IL LAVORO DIMENTICATO

PERCHE’ L’OPPOSIZIONE SEMBRA AVERE DIMENTICATO IL TEMA DEL LAVORO?
Lettera pervenuta il 10 ottobre 2008. Segue una risposta (non diplomatica) sul ritardo nella elaborazione della politica del lavoro del Pd

Egregio Professor Ichino,

          mi permetto di rivolgermi  a lei come cittadino ma anche come operatore del mercato del lavoro per chiederle il motivo per cui l’attuale opposizione pare si sia completamente  dimenticata del tema del lavoro.

          E mi permetto di farlo anche perchè sono sempre stato un attento lettore dei suoi testi (fin da “Il lavoro e il mercato. Per un diritto del lavoro maggiorenne“, del 1996) condividendo talvolta, altre non,  le opinioni in essi espresse.
          Si, va bene, qualche accenno al problema salari ma l’argomento nella sua accezione più ampia , complessa   e controversa  sembra svanito dal dibattito politico.
          I precari pare non esistano più, la flessibilità una panacea, il rispetto delle regole, la lotta al lavoro irregolare, il sostegno delle tutele, discorsi che solo conservatori antiriformisti possono ritenere degni di qualche attenzione.
          Eppure  io penso che proprio su questi argomenti, un paio di anni fa, il centrosinistra vinse, pur con tutti i limiti insiti in tale successo, le elezioni politiche. E sono, altresì, convinto che solo ripartendo da questi temi e riconducendoli all’attenzione pubblica che meritano, si potranno aprire spiragli per immaginare un’adesione di consensi al progetto governativo che il centrosinistra dovrà saper realizzare al più presto.
          Che io ricordi, da studente di una  facoltà di giurisprudenza di qualche anno fa, le funziioni del “governo ombra” erano quelle di incalzare la maggioranza governativa con precise, chiare e oggettive controproposte in merito a specifici argomenti.
          Se parliamo di lavoro non mi sembra sufficiente che il capo del governo ombra, in trasmissioni televisive intelligenti e di discreta audience, affermi che è necessario alzare i salari e le pensioni, ridurre la pressione fiscale, favorire le piccole e medie imprese (l’hanno detto e lo diranno tutti, sempre, ieri, oggi e domani).¼br />           Per quanto attiene al tema in argomento, il Governo, con la cosiddetta manovra d’estate, ha legiferato in modo molto preciso  e netto proseguendo  il percorso individuato nella sua precedente legislatura.
          Alcune cose fatte sono certamente anche condivisibili, altre meriterebbero invece, a mio avviso, una reazione decisa da parte delle forze di opposizione.
          Cerco di individuare alcuni temi:
   1. – Il contratto a termine: siamo, ormai, ben oltre la soglia del 50% sul totale delle assunzioni  che avvengono nel nostro paese; il contratto a tempo determinato rappresenta certamente il principale strumento di frammentazione della vita lavorativa e rigurda non solo le fasce giovani della popolazione lavorativa ma anche quelle adulte. Al di là della  facoltà, per la contrattazione collettiva , di individuare casi di superamento del tetto massimo di 36 mesi, al di là della previsione, ora condotta al giudizio della Corte Costituzionale, di un periodo transitorio per la risoluzione , con tutele molto differenti delle contoversie in materia, l’allargamento delle causali di ricorso alla tipologia contrattuale anche alle esigenze riferibili all’ordinaria attività del datore di lavoro non merita alcuna obiezione? Proporre con forza, e magari anche con qualche difficoltà interna, un deciso progetto di riforma che possa contrastare  la deregulation selvaggia e deprimente delle tipologie lavorative e immaginare percorsi di accesso al mercato del lavoro portatori di una qualche speranza di stabilità (es. proposta Boeri  -Garibaldi) è così difficile?
   2. – Il libro unico del lavoro: nell’ottica della semplificazione o meglio della liberazione del lavoro si è proceduto alla sostituzione del caro e antico libro matricola con il nuovo strumento del libro unico del lavoro; ora, anche ponendo tutta la buona fede a cui non solo i rapporti giuridici ma anche quelli umani devono ispirasi, credere che saranno milioni gli euro risparmiati dalle imprese grazie a questa riforma appare esercizio di fede assoluta più che di buona fede. Innazitutto la dismissione della tenuta cartacea del nuovo registro, pur in un epoca che spinge, legittimamente,  all’abrogazione del cartaceo in nome della virtù telematica,  comporterà ,  per molte piccole ma anche medie imprese ,  la necessità di delegare consulenti e professionisti alla tenuta e gestione del libro unico con preventivabili aumenti di spesa riferibili, quantomeno,  alla remunerazione degli stessi soggetti abilitati; poi, le modalità di tenuta, gestione e registrazione  del libro unico  non sembrano attenuare di molto gli adempimenti in uso con il vecchio sistema: Un obiettivo, inevece, appare sicuramente e facilmente raggiungibile ed è quello di rendere più difficoltosa l’attività ispettiva che, chiunque abbia un minimo di confidenza con la materia, sa essersi sempre fondata sulla possibilità di accesso tempestivo ai libri di paga e matricola. Certo, secondo gli estensori della norma, altri sono oggi gli strumenti a disposizione dell’organo di vigilanza per verificare la presenza o meno di lavoro irregolare ma proprio le istruzioni ministeriali  fornite con la circolare numero 20/2008 sembrano consolidare il mio, ma non solo, convincimento.
