LA NUOVA DISPOSIZIONE CONFERMA SOSTANZIALMENTE UNA PRASSI SINDACALE PLURIDECENNALE: SE DAVVERO FOSSE PERICOLOSA E ANTICOSTITUZIONALE, NON SI SPIEGHEREBBE LA PLURIDECENNALE INERZIA SULLA MATERIA DI QUEGLI STESSI SINDACATI E AUTORITÀ PER LA PRIVACY CHE ORA PROTESTANO
Secondo editoriale per la Nwsl n. 358, 7 settembre 2015 – In argomento v. anche l’editoriale telegrafico del 19 giugno scorso, L’incoerenza di una protesta, e le precisazioni fattuali che ne scaturirono: i dati da me riportati in quell’occasione non sono mai stati smentiti né corretti – Segue la replica del Presidente dell’Autorità per la Protezione dei Dati personali, con una mia risposta.
La capacità della nostra vecchia sinistra politica e sindacale di perdere la testa (e la credibilità) sui temi del lavoro è sempre più stupefacente. Per un quarto di secolo in Italia si sono utilizzati pacificamente, quasi sempre senza alcun accordo sindacale preventivo, i cellulari aziendali, i pc collegati alla rete aziendale, poi il GPS sulle auto aziendali: strumenti tutti ai quali dovrebbe applicarsi l’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, che ne imporrebbe – caso unico al mondo – la contrattazione con le rappresentanze sindacali. E in questo stesso quarto di secolo non si è registrato neppure un caso di protesta da parte di un sindacato per l’omissione, né alcun caso giudiziale in proposito. Ora il legislatore interviene per eliminare questa evidente incongruenza della norma di 45 anni fa con l’evoluzione tecnologica, conservando la disposizione originaria riferita agli impianti di videosorveglianza ma esentando dalla contrattazione preventiva gli strumenti comuni di lavoro come telefonini, pc, GPS, o tablet; e comunque ribadendo che anche nell’uso aziendale di questi deve sempre essere rispettato in ogni sua parte il Codice della privacy. Apriti cielo: la vecchia sinistra politica, la Cgil e la Uil – rimaste per decenni in assoluto silenzio, quando avrebbero potuto esigere la contrattazione preventiva – si scatenano nella denuncia del Grande Fratello che d’ora in poi si attiverà in ogni luogo di lavoro attraverso questi strumenti. Non tornerei sull’argomento se non fosse che sulla questione ora interviene anche (Corriere del 2 settembre scorso) Giuseppe Busia, Segretario generale del Garante per la Privacy – del tutto silente anch’esso sul tema specifico negli anni passati, quando avrebbe potuto esigere l’applicazione rigorosa dell’articolo 4 (e per fortuna non lo ha fatto) – denunciando che “sono proprio computer, tablet, e telefonini a consentire i controlli più pervasivi” in azienda; e invitando il Governo a valutare i “possibili” profili di incostituzionalità della nuova disposizione. Se la nuova disposizione, che conferma una prassi pluridecennale di disapplicazione della vecchia, fosse davvero incostituzionale, non si spiegherebbe il pluridecennale silenzio del Garante per la Privacy sul punto. Se non lo è, il Garante farebbe meglio a impegnarsi nell’elaborazione di codici di buone pratiche – in questa materia, di problemi difficilmente risolvibili per legge con un taglio netto ce ne saranno sempre -, evitando di accodarsi all’ennesimo “al lupo al lupo” dei Vendola, Camusso e Barbagallo. Poi, volete scommettere che dal mese prossimo, passata questa occasione tutta politica, i controlli a distanza spariranno dai media per altri vent’anni?
LA REPLICA DEL GARANTE PER LA PRIVACY
Il senatore Pietro Ichino, nel suo blog, ci accusa di intervenire – evidentemente non nel senso che avrebbe auspicato – sul tema dei controlli a distanza sul lavoro, dopo un asserito “pluridecennale silenzio”. Ora, non pretendiamo ovviamente che il Senatore conosca i numerosissimi provvedimenti che abbiamo emanato su questo tema; da ultimo per precisare le condizioni che legittimano l’utilizzo della geolocalizzazione dei lavoratori con il gps degli smartphone. E non pretendiamo neppure che abbia letto i nostri numerosi interventi, anche in sedi parlamentari, sulla revisione della disciplina dei controlli a distanza che il Governo ha predisposto, in attuazione del Jobs Act.
Tuttavia, se solo il Senatore avesse prestato un minimo di attenzione a quanto da noi affermato in audizione, proprio sul decreto legislativo attuativo del Jobs Act, dinanzi alla Commissione Lavoro del Senato (di cui egli fa autorevolmente parte), avrebbe probabilmente inteso quale sia il vero tema di discussione. E cioè non la questione dell’applicazione della procedura concertativa anche a controlli di tipo diverso, quali la verifica dell’orario di lavoro mediante badge o il corretto uso del pc o del telefono aziendali ovvero, ancora, la geolocalizzazione con sistema satellitare.
