POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO: NE SAREMO CAPACI?

IL DECRETO SUI NUOVI SERVIZI PER L’IMPIEGO INCIDE PROFONDAMENTE, E POSITIVAMENTE, SUI PRINCIPI GENERALI CHE GOVERNANO IL SISTEMA, MA IL SUCCESSO DELLA RIFORMA DIPENDE ESSENZIALMENTE DALLA VOLONTÀ E CAPACITÀ DELLA SUA ATTUAZIONE PRATICA

Intervista a cura di Alessandro Giorgiutti, pubblicata da Libero l’11 settembre 2015

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La rete nazionale dei servizi per il lavoro coordinata dall’Anpal dovrebbe partire “tra gennaio e febbraio”, ha detto il ministro Poletti. Quattro o cinque mesi saranno sufficienti?
Per la costituzione formale dell’Anpal, sicuramente sì. La “rete” è qualche cosa di più; e di più difficile da realizzare in concreto. È un coordinamento tra soggetti diversi; su questo terreno non c’è dubbio che siamo in ritardo. E qui la legge non basta: occorre saperlo e volerlo fare per davvero.

A suo giudizio la suddivisione delle competenze tra Stato e Regioni è stata sufficientemente chiarita?
Il problema è che la ripartizione delle competenze non la può decidere la legge ordinaria: la stabilisce l’articolo 117 della Costituzione. Ora, la riforma costituzionale in discussione in Parlamento punta a modificare profondamente la ripartizione attuale, riassegnando allo Stato la competenza sia legislativa sia amministrativa in questa materia. Per accelerare la transizione, il decreto si propone di anticipare gli effetti della nuova norma costituzionale, coinvolgendo le Regioni nella gestione della nuova agenzia nazionale.

I critici contestano: è un carrozzone (troppi gli enti coinvolti) ed è troppo pubblico-centrica, nel senso che le agenzie private reclamano più spazio. Condivide?

Effettivamente mi sarebbe piaciuta molto di più una norma più semplice e tutta dedicata a definire la responsabilità della nuova struttura e dei suoi dirigenti per il conseguimento dei risultati. Ma, in tutta franchezza, sono convinto che sulla materia dei servizi per l’impiego quel che conta, molto più della norma legislativa, sia la competenza, il know-how e la determinazione di chi la deve attuare. Dunque su questo sospendo il giudizio.

Il disoccupato stipulerà un “patto di servizio personalizzato” con un centro per l’impiego. Che cosa accadrà di diverso rispetto a oggi?

Non potrà più accadere – o, per lo meno, in questo modo la norma si propone di impedire – che una persona chieda il trattamento di disoccupazione senza essere davvero disponibile per un nuovo lavoro.

I fondi stanziati per rafforzare questi centri (il governo ha messo 140 milioni, le regioni ne dovrebbero mettere altri 70) sono sufficienti?
200 milioni sono quel che serve per pagare gli stipendi ai dipendenti attuali dei Centri per l’impiego. Il problema principale, però, non è quello degli stipendi, ma quello di rifondare i CpI sul piano istituzionale e organizzativo; e di farli funzionare bene, come punto di passaggio efficace per tutti coloro che cercano un lavoro e assistenza per trovarlo. I CpI possono e devono essere la cerniera tra chi ha bisogno di assistenza nel mercato e chi gliela sa fornire: in questo sta la svolta importantissima nel campo dei servizi per l’impiego. E l’operatore scelto dal disoccupato – pubblico o privato che sia – dovrà essere retribuito, almeno per la maggior parte, soltanto se avrà concretamente raggiunto il risultato atteso.

Ecco, il voucher. Dopo quattro mesi di disoccupazione, si potrà richiedere l’assegno di ricollocazione da “spendere” in un centro per l’impiego o in un’agenzia privata accreditata. Ma gli assegni, oltre che facoltativi, saranno rilasciati in base alle risorse disponibili: non si rischia così di limitare fortemente l’uso di questo strumento?
Il contratto di ricollocazione se non produce il risultato non costa, perché in questo caso il voucher non può essere incassato dall’operatore. Se invece produce il risultato, si finanzia da solo: che costi allo Stato duemila o quattromila euro, a seconda della difficoltà della ricollocazione nel caso specifico, sarà sempre una somma inferiore rispetto a quanto complessivamente lo Stato risparmia in trattamento di disoccupazione e guadagna in tasse e contributi attivati dal nuovo contratto di lavoro. Per questo dico che la polemica sul finanziamento dei contratti di ricollocazione è fuori luogo.

L’Anpal coordinerà anche gli enti di formazione, la cui efficienza ed efficacia sono state fin qui discutibili. Pensa che cambierà qualcosa?
Cambierà, e molto, se davvero si incomincerà – come il decreto prevede – a rilevare in modo sistematico il tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi. Questo deve consentire di realizzare una mappa di quel che funziona e quel che non funziona nel nostro sistema della formazione professionale. E di riqualificare drasticamente la spesa pubblica in questo settore. Certo, per farlo occorre essere disposti a mettere davvero, e non soltanto in teoria, l’intero sistema fortemente sotto stress.

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