   3. – L’attività ispettiva:  proprio l’introduzione del libro unico è destinata a incidere profondamente  sullo svolgimento dell’attività ispettiva riconducendo l’applicabilità  della cosiddetta maxisanzione all’accertamento della presenza o meno della comunicazioine obbligatoria preventiva di assunzione ai servizi competenti; in realtà le istruzioni ministeriali impartite con la suddetta circolare rendono, a giudizio della maggioranza degli osservatori, in considerazione dell’ormai acquisita definizione di lavoro nero “lavoro non risultante dalle scritture o altra documentazionme obbligatoria” e delle modalità di tenuta e registrazione del nuovo libro unico (se presso il consulente l’esibizione del libro può avvenire entro 15 giorni dalla richiesta – le registrazioni, in ogni caso, vanno effettuate entro il giorno 16 del mese successivo a quello di riferimento) non scontata l’adozione della maxisanzione in presenza di rilevazione  di lavoratori per i quali non sia stata prodotta la comunicazione di assunzione.
          Due osservazioni in merito: un’autentica semplificazione nelle attività gestionali connesse al rapporto di lavoro è derivata dall’introduzione della comunicazione unica preventiva, pluriefficace e telematica dell’instaurazione dei rapporti di lavoro introdotta, dal 1° marzo 2008, a opera del precedente  governo il quale aveva, altresì, immesso nel nostro ordinamento la cosiddetta maxisanzione (legge Bersani, dl 223/2006 convertito nella legge 248/2006) autentica spina nel fianco per quei datori di lavoro abituati a rischiare l’impiego di lavoratori in nero, pena una sanzione di poco superiore a un centinaio di euro. La comunicazione unica ha un grande duplice valore, da un lato riduce e semplifica concretamente gli adempimenti del datore di lavoro, dall’altro  sviluppa  energie in seno ai servizi pubblici per l’impiego  i cui operatori, finalmente liberati da un’imponente mole di attvità di registrazione e data entry, potranno dedicarsi  alla costruzione  di vere politiche attive per il lavoro, anche in virtuosa sinergia con gli operatori privati. Esempi di buone prassi, mi creda Professore, ce ne sono molti, la sfida sarà quella di diffondere queste attività sull’intero territorio nazionale.
          Tornando alla maxisanzione e alla sua non più pacifica applicazione, mi viene spontaneo osservare come si invochi e predichi tolleranza zero nei confronti di mendicanti, clandestini e altro genere di poveracci ma per quei soggetti che usano lavoro irregolare, diciamo così, tolleranza uno, due o tre a seconda dei casi.
          E la nuova veste dell’ispettore del lavoro può bene dedursi dalle recenti linee guida in materia di attività ispettiva emanate dal ministro del lavoro; non più semplice censore di comportamenti illegittimi e il cui disvalore sociale sembra mutare a ogni cambio di legislatura, ma moderno consulente o meglio promoter del lavoro regolare; una sorta di account manager  l’ispettore  che dovrà presentarsi in azienda, scusandosi della perdita di tempo arrecata al laboriso datore di lavoro, promuovendo e divulagando la cultura della legalità del lavoro e verificando tutte le condizioni che consentano di non procedere all’irrogazione della sanzione; stop al momento repressivo e via libera alla persuasione, principio, però, valido nei confronti di taluni non di altri.
   4. – Il lavoro intermittente e quello accessorio: si tratta, come hanno avuto modo di affermare i rappresentanti dell’ala più riformista dell’universo sindacale, di tipologie lavorative di nicchia, riservate a poche migliaia di lavoratori; vero! Va detto però che, anche volendo escludere il peso che alcune scelte di principio possono  avere nella percezione della precarietà del lavoro e il lavoro intermittente contribuisce sicuramente a elevare il grado di tale percezione, ben venga qualche formula contrattuale magari capace di far parzialmente emergere qualche rapporto di lavoro irregolare, a patto però di non spacciare queste operazioni come decisive nella costruzione di un nuovo e moderno mercato del lavoro.
          Concludo, egregio professore, ricordando che il nostro Paese è stato culla del diritto del lavoro più evoluto e lei ne è un iilustre esempio; ma, oggi, l’unica voce che si diffonde in modo altisonante è quella dei giuslavoristi di corte, della cui dignità scientifica mi permetto di dubitare, in funzione del ruolo da essi assunto. 

