REPUBBLICA: IMPEDIRE IL LAVORO ALTRUI È UN REATO

L’EPISODIO DI PREPOTENZA DI ALCUNI COMITATI DI BASE AI DANNI DI 200 LAVORATORI DELL’INTERPORTO BOLOGNESE SOTTOLINEA ANCORA UNA VOLTA IL DIFETTO DI DEMOCRAZIA SINDACALE CHE CARATTERIZZA IL NOSTRO SISTEMA DI RELAZIONI INDUSTRIALI

Intervista a cura di Enrico Miele, pubblicata sull’inserto bolognese di Repubblica il 25 settembre 2015.

 

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Nel caso dell’Interporto “l’ala sinistra del movimento sindacale per opporsi ad alcuni licenziamenti disciplinari si fa paladina della vecchia cultura della job property con comportamenti prepotenti; ma non si rende conto che così mette a repentaglio molti più posti di lavoro”. A stroncare la protesta dei Cobas, che per giorni hanno tenuto in scacco i camion all’Interporto fino ad arrivare a scontrarsi con altri lavoratori, è Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del Pd, convinto che scontri e tensioni siano dovuti al “potere di interdizione delle minoranze”. Ichino parte dalle riforme introdotte dal Jobs Act, di cui è uno degli ispiratori, per chiedere ai sindacati bolognesi di evitare “il ritorno alle ingessature, che fanno danno a tutti, compresi i lavoratori ingessati”.

Da una parte i lavoratori iscritti ai Cobas che protestano, dall’altra quelli che chiedono di lavorare dopo sette giorni di stop forzato. Operai contro operai. Come si arriva a tanto?
Questo è il risultato di un sistema di relazioni industriali che non ha ancora raggiunto un grado sufficiente di democrazia sindacale. E che attribuisce ancora un potere di interdizione a minoranze che non dovrebbero poterne disporre.

È ammissibile che una quarantina di lavoratori chiuda gli accessi dell’Interporto, bloccando l’attività di centinaia di colleghi?
Certo che no: bloccare i cancelli e impedire l’ingresso in azienda delle persone è un reato. Comunque, anche senza arrivare al codice penale, è sbagliato che una minoranza di lavoratori possa imporre la propria scelta a tutti gli altri.

Tra diritto di sciopero e libertà di lavoro, dove sta in questo caso il punto di equilibrio?
È una questione su cui occorre una nuova riflessione approfondita. In molti grandi Paesi europei l’equilibrio è trovato attraverso una regola di democrazia sindacale che condiziona la proclamazione dello sciopero al consenso della maggioranza dei lavoratori interessati. Con altri senatori Pd ho presentato un disegno di legge, di cui è iniziato l’esame in Senato proprio nei giorni scorsi, per introdurre questa regola anche da noi, in alcuni settori dei servizi pubblici.

Tutto nasce dalla protesta contro otto licenziamenti in una cooperativa, Mr Job, che lavora in appalto per Yoox, il colosso dell’e-commerce. Perché queste tensioni si ripetono, con sempre maggiore frequenza, nel facchinaggio? Possiamo parlare di allarme sociale?
Nonostante la riforma del lavoro, che assicura al lavoratore un forte sostegno nel passaggio dal vecchio al nuovo posto di lavoro in funzione di un tessuto produttivo più dinamico, è ancora molto radicata la cultura della job property. Nel caso di oggi l’ala sinistra del movimento sindacale si fa paladina di quella vecchia cultura con comportamenti prepotenti; ma non si rende conto che con quei comportamenti mette a repentaglio molti più posti di lavoro.

Il professor Montuschi su Repubblica Bologna ha parlato di una «guerra tra poveri», chiedendo che tutti facciano un passo indietro. Lei è d’accordo?
Francamente no. Di fronte alla prepotenza di pochi, chiedere a tutti di fare un passo indietro mi sembra un po’ troppo salomonico. Abbiamo fatto la riforma del lavoro perché gli otto lavoratori licenziati godano di un robusto sostegno del reddito, per tutto il tempo necessario a ritrovare un altro lavoro. Il sindacato si mobiliti, semmai, per chiedere all’impresa che licenzia di portare il trattamento del reddito dal 75 al 90 per cento, e per esigere che ai licenziati venga assicurato subito un servizio di assistenza adeguato nella ricerca della nuova occupazione. Questa è la nuova frontiera della protezione del lavoro, non il ritorno alle ingessature, che fanno danni a tutti, compresi i lavoratori ingessati.

Lavoratori contro. Le viene in mente la marcia dei 40mila della Fiat o questo è un caso diverso?
Sì: anche qui i lavoratori sono i primi danneggiati da queste forme di lotta sindacale. E, in definitiva, dal mal funzionamento del sistema delle relazioni industriali per difetto di democrazia sindacale.

Queste tensioni sono l’effetto della crisi anche un una città, un tempo ricca, come Bologna o c’è dell’altro?
In crisi non c’è soltanto Bologna: è in crisi un intero modello di sviluppo fondato per decenni sulla spesa pubblica finanziata con un aumento scriteriato del debito.

La colpisce l’assenza della Cgil, Cisl e Uil dal “campo di battaglia”? Perché in queste vicende sono protagonisti solo i sindacati di base?
Questa è un’altra manifestazione della crisi del sistema delle relazioni industriali. Il potere di interdizione dei gruppi minoritari finisce col mettere nell’angolo i sindacati maggioritari.

Come si esce da questo caos e cosa fare per evitare che questi episodi si ripetano?
Con la riforma della rappresentanza della struttura della contrattazione collettiva, che costituisce il nuovo capitolo dell’impegno del governo Renzi, ora che si è chiuso il capitolo della riforma dei rapporti di lavoro individuali.

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