GLI SCIOPERI INCONSULTI: UNA RINUNCIA NAZIONALE AL BUON SENSO

SCIOPERI (O ASSEMBLEE SINDACALI: È LO STESSO) DI ALITALIA, DEI TRASPORTI ROMANI,  DEGLI ADDETTI AL COLOSSEO O AGLI SCAVI DI POMPEI NEL PERIODO PIÙ CRITICO PER IL TURISMO: NON POSSIAMO PROPRIO PERMETTERCI QUESTA AUTOLESIONISTICA ECLISSI DEL SENSO CIVICO 

Articolo di Francesco Cancellato pubblicato su Linkiesta il 24 luglio 2015 – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico del 27 luglio 2015,  dello stesso giorno e il disegno di legge presentato il 14 luglio sullo sciopero nei trasporti pubblici, mirato ad allineare la nostra disciplina della materia agli ordinamenti tedesco e britannico .

Uno sciopero dei dipendenti Alitalia che costringe a cancellare il 15% dei voli, in un venerdì di arrivi e partenze. Un’assemblea sindacale degli addetti del sito archeologico di Pompei che tiene chiuso il sito per ore, con file di turisti fuori ad aspettare al caldo. Uno sciopero bianco dei dipendenti Atac, che dura da ventiquattro giorni e blocca i mezzi pubblici di Roma nel bel mezzo della stagione estiva.

Basterebbe la cronaca di questo folle venerdì 24 luglio – o forse sarebbe meglio dire di queste folli settimane – per definire e circoscrivere se non IL problema perlomeno uno dei principali problemi dell’Italia. No, non stiamo parlando della sua eccessiva sindacalizzazione. E nemmeno delle eccessive garanzie di cui godono i dipendenti pubblici – o di aziende ex pubbliche come Alitalia – completamente disconnesse dal resto del paese e della realtà.

Parliamo di un sito archeologico – uno dei più importanti che abbiamo – che viene quasi esclusivamente citato come esempio di come non si dovrebbe avere cura del patrimonio culturale di un Paese. Di una delle peggiori aziende di trasporto pubblico d’Italia, i cui dipendenti lavorano poco più della metà del tempo dei loro colleghi milanesi. Di una compagnia aerea che se non fosse stata comprata dagli arabi di Etihad sarebbe fallita nel giro di pochi mesi.

Non serve nemmeno mettersi nei panni degli altri, in questo caso. Del turista che avrebbe voluto vedere Pompei e che non ci è riuscito. Della famiglia in partenza per le ferie che non è partita. Dell’albergatore o del ristoratore dal quale non è mai arrivato il cliente che stava aspettando. Dell’operatore turistico che nonostante lavori in una delle più belle città del mondo legge articoli come quello, recentissimo, del New York Times che descrivono la città come un luogo da evitare e vede i visitatori diminuire di anno in anno.

Non serve perché le vittime siamo tutti noi. Perché qualcuno, non da ieri o da oggi, ma da decenni, sta bruciando il nostro petrolio, quel patrimonio di arte, storia, cultura, paesaggi che dovrebbero farci essere la prima meta turistica del mondo, per distacco.

Se non lo è, è per colpa di lavoratori che non hanno la benché minima consapevolezza del loro ruolo economico e sociale e del danno che producono  con i loro comportamenti. Di amministratori e manager che hanno fatto il loro lavoro peggio che potevano. Di sindacati incapaci di distinguere un privilegio da un diritto acquisito. Di politici che nel migliore dei casi hanno alzato le braccia, impotenti, di fronte allo sfascio, e fanno un po’ di ammuina quando il bubbone esplode.

Quel che dobbiamo chiederci è perché stiamo lì a guardare

La colpa, però, è un po’ anche nostra. Provate a chiudere gli occhi e a immaginare una Pompei in grado di attrarre ogni anno tanti visitatori quanti ne ha attirati la mostra del British Museum dedicata a Pompei. O Roma con una rete trasporti pubblici del livello di quella di Berlino (e vi prego risparmiateci l’alibi del “dove scavi trovi qualcosa”, in una città in cui i palazzinari hanno gettato ovunque le loro fondamenta). O ancora, una compagnia di bandiera e un sistema aeroportuale efficiente, non condizionato dalle clientele politiche e dai provincialismi.

Ora riapriteli. Di fronte a voi, a noi, c’è solo petrolio che brucia. Sappiamo chi lo brucia. E sappiamo anche perché. Quel che dobbiamo chiederci è perché stiamo lì a guardare, senza nemmeno provare a spegnere l’incendio.

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