INVECE DI “SALVARE POSTI” TENENDO COSTOSAMENTE IN VITA LE AZIENDE POCO PRODUTTIVE, DOBBIAMO INVESTIRE SUL PASSAGGIO DEI LAVORATORI ALLE AZIENDE MIGLIORI, CHE CERCANO MANODOPERA QUALIFICATA SENZA TROVARLA
Terzo editoriale telegrafico per la Nwsl n. 357, 10 agosto 2015.
In Italia è bassa e stenta a crescere la produttività del lavoro media. Ed è un male. Ma la nostra fortuna è che a questa media contribuiscono imprese nelle quali la produttività è molto più bassa (quando non è pari a zero, come in tutte quelle nelle quali i lavoratori stanno per anni in Cassa integrazione a zero ore) e imprese nelle quali la produttività del lavoro è molto superiore. Si dà, poi, il caso che in queste ultime centinaia di migliaia di posti restino permanentemente scoperti perché non si trovano le persone dotate delle capacità necessarie. Per avere più lavoro e meglio retribuito, per tornare a crescere, occorrerebbe dunque favorire in tutti i modi il passaggio di lavoratori dalle imprese in crisi a quelle che “tirano”, investendo sulla riqualificazione necessaria. Solitamente, invece, facciamo l’esatto contrario: quando un’impresa è in crisi, facciamo di tutto per tenerla in vita, talvolta con rilevanti costi pubblici e sacrifici retributivi per i lavoratori; vantandoci poi di avere “salvato quei posti di lavoro”. Così facendo, contribuiamo (costosamente) soltanto a tenere bassa la produttività del lavoro italiano. Favorire in tutti i modi possibili il passaggio di quei lavoratori alle imprese che “tirano”, compensandoli adeguatamente del disagio del passaggio, costa meno e rende molto di più sia all’economia italiana, sia a loro stessi. Questo è ciò che si propone la riforma del lavoro di cui si completa l’attuazione legislativa nelle prossime settimane. Ma la legge non basta: occorre anche che cambi la nostra cultura del lavoro.
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