NELLA TRANSIZIONE A UNA NUOVA OCCUPAZIONE IL LAVORATORE CHE PERDE IL POSTO OGGI E’ ABBANDONATO A SE STESSO
Articolo di Massimo Pallini, professore di diritto del lavoro nell’Università degli Studi di Milano, pubblicato su l’Unità il 27 giugno 2009
Dal rapporto annuale dell’Istat per il 2008 emerge un’allarmante novità: il profilo del disoccupato italiano sta cambiando. Non si tratta più in prevalenza di disoccupazione giovanile e femminile. Nella maggioranza dei casi il “nuovo” disoccupato è uomo, ha un’età compresa tra i 35 e i 54 anni, ha perso un lavoro alle dipendenze di una impresa nel settore industriale nel centro-nord, ha una bassa scolarizzazione e specializzazione professionale. L’allarme è quantomai giustificato perché questo è l’identikit del soggetto a difesa del quale è stato concepito il nostro sistema di protezione sociale. Una protezione prevalentemente volta a scongiurare l’eventualità della disoccupazione, piuttosto che ad offrire adeguato sostegno al reddito e servizi per uscirne nel più breve tempo possibile. Non solo la tutela giuridica offerta al lavoratore nel rapporto è volta a garantirne la continuità limitando le ipotesi di licenziamento ed innalzandone i relativi costi, ma anche gli ammortizzatori sociali più generosi – la cassa integrazione ordinaria e straordinaria – sono finalizzati ad evitare (od, assai spesso, a posticipare quanto più possibile) la perdita del posto di lavoro. Tale protezione finalizzata quasi esclusivamente al “mantenimento” del posto di lavoro rivela tutta la sua inadeguatezza quando a fronte di crisi aziendali e/o settoriali il lavoratore sia espulso dall’impresa. Nella transizione a una nuova occupazione il lavoratore è oggi abbandonato a sé stesso; oltre (nel migliore dei casi) all’indennità di disoccupazione, non gli viene offerto alcun valido servizio di orientamento, collocamento e di riqualificazione professionale né da parte delle agenzie pubbliche o né da quelle private. La tutela della stabilità offertagli prima, in costanza di rapporto di lavoro, diviene ora, in condizioni di disoccupazione, una barriera al reperimento di un nuovo lavoro subordinato. Le imprese sono sempre più propense ad evitare le rigidità gestionali di quel tipo di rapporto di lavoro e a proporre – come confermano i dati Istat – l’instaurazione di contratti atipici, a termine o di collaborazione autonoma. Gli interventi del Governo per fronteggiare la crisi sul piano occupazionale si pongono in perfetto rapporto di continuità con il passato. La gran parte delle risorse, infatti, sono state destinate sinora all’ampliamento “in deroga” delle ipotesi di concessione delle integrazioni salariali, che presuppongono quindi la persistenza di un rapporto di lavoro. Sarebbe invece opportuno rispondere alla domanda di protezione che proviene dalla crisi muovendo passi decisi in direzione di una riforma del nostro sistema in senso universalistico, riequilibrando ragionevolmente il sostegno offerto al lavoratore al mantenimento del posto di lavoro con quello offerto per il reperimento di una nuova occupazione.