          L’aspettattiva e l’auspicio è, pertanto, la presentazione di un vero e grande progetto riformatore del mercato del lavoro che parta dalle insopprimibili esigenze di tutela dei lavoratori, dai loro bisogni in riferimento alla pochezza del salario (certo da legarsi alla produttività ma nel manifatturiero la produttività di certo scarsa non è stata mentre il salario è rimasto sempre al palo) e alla necessità di lavoro stabile ovverosia di occupazione di qualità, priorità per il lavoratore ma anche per l’impresa se il lavoro umano si può ancora considerare una risorsa, coniugate con le fisologiche esigenze di flessibilità delle aziende,  progetto che non può che arrivare da una grande forza di centrosinistra che sappia, principalmente su questo tema, incalzare l’attuale maggioranza e ricondurre il dibattito politico a questioni sulle quali si possa accumulare un consenso civile per la costruzione di  una speranza di governo.
Cordiali saluti.
Alberto Lanza

E’ vero: l’accelerazione imposta dallo scioglimento anticipato delle Camere ha impedito al Partito Democratico di portare a compimento prima dell’avvio della nuova legislatura l’elaborazione precisa della propria politica del lavoro; ma le linee fondamentali di questa politica sono indicate in modo molto netto nel manifesto Per dare valore al lavoro del 14 marzo scorso. Sul versante del lavoro pubblico il discorso ha trovato una definizione precisa e – spero – ben articolata nel disegno di legge n. 746 presentato il 5 giugno scorso, attualmente in discussione alla Commissione Affari Costituzionali del Senato (abbinato al disegno di legge del ministro Brunetta): questo ci ha consentito e ci consente di svolgere su questo terreno un’azione molto incisiva , costringendo la maggioranza a confrontarsi puntualmente con le nostre proposte e, spero, ad attingere a esse per colmare le vistose lacune nel disegno di legge governativo. Sul versante del settore privato, concordo con lei: la definizione precisa delle scelte programmatiche del Pd è in ritardo; questo ci ha costretti, negli ultimi mesi, a “giocare di rimessa” sulle iniziative del Governo. Ma il lavoro di elaborazione procede – ricordo in particolare l’insieme delle proposte per la promozione del lavoro femminile – e verrà presto portato a sintesi, anche attraverso un ampio dibattito in seno al Pd, peraltro già avviato. Il mio lavoro, in questo periodo, è interamente dedicato a questo. E’ uscito proprio in questi giorni sulla rivista Italianieuropei l’articolo contenente il mio progetto, in funzione del quale nella primavera scorsa mi è stata proposta da Veltroni la candidatura al Parlamento; lo si può leggere nella sezione “Saggi” di questo sito insieme ai primi interventi di discussione di Pierpaolo Baretta e Paolo Nerozzi.  Rinvio a quello scritto per una risposta più puntuale alle sue puntualissime – e largamente condivisibili – osservazioni. (p.i.)

 

 

 

 

 

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