BIODIVERSITÀ E VACUITÀ

DOPO LE SEDUTE-FIUME ROVENTI SULLA RIFORMA COSTITUZIONALE, IL VOTO UNANIME PER UNA LEGGE SUL PORTALE, IL PIANO, IL COMITATO, LA RETE, GLI ITINERARI, LE COMUNITÀ E LA GIORNATA NAZIONALE DELLA BIODIVERSITÀ FA RIMPIANGERE LE ASPRE CONTRAPPOSIZIONI

Commento al disegno di legge n. 1728-A, approvato in seconda lettura dal Senato il 21 ottobre 2015.

Dopo le sedute-fiume roventi e laceranti sulla riforma costituzionale, in Senato improvvisamente due giornate di calma piatta: tra il 20 e il 21 ottobre il disegno di legge n. 1728-A sulla “valorizzazione della biodiversità agraria e alimentare” è stato approvato quasi all’unanimità (tutti voti favorevoli, quattro sole astensioni). L’esito inconsueto di questa votazione può segnalare due cose tra loro alternative: l’imprevedibile emergere di un minimo comun denominatore di buon senso, di bi-partisan civicness, di gioco di squadra tra maggioranza e opposizione, oppure una vacuità tale del provvedimento da renderlo, sul piano pratico, del tutto irrilevante. Temo che l’esito del voto del Senato, in questo caso, corrisponda più alla seconda alternativa che alla prima; tanto che mi scopro a nutrire una malsana nostalgia delle dure contrapposizioni delle settimane precedenti: lì almeno si discuteva di qualche cosa che aveva un qualche rilievo pratico.

Il principio che viene enunciato in apertura del disegno di legge n. 1728-A e sul quale verte l’intero provvedimento è la “tutela e valorizzazione della biodiversità di interesse agricolo e alimentare” contro ogni forma di inquinamento e ogni “perdita del patrimonio genetico”. Chi mai potrebbe essere contrario alla biodiversità, cioè alla diversità del frumento dal mais, delle mele dalle pere e dalle pesche, delle zucchine dai piselli? E chi mai potrebbe essere dubitare che si debba combattere l’inquinamento e opporsi alla distruzione di una qualsiasi parte del patrimonio genetico? Fin qui si stenta a mettere a fuoco il contenuto pratico del provvedimento. Vediamo dunque quali sono le prescrizioni ulteriori con le quali il provvedimento stesso si propone di inverare il principio.

La prima disposizione vera e propria nella quale ci si imbatte è quella contenuta nel quinto comma dell’articolo 1, che autorizza il ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali a “promuovere… le attività degli agricoltori tese al recupero delle risorse genetiche di interesse alimentare e agrario”. Ora, una volta ammesso che la permanenza in vita di questo ministero sia legittima, dopo il referendum del 1993 che – a ragione o a torto – lo ha soppresso, non si comprende in che cosa potrebbe consistere la sua ragion d’essere se non gli fosse consentito di “promuovere il recupero delle risorse genetiche di interesse alimentare e agrario”. Stesso discorso per la possibilità che esso promuova “progetti tesi alla trasmissione delle conoscenze acquisite in materia di biodiversità di interesse agricolo”, di cui al sesto comma dello stesso articolo 1.

Dopo l’articolo 2, che stabilisce soltanto alcune definizioni, l’articolo 3 istituisce l'”Anagrafe della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”. Da profano, non riesco ad attribuire a questa espressione alcun altro significato che quello di un catalogo delle specie vegetali e animali che contribuiscono alla nostra alimentazione; se è così, immagino che il catalogo in questione sia agevolmente desumibile dai trattati esistenti di scienze naturali. D’altra parte, se così non fosse, occorrerebbe chiarire quali siano le conseguenze della non iscrizione nell’Anagrafe di una specie vegetale o animale: la disposizione non lo dice. Dice invece che per l’attuazione dell’Anagrafe sono stanziati 288.000 euro in più rispetto a una voce di spesa già prevista da una legge del 2004.

