L’IMPORTANZA DEL TRATTAMENTO COMPLEMENTARE DI DISOCCUPAZIONE

IL CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO E QUELLO COLLETTIVO POSSONO CONTENERE DIVERSE CLAUSOLE ATTE A RAFFORZARE LA SICUREZZA IN CASO DI LICENZIAMENTO, IN ARMONIA CON IL NUOVO ORDINAMENTO – TRA QUESTE SOPRATTUTTO L’INTEGRAZIONE DELLA NASPI A CARICO DELL’AZIENDA

Lettera pervenuta il 21 novembre 2015 – Segue una mia ampia risposta.

Buonasera, una domanda per cortesia Sono un dipendente con contratto a tempo indeterminato ante riforma e quindi tutelato dall’art.18. Qualora mi licenziassi e venissi assunto da un nuovo datore di lavoro, mi verrebbe applicata ancora la vecchia normativa (ossia art 18) o il nuovo jobs act ? Astraendomi dal caso particolare, nel caso, come temo, non venisse applicato il vecchio articolo 18, chi ha scritto la riforma si rende conto che questo fatto è un notevole deterrente alla mobilità delle risorse umane tra aziende ? chi si dimetterebbe da un’azienda per andare in un’altra se deve rinunciare alla tutela dell’art.18, divenendo di fatto un “dirigente” senza i benefit di un dirigete ? questo fatto non lo trova negativo per la crescita del ns sistema economico (tra gli obiettivi fondamentali che si è posto il jobs act) ? ritiene utile / sono in corso riflessioni per modificare questa scelta sicuramente miope, frutto forse della fretta ? ritiene questo ragionamento corretto /intende sostenerlo in parlamento ? Grazie per le risposte. Un suo estimatore e sostenitore PD
S.B.

La questione posta da S.B. è la stessa posta con molto vigore da Francesco Giavazzi sul C0rriere della Sera alla vigilia del varo della riforma. Allora intervenni a mia volta sullo stesso quotidiano (Risposta a Giavazzi che vede una “trappola nascosta nel Jobs Act”), osservando come i lavoratori che si muovono spontaneamente da un posto a un altro appartengano alla metà superiore della propria categoria professionale, essendo pertanto dotati di una forza contrattuale che consente loro di negoziare clausole sostitutive dell’articolo 18, che nel nuovo rapporto si applicherà soltanto nel caso di licenziamento discriminatorio o comunque dettato da motivo illecito. Così, per esempio, il lavoratore che per sua decisione cambia azienda può chiedere al nuovo imprenditore una o più delle protezioni aggiuntive seguenti:
– il riconoscimento di una anzianità convenzionale pari a quella maturata presso l’azienda di provenienza, cui consegue in caso di licenziamento un’indennità corrispondentemente elevata;
– una clausola di durata minima del nuovo rapporto, che inibisce il licenziamento per un determinato periodo (per esempio, due o tre anni);
– la pattuizione di un “preavviso lungo” di licenziamento (per esempio: sei mesi, o un anno);
– e soprattutto l’impegno alla corresponsione di un trattamento complementare di disoccupazione, pari per esempio al 10 o al 15 per cento dell’ultima retribuzione, che si aggiunge al trattamento Naspi.
Quest’ultima pattuizione – che può trovare posto sia nel contratto individuale, sia nel contratto collettivo aziendale –  comporta un beneficio molto rilevante per il lavoratore (che si vede così aumentare il sostegno del reddito dal 75 all’85 o al 90 per cento dell’ultima retribuzione nel periodo necessario per trovare una nuova occupazione) e con un costo modestissimo per l’impresa (un trattamento complementare pari al 15 per cento le costerebbe, nel caso di un periodo di disoccupazione di 6 mesi, un esborso pari a una sola mensilità dell’ultima retribuzione, senza oneri contributivi perché non si tratta del corrispettivo per una prestazione di lavoro, bensì di una prestazione in funzione previdenziale).
Un’altra possibilità è costituita dalla pattuizione della clausola che reintroduce nel contratto individuale di lavoro quello stesso articolo 18 del quale la legge ora esclude l’applicazione ai nuovi rapporti. Questa pattuizione, in sé lecita ed efficace, presenta però un aspetto di irrazionalità sia a danno del prestatore, sia a danno del datore di lavoro: entrambi esposti – in caso di licenziamento – alla
roulette russa di un giudizio dall’esito incertissimo, in virtù del quale il prestatore può trovarsi con un pugno di mosche in mano se il giudice ritiene il licenziamento giustificato (anche senza colpa alcuna del prestatore stesso) e viceversa il datore può vedersi reintegrare il lavoratore anche ad anni di distanza dalla cessazione del rapporto, magari solo per la fortuita assegnazione della causa a un giudice piuttosto che a un altro.  Nel pattuire una maggiore sicurezza per il caso di licenziamento, datore e prestatore di lavoro devono guardare avanti e non indietro: puntare, dunque non a riprodurre vecchi schemi, superati dal legislatore per l’irragionevolezza dei loro effetti, ma a delineare un programma contrattuale coerente con il nuovo ordinamento e il nuovo contesto del mercato del lavoro.
L’intero discorso vale, ovviamente, sia sul piano del contratto di lavoro individuale, sia su quello del contratto collettivo aziendale, o anche nazionale. In particolare, è molto importante che il sindacato inserisca la rivendicazione di un trattamento complementare di disoccupazione nelle piattaforme rivendicative, sia al livello della singola impresa sia a quello d settore: è questo un capitolo molto importante del nascente sistema del welfare aziendale.   (p.i.)

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