“SGABBIARE” LA CONTRATTAZIONE NELL’IMPRESA È INDISPENSABILE PER UN MIGLIORE COLLEGAMENTO FRA RETRIBUZIONE E PERFORMANCE AZIENDALE E PER CONSENTIRE LA SCOMMESSA COMUNE DEI LAVORATORI CON L’IMPRENDITORE SUL PIANO INDUSTRIALE PIÙ INNOVATIVO
Intervista a cura di Fabio Paluccio, pubblicata dall’Agenzia di Stampa Adn Kronos il 21 agosto 2015
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Professor Ichino, come giudica l’ipotesi di riforma del sistema della contrattazione collettiva allo studio del governo?
Veramente non si può dire che ci sia già un disegno preciso del Governo per la riforma di questa materia. Diciamo che ci sono almeno due grossi punti fermi, che devono caratterizzare la riforma; tutto il resto, compresi gli strumenti giuridici della riforma, in particolare i rapporti tra legge e accordi interconfederali – deve essere ancora deciso.
Quali punti fermi?
Il primo è l’allineamento del nostro sistema di relazioni industriali con quelli dei nostri maggiori partner europei, a cominciare dalla Germania, che prevedono la possibilità che il contratto aziendale non soltanto deroghi parzialmente al contratto collettivo nazionale, ma anche lo sostituisca integralmente. Ovviamente è necessario per questo un requisito di rappresentatività maggioritaria dell’associazione o coalizione sindacale stipulante: e questo è il secondo punto fermo.
Ma su questo punto ci sono gli accordi interconfederali.
Si, ma quegli accordi non coprono l’intero tessuto produttivo. E qualsiasi impresa può chiamarsene fuori non iscrivendosi all’associazione imprenditoriale stipulante.
Quanto si avvicina la sua proposta a quel che vuole fare il Governo?
È solo una delle soluzioni possibili. Il mio disegno di legge dell’agosto 2013 [d.d.l. 5 agosto 2013 n. 993 – N.d.R.] è molto semplice e leggero: in sostanza propone di proporzionare il numero dei rappresentanti sindacali ai voti che ciascun sindacato ha preso nell’ultima consultazione elettorale triennale per la costituzione delle rappresentanze aziendali. Per avere un rappresentante occorre superare la soglia minima del 5 per cento. Poi, chi ha la maggioranza dei rappresentanti è legittimato a contrattare, anche in deroga al ccnl.
Che cosa è che non va oggi nel sistema dei contratti nazionali?
Dopo la vicenda Fiat del 2010, con gli accordi interconfederali del 2011, 2013 e 2014 sono stati fatti dei notevoli passi avanti. Ma in base a questi accordi non è ancora possibile la contrattazione di un piano industriale aziendale a 360 gradi. Per esempio, al livello di impresa non è consentito modificare la struttura della retribuzione rispetto a quanto previsto dal ccnl.
Che cosa significa modificare la struttura della retribuzione?
Oggi in Italia la parte della retribuzione che viene stabilita in misura fissa dal contratto nazionale costituisce tra il 90 e il 95 per cento del monte salari. Può invece essere interesse dei lavoratori, soprattutto nelle regioni più depresse, scommettere su di un piano industriale che preveda uno zoccolo fisso più basso e la parte restante della retribuzione variabile in relazione a indici di produttività o di redditività aziendale. Ma una modifica della struttura della retribuzione può implicare anche una modifica del sistema di inquadramento professionale. Insomma, occorre rendere possibile la scommessa comune sul piano industriale innovativo. E il mestiere del sindacato, nel XXI secolo, consiste proprio nel guidare i lavoratori nella valutazione del piano e, in caso positivo, nella negoziazione della scommessa su di esso.
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