Su questo aspetto più lavoristico non ci siamo soffermati, come potrà verificare anche scorrendo, negli atti parlamentari, il resoconto della nostra audizione. Abbiamo anzi condiviso l’esigenza di aggiornare una disciplina, quale quello dello Statuto dei lavoratori, che pur avendo introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento una specifica tutela della riservatezza, ha comunque richiesto interpretazioni evolutive (anche del Garante), volte ad adattare norme pensate per l’organizzazione fordista del lavoro alla realtà dell’internet delle cose, della sorveglianza di massa, del corpo elettronico. Ciò che abbiamo sottolineato è, invece, che per delineare – come imposto dal criterio di delega – un equilibrio ragionevole tra ragioni datoriali e tutela del lavoratore, tra economia e diritti, si sarebbe dovuto riflettere non tanto sulla concertazione sindacale, quanto sull’effettiva estensione e pervasività di questi controlli.
La disciplina proposta dallo schema di decreto consentiva infatti l’utilizzabilità dei dati raccolti mediante i controlli a distanza (previa concertazione o meno) per “tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”. Se questa formulazione venisse confermata nel testo definitivo del decreto (di cui ancora non disponiamo), si tratterebbe, indubbiamente, di un’innovazione non irrilevante. Soprattutto rispetto all’indirizzo giurisprudenziale che, ad esempio, ha escluso l’utilizzabilità dei dati ottenuti con controlli difensivi, per provare l’inadempimento contrattuale del lavoratore. E rispetto alla Raccomandazione del 1^ aprile del Consiglio d’Europa, che in particolare auspica la minimizzazione dei controlli difensivi o comunque rivolti agli strumenti elettronici; l’assoluta residualità dei controlli, con appositi sistemi informativi, sull’attività e il comportamento dei lavoratori in quanto tale; il tendenziale divieto di accesso alle comunicazioni elettroniche del dipendente.
Se, dunque, il testo definitivo restasse quello su cui ci siamo pronunciati, la possibilità del controllo dell’attività lavorativa e la conseguente utilizzabilità, anche a fini disciplinari, dei dati così acquisiti, diverrebbe in tal modo un “effetto naturale del contratto”, in quanto finirebbe con il discendere naturalmente dalla costituzione del rapporto di lavoro.
Ovviamente, la necessaria conformità del trattamento dei dati dei lavoratori al Codice privacy (prevista ma discendente dalla primazia del diritto europeo), consentirà l’applicazione di alcuni fondamentali principi (pertinenza, correttezza, non eccedenza del trattamento, divieto di profilazione), utili a impedire la sorveglianza massiva e totale del lavoratore. Tuttavia, una così rilevante estensione delle finalità per le quali utilizzare i dati dei lavoratori è un dato sul quale ci siamo sentiti in dovere di far riflettere le Camere e il governo.
I pareri espressi dalle Commissioni parlamentari (anche da quella di cui il Senatore fa parte) sembrano aver colto questa preoccupazione; vedremo quanto il governo ascolterà queste nostre riflessioni.
LA MIA RISPOSTA
Le cose non stanno così. Il contenuto effettivo dell’intervento compiuto dal legislatore delegato, con la riscrittura dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, consiste essenzialmente nell’esclusione degli strumenti direttamente utilizzati dal lavoratore (in particolare: cellulare, gps, pc collegato alla rete aziendale) dal campo di applicazione della regola della contrattazione preventiva con le r.s.a., posta originariamente per qualsiasi apparecchiatura che in qualsiasi modo potesse consentire un controllo a distanza della prestazione. Per tutti gli altri aspetti – quindi anche per tutte le questioni, diverse da quella della contrattazione preventiva, sulle quali l’Autorità è intervenuta negli anni passati – il legislatore del 2015 precisa esplicitamente che resta invariata la protezione del diritto alla riservatezza del lavoratore prevista dal Codice e presidiata dall’Autorità stessa. Il fatto che i dati acquisibili attraverso la gestione degli strumenti in questione possano essere utilizzati dall’impresa per fini propri dell’esecuzione del contratto, quindi anche per fini disciplinari, corrisponde a un principio già contenuto nel Codice della Privacy (in particolare, ma non soltanto, nell’articolo 24); la nuova norma pone, semmai, a questo proposito una regola nuova a protezione dei lavoratori – l’obbligo di informazione preventiva sulle modalità e i fini dell’utilizzazione dei dati – che prima non era in vigore. A parte quest’ultima garanzia aggiuntiva, la sola novità per ciò che riguarda cellulari, gps e pc collegati alla rete aziendale consiste nella conferma legislativa della loro esclusione dal campo di applicazione della regola della contrattazione preventiva: esclusione che peraltro corrisponde a una prassi costante degli ultimi anni, sulla quale – ripeto – né i sindacati né il Garante per la Privacy hanno mai avuto alcunché da ridire fino all’anno scorso. (p.i.)
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