IL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE CI PUÒ SALVARE DALLA DISOCCUPAZIONE

COME FUNZIONA IL NUOVO STRUMENTO, CHE COSTITUISCE UN PILASTRO PORTANTE DELLA RIFORMA DEI SERVIZI PER L’IMPIEGO, BASATO SUL COINVOLGIMENTO DELLE AGENZIE PRIVATE SPECIALIZZATE NELLO SVOLGIMENTO DEL SERVIZIO PUBBLICO

Articolo di Giulia Ugazio pubblicato sul sito Diarioweb il 30 settembre 2015.

ROMA – Tra le più importanti novità del Jobs Act c’è il contratto di ricollocazione. E’ una politica attiva – a differenza di quelle passive come il sostegno del reddito – volta a promuovere efficacemente il reinserimento di un soggetto disoccupato nel mercato del lavoro. Per capire cos’è, come funziona e se darà i frutti sperati continuate a leggere.

Cos’è il contratto di ricollocazione
In Italia, finora, l’attenzione è stata tutta sulle politiche passive per il supporto al mercato del lavoro come il sostegno del reddito, per le quali lo Stato spende circa 20 miliardi l’anno. Sono mancate quasi del tutto nel Belpaese, invece, le politiche attive: cioè quelle volte a favorire il ricollocamento del lavoratore se rimane disoccupato. Proprio per colmare questa lacuna è stata concepita una delle novità più importanti del Jobs Act: il contratto di ricollocamento, che accompagna il soggetto rimasto senza lavoro in un percorso di formazione e reinserimento professionale. Oltre all’indennità di disoccupazione prevista dalla legge, infatti – quella che oggi si chiama Naspi – l’ex lavoratore riceve anche un voucher per frequentare un corso di riqualificazione presso un’agenzia di lavoro privata.

Come funziona
Queste agenzie sono incentivate a promuovere efficacemente il reinserimento lavorativo del soggetto in questione perché ricevono i contributi statali in due tranche: c’è una prima rata che viene erogata subito, mentre la seconda viene liquidata all’agenzia solo se il lavoratore trova una nuova occupazione. Il percorso di outplacement è guidato da un tutor, che segue il soggetto passo passo e gli sottopone le offerte di impiego più congrue e vicine al suo profilo. Se costui non le accetta, però, va incontro a delle forti penalizzazioni: dopo un primo rifiuto la Naspi viene dimezzata, e se anche altre proposte di lavoro vengono respinte il disoccupato la perde definitivamente. Si tratta di una condizione molto rigida, volta a favore il ricollocamento più rapido possibile sul mercato del lavoro. Non solo perché, secondo molti studi analitici, più si allunga il periodo di disoccupazione più è difficile trovare un nuovo posto di lavoro; ma anche – e soprattutto – perché per lo Stato i contributi di disoccupazione sono un esborso significativo a fondo perduto.

L’esperienza della Lombardia
Come sottolineano Francesco Giubileo e Giampaolo Montaretti nel loro articolo pubblicato ieri su la voce.info, per capire se il contratto di ricollocazione è uno strumento efficace dobbiamo guardare all’esperienza della Lombardia. Qui è già attiva la dote unica del lavoro (Dul), che funziona secondo lo stesso principio. Mutatis mutandis, la regione lombarda offre un’anticipazione verosimile su quelli che potrebbero essere i risultati su scala nazionale. Gli studi sull’andamento occupazionale dei destinatari della Dul hanno verificato, infatti, il loro status dopo sei/dodici mesi dalla presa in carico e i risultati sono stati soddisfacenti: la Dul permette di aumentare le chances occupazionali di almeno 30 punti percentuali, anche se il vantaggio si manifesta in proporzioni diverse a seconda delle caratteristiche socio-anagrafiche. Un dato, in particolare, ci sembra molto significativo: la spesa complessiva affrontata dalla regione Lombardia per promuovere queste politiche attive è stata pari a 4 milioni di euro, mentre i risparmi – in termini di sussidi di disoccupazione non erogati o erogati per un tempo inferiore – ammontano a 9 milioni di euro. Se proiettiamo il calcolo su scala nazionale, la Dul permetterebbe un risparmio pari ad almeno 500 milioni di euro (e la stima è per difetto).

Criticità
Naturalmente, nonostante le buone prospettive, il contratto di ricollocazione non è privo di criticità. Il modello proposto non è affatto una bacchetta magica capace di trasformare in risparmio statale i sussidi di disoccupazione: funziona bene, infatti, per i soggetti relativamente facili da ricollocare, ma non altrettanto bene per tutti gli altri. Per questa ragione, il comportamento delle agenzie private dovrebbe essere monitorato per evitare che «selezionino» i disoccupati in funzione delle loro caratteristiche e dei loro profili, in modo da assicurarsi gli incentivi governativi. La soluzione è un costante e virtuoso controllo da parte dell’operatore pubblico al fine di assicurare a tutti i lavoratori lo stesso diritto a una efficace politica attiva di reinserimento occupazionale.

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