LA SHARE ECONOMY E IL FUTURO DELL’IMPRESA NEL MONDO INFORMATIZZATO

L’ABBATTIMENTO DEI COSTI DI TRANSAZIONE PRODOTTO DALLE NUOVE TECNOLOGIE FA VENIR MENO LA PRIMA RAGION D’ESSERE DELL’IMPRESA E DEL RAPPORTO DI LAVORO INDIVIDUATA DA COASE, MA NON LA SECONDA, INDIVIDUATA DA KNIGHT, CONSISTENTE NELLA RIPARTIZIONE OTTIMALE DEL RISCHIO TRA IMPRENDITORE E LAVORATORE

Intervista a cura di Marzio Fatucchi, pubblicata nell’inserto Corriere Impresa del Corriere della Sera, edizioni toscana ed emiliana, 30 novembre 2015.

A Seul ci sono 64 forme diverse di beni e servizi condivisi con piattaforme di «Sharing economy», ma il 60% della popolazione non li usa. Ad Helsinki, invece, dopo un boom per la consegna del cibo a domicilio,  si è arrivati a fare «sharing» sul trasporto pubblico. Nata come antagonista del capitalismo, la «sharing economy», cioè la condivisione di beni e servizi, è esplosa  grazie alle piattaforme tecnologiche  tanto da far scrivere a Internazionale «La fine del capitalismo è vicina»: ma in realtà ormai da Airbnb a Uber, da Booking.com al car sharing, gli esempi più popolari sono praticamente delle multinazionali. Mettendo a dura prova il sistema di regole e a volte l’identità di interi territori, come  sta facendo il boom Airbnb nel centro di Firenze. Ne parliamo con il professor Pietro Ichino, giuslavorista e senatore Pd.

Sharing economy, la nuova frontiera. Anche  per le regole, ora inesistenti?
«Dovunque si manifesti una qualche forma di mercato del lavoro è presente e ben visibile la tendenza di chi già svolge una attività a difendersi dalla concorrenza dei new entrants con barriere di vario genere. Sono sempre servite a questo le corporazioni e le gilde di mestiere, poi gli ordini professionali, i regimi che impongono una licenza per poter svolgere una attività, oppure  un titolo di studio o di formazione, e così via. Oggi nell’area del lavoro autonomo, ma non soltanto in quella, l’evoluzione tecnologica minaccia le barriere che difendono gli insiders contro la concorrenza degli outsiders».

Ma la sharing economy è la «fine del capitalismo»  o una nuova forma di imprenditorialità?
«Dipende dalla nozione di “impresa” a cui facciamo riferimento. Il premio Nobel per l’economia Ronald Coase individua la ragion d’essere essenziale dell’impresa in una necessità di risparmio di costi di transazione: l’imprenditore, che deve mettere insieme e coordinare numerosi altri lavoratori, “acquista da loro il potere direttivo” (o, se si preferisce, la loro obbedienza) per non dover negoziare di volta in volta con ciascuno di loro le modalità di ogni segmento della prestazione lavorativa. Così si può pensare che, se i nuovi strumenti web riducono al minimo i costi di transazione, essi fanno venir meno la ragion d’essere dell’impresa: i fattori della produzione possono essere coordinati, o coordinarsi, senza necessità del potere direttivo. Ma le ragioni d’essere dell’impresa non si esauriscono in quella individuata da Coase».

Ci sono altri approcci…
«Un altro economista Us, Frank Hyneman Knight, la individua nella capacità dell’imprenditore di accollarsi il rischio dell’attività produttiva, a fronte della tipica preferenza dei lavoratori salariati per la sicurezza: l’imprenditore, in questo ordine di idee, “vende sicurezza” ai propri dipendenti. Lo fa trattenendo sulle loro retribuzioni una differenza, rispetto a quanto li retribuirebbe se fossero lavoratori autonomi: sostanzialmente un “premio assicurativo” pagato dai dipendenti».

Come si applicano questi schemi concettuali al fenomeno della share economy?
«Le nuove tecnologie possono abbattere i costi di transazione, facendo venir meno la ragion d’essere coasiana dell’impresa: in questo caso la struttura verticale caratterizzata dalla “catena di comando” viene sostituita da una struttura orizzontale di rete, nella quale i fattori della produzione (singoli lavoratori autonomi, o di piccole organizzazioni) si coordinano fra loro facilmente, anche a distanza, trattando da pari a pari. Ma le nuove tecnologie non possono eliminare la differenza tra le persone di propensione al rischio, e di capacità effettiva di sopportarlo: finché questa differenza ci sarà, ci sarà ancora spazio per l’impresa knightiana, cioè per l’impresa che vende ai propri dipendenti sicurezza».

Dove si ferma il concetto di “sharing” come condivisione e dove comincia l’impresa pura?
«Nell’ordine di idee coasiano, l’impresa cessa là dove viene meno il potere direttivo dell’imprenditore e il corrispettivo obbligo di obbedienza dei suoi collaboratori. Una prima manifestazione evidente di questo fenomeno l’abbiamo avuta già trent’anni or sono con la comparsa dei pony express, antesignani della share economy: il lavoratore collegato via radio con la centrale non era obbligato a rispondere alla chiamata, né, se prendeva un incarico,  a seguire un certo itinerario o  a usare un mezzo di trasporto piuttosto che un altro. La nuova tecnologia abbatteva il costo di transazione e consentiva l’organizzazione perfetta del lavoro senza bisogno di un potere direttivo. Però ogni tanto un pony express fa causa alla centrale chiedendo di essere riconosciuto come dipendente, e qualche giudice, non importa se a torto o a ragione sul piano strettamente giuridico,  gli dà ragione: qui emerge la domanda di sicurezza tipica del lavoratore, e con essa la funzione di “produttrice di sicurezza” dell’impresa knightiana. Questa stessa chiave di lettura può applicarsi al rapporto tra editore e giornalisti free lance, a quello tra una qualsiasi organizzazione post-industriale e la rete dei suoi telelavoratori, e così via».

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