedendo limiti alla modifica dell’inquadramento. Quest’ultimo requisito (il limite alla possibile modifica dell’inquadramento) si ritrova nella nuova norma dettata dal legislatore delegato (art. 3 del d.lgs. n. 81/2015) sotto forma di divieto di mutamenti di mansioni che comportino il passaggio del lavoratore da una delle “categorie legali” (dirigente, quadro, impiegato, operaio) a una categoria inferiore: torno su questo punto nella parte finale della risposta. L’autore della lettera denuncia invece il mancato recepimento, nella norma delegata, dell’altro requisito indicato nella legge-delega a questo proposito:quello per cui i motivi organizzativi che determinano il mutamento delle mansioni dovrebbero essere “individuati sulla base di parametri oggettivi”. In realtà, a ben vedere, anche questo requisito è stato rispettato dal legislatore delegato: la nuova norma prevede infatti che il mutamento riduttivo del contenuto delle mansioni possa essere disposto dalla datrice di lavoro “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore”, cioè soltanto sotto la condizione oggettivamente verificabile di un cambiamento della struttura produttiva tale da escludere la prosecuzione dell’attività della persona interessata nella posizione precedentemente occupata. In altre parole: la riduzione del contenuto professionale delle mansioni, con la conseguente riduzione dell’inquadramento, non è ammessa se la vecchia posizione resta attiva, essendo coperta da un’altra persona; ma se quella posizione scompare o si riduce il numero degli addetti a quel tipo di mansioni – e questi sono dati oggettivamente verificabili – chi vi era addetto può essere adibito a una mansione inferiore (l’alternativa sarebbe evidentemente il licenziamento). Poiché ho partecipato al lavoro di redazione della norma-delegata qui in esame, posso assicurare i lettori che tutti ci siamo chiesti a lungo quale altro “parametro oggettivo” potesse essere trovato, in adempimento della delega: se Davide o qualche altro lettore riescono a trovare di meglio, li prego di informarmene e a mia volta mi comunicherò la proposta al Governo, cui compete l’eventuale aggiustamento del testo normativo entro il termine di un anno.

Le mie perplessità circa il divieto di mutamento al di fuori della “categoria legale” – A questo proposito va ribadito ancora una volta che la riduzione del contenuto professionale delle mansioni di cui stiamo parlando costituisce l’alternativa al licenziamento, quando la modifica della struttura aziendale comporti l’impossibilità di mantenere l’adibizione della persona interessata alle mansioni fin qui svolte. Così stando le cose, quando la riduzione comporta il “declassamento” da dirigente a quadro, o da quadro a impiegato, o da impiegato a operaio, perché vietare questa soluzione impedendo alla persona interessata la valutazione circa la nuova prospettiva che le si può offrire? In questo periodo, nel quale gli organici dirigenziali si stanno riducendo in numerose aziende, perché escludere che un dirigente possa accettare di tornare all’inquadramento come quadro per evitare la perdita del posto di lavoro? Allo stesso modo, se l’alternativa al licenziamento per un impiegato è accettare mansioni di magazziniere o di autista, perché impedirglielo? Questo divieto poteva forse avere un senso – discutibile, peraltro, anche allora – quando la società era caratterizzata da una stratificazione gerarchica molto netta, nella quale la summa divisio dei lavoratori in azienda tra operai, impiegati e dirigenti corrispondeva a quella vigente nelle forze armate tra soldati, sottufficiali e ufficiali. Ma la conquista dell'”inquadramento unico”, all’inizio degli anni ’70, ebbe proprio il significato di un voltar pagina rispetto a quella stratificazione gerarchica di matrice classista. Se nel vigore di quella stratificazione era plausibile che qualcuno potesse considerare lesivo di una irrinunciabile dignità della persona il declassamento da dirigente a impiegato semplice, o da impiegato a operaio, oggi a me sembra che questo non sia davvero più prospettabile. Al punto che non mi stupirei se in un prossimo futuro il divieto del declassamento, come alternativa al licenziamento per motivo oggettivo, venisse considerato dalla Consulta incostituzionale per difetto di ragionevolezza.   (p.i.)

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