L’articolo 4 istituisce invece la “Rete nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, cui è demandata “ogni attività diretta a preservare le risorse genetiche locali dal rischio di estinzione o di erosione genetica”. Ne fanno parte, oltre a tutte le strutture locali e regionali pubbliche competenti, anche tutte le fattorie, le stalle, i pascoli, le malghe alpine, i contadini, gli allevatori e i pastori. In che cosa consista il collegamento in rete tra tutte queste entità (collegamento Internet? telefonico? mediante quali altri strumenti di organizzazione o comunicazione?) la disposizione non dice, tranne che la rete è coordinata dal ministero delle Politiche agricole e forestali, ovviamente “d’intesa con le Regioni e le province autonome di Trento e Bolzano”.

L’articolo 5 istituisce il “Portale nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, al fine della “diffusione delle informazioni sulle risorse genetiche di interesse alimentare e agrario” e il “monitoraggio dello stato di conservazione” delle risorse stesse. Ammessa l’esistenza del ministero abrogato dal referendum del 1993, davvero occorre una norma di legge per consentire che esso crei sul web un portale di questo genere?

Stesso discorso per l’articolo 6, che consente al ministero di individuare i soggetti deputati alla conservazione delle risorse genetiche di interesse alimentare e agricolo, purché “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”: occorre per questo una nuova norma legislativa?

L’articolo 7 prevede che “all’aggiornamento del Piano nazionale sulla biodiversità di interesse agricolo ecc. […] di cui al decreto del ministro della Politiche agricole alimentari e forestali 6 luglio 2012 […] si provvede [indovinate come?] con decreto del ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali”.

L’articolo 8 rinnova l’istituzione del “Comitato permanente per la biodiversità di interesse agricolo e alimentare”, che risulta esistente già dal 2009.

L’articolo 9 dice che le varietà vegetali iscritte nell’Anagrafe di cui all’articolo 3, dalle quali derivano produzioni contraddistinte dai marchi di denominazione di origine protetta, di indicazione geografica protetta o di specialità tradizionali garantite” sono, come è ovvio, protette. Forse che, senza questa disposizione, si sarebbe potuto dubitarne? Oppure il ministero avrebbe potuto consentire la loro perdita o deterioramento?

Più concretamente interessante l’articolo 10, che istituisce un “Fondo per la tutela della biodiversità di interesse agricolo e alimentare” di 500.000 euro annui.

Tralasciamo l’articolo 11, che autorizza “gli agricoltori che producono le varietà di sementi iscritte nel registro nazionale” alla “vendita diretta e in ambito locale” delle stesse (senza questa disposizione la vendita in questione sarebbe forse inibita? O sarebbe stata consentita purché a 200 chilometri di distanza?), per passare agli articoli 12, 13 e 15, che istituiscono rispettivamente gli “Itinerari della biodiversità di interesse agricolo e alimentare” (consistenti in “periodiche campagne promozionali di tutela e valorizzazione”), le “Comunità del cibo e della biodiversità di interesse agricolo e alimentare” (finalizzate immancabilmente a “promuovere comportamenti atti a tutelare la biodiversità di interesse ecc.”) e promuovono iniziative promozionali presso le scuole: davvero occorrevano tre disposizioni di legge perché il ministero e/o ciascuna Regione interessata assumessero iniziative di questo genere?

L’articolo 14 istituisce (poteva forse mancare?) la “Giornata nazionale della biodiversità di interesse agricolo e alimentare”. Purtroppo è collocata al 20 maggio: dovremo dunque attendere sette mesi per poter godere dei suoi benefici effetti sulla biodiversità.

Infine l’articolo 16 ripete una disposizione del 1999 circa la promozione della ricerca in materia agricola e di analisi dell’economia agricola.

Tutto qui. Stante il peso dei contenuti innovativi del provvedimento legislativo, è davvero difficile salutare lo schiacciante consenso bi-partisan su di esso come novità di rilievo nel travagliato scenario politico nostrano. Se i frutti della tregua tra le forze politiche non possono che essere di questo genere, tutto sommato è meglio tornare alle aspre contrapposizioni.

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