SULLA CONTRATTAZIONE NEL PUBBLICO UNA SENTENZA-VADEMECUM

LA CORTE COSTITUZIONALE, NEL GIUDICARE ILLEGITTIMO IL PROTRARSI DEL BLOCCO DELLA NEGOZIAZIONE COLLETTIVA, ESCLUDE PERÒ CHE NE DERIVI IL DIRITTO AD AUMENTI SALARIALI GENERALIZZATI E ANZI INDICA LA VIA DI UN NESSO TRA AUMENTI E MERITO  

Estratto dalla motivazione della sentenza della Corte costituzionale 23 luglio 2015 n. 178, estensore Silvana Sciarra, preceduto da una sintesi e un mio  breve commento – L’evidenziazione in grassetto di alcuni passaggi più rilevanti della motivazione è opera della redazione di questo post – In argomento v. anche il mio editoriale telegrafico dell’8 giugno 2015.

SINTESI DELLA MOTIVAZIONE E BREVE COMMENTO

I paragrafi da 1 a 14 della motivazione della sentenza sono dedicati a respingere una serie di censure di incostituzionalità delle norme legislative che hanno disposto il blocco temporaneo della contrattazione collettiva nel settore pubblico dal 2010 in poi. In questi paragrafi la Corte ribadisce la piena legittimità – già affermata in sentenze precedenti – dell’intervento del legislatore volto a far fronte a esigenze eccezionali di riequilibrio del bilancio pubblico; riafferma alcune peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato, che permangono anche dopo la c.d. “contrattualizzazione” dell’impiego pubblico; e nega che il blocco temporaneo abbia determinato una situazione di insufficienza della retribuzione alla stregua dell’articolo 36 Cost., osservando che prima del blocco i livelli salariali del settore pubblico si erano già attestati su livelli superiori, a parità di contenuto della prestazione lavorativa, rispetto al settore privato (§ 14.1). Nella parte successiva la Corte osserva, tuttavia, che, considerate le circostanze,  l’ultima proroga del blocco finisce col rendere questa misura strutturale, contravvenendo non all’articolo 36 Cost. (che tutela il livello minimo di trattamento retributivo dei lavoratori), bensì all’articolo 39, che sancisce il principio di autonomia collettiva, cioè il riconoscimento del potere delle coalizioni sindacali di regolare mediante contratti collettivi le condizioni di lavoro dei propri rappresentati.

Nell’affermare l’illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico, tuttavia, la Corte riafferma, nel § 14.1, anche alcuni principi molto rilevanti. Innanzitutto quello per cui  alla contrattazione collettiva spetta non soltanto il compito di stabilire livelli minimi di trattamento, ma anche quello di valorizzare il merito individuale o di gruppo degli impiegati pubblici. In secondo luogo quello per cui lo Stato-datore di lavoro resta comunque obbligato dall’articolo 81 Cost., ovviamente anche in sede di negoziazione dei trattamenti con i rappresentanti dei propri dipendenti, al rispetto del pareggio di bilancio: nel § 18 la Corte precisa dunque esplicitamente che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, “disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato”. In altre parole: riapertura delle trattative non significa affatto l’attivazione di un “diritto agli aumenti retributivi”.

Le tre importanti precisazioni qui evidenziate – i) non insufficienza del minimo retributivo attuale, nonostante il blocco quinquennale ii) inesistenza di alcun “vincolo di risultato” della contrattazione, iii) funzione di valorizzazione del merito propria della contrattazione collettiva – possono costituire un importante vademecum per chi rappresenterà le amministrazioni pubbliche al tavolo delle trattative che si riapriranno presumibilmente in autunno: esse convergono nell’indicare che gli aumenti retributivi potranno essere destinati a premiare il merito dei singoli dipendenti o dei comparti che si saranno distinti per il conseguimento di obiettivi specifici e misurabili di efficienza ed efficacia del servizio ad essi affidato.

 

I PASSAGGI ESSENZIALI DELLA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA

[…]

9.2.– Altre censure sono accomunate dal riferimento all’art. 3, primo comma, Cost., evocato dal Tribunale ordinario di Roma anche in rapporto ai doveri di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., e additano, in prima istanza, un’ingiustificata disparità di trattamento tra il lavoro pubblico e il lavoro privato.

Neppure tali censure sono fondate.

[…]

I giudici rimettenti non tengono conto della diversità degli statuti professionali delle categorie appartenenti al lavoro pubblico e comparano fattispecie dissimili, che non possono fungere da utile termine di raffronto.

Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere in tutto e per tutto assimilati (sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in séguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

La medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. Tale eterogeneità preclude ogni plausibile valutazione comparativa sul versante dell’art. 3, primo comma, Cost. e risalta ancor più netta in ragione dell’irriducibile specificità di taluni settori (forze armate, personale della magistratura), non governati dalla logica del contratto e indicati dal giudice ravennate come tertia comparationis. Si valorizza in tal modo una funzione solidaristica delle misure adottate, strettamente collegata all’eccezionalità della situazione economica generale, in piena armonia con il dettato dell’art. 2 Cost.

[…]

10.2.– Quanto ai vincoli legali all’autonomia collettiva, volti a garantire la «compatibilità con obiettivi generali di politica economica», questa Corte ne ha riconosciuto la legittimità, giustificando in «situazioni eccezionali» ed eminentemente transitorie, allorché sia in gioco la «salvaguardia di superiori interessi generali», la compressione della libertà tutelata dall’art. 39, primo comma, Cost. (sentenza n. 124 del 1991, punto 6. del Considerato in diritto).

Anche tali rilievi sottendono una valutazione particolare, condotta caso per caso, e non si accordano con la tesi che sia per ciò stesso illegittima ogni misura che precluda, per un arco di tempo comunque definito, gli incrementi salariali e arresti lo svolgimento delle procedure negoziali.

10.3.– Tale valutazione si incentra sul contemperamento dei diritti, tutelati dagli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost., con «l’interesse collettivo al contenimento della spesa pubblica», che deve essere adeguatamente ponderato «in un contesto di progressivo deterioramento degli equilibri della finanza pubblica» (sentenza n. 361 del 1996, punto 3. del Considerato in diritto).

Si tratta di misure oggi più stringenti, in séguito all’introduzione nella Carta fondamentale dell’obbligo di pareggio di bilancio (art. 81, primo comma, Cost., come sostituito dall’art. 1 della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, recante «Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale»).

Il sistema della contrattazione collettiva nel lavoro pubblico, inteso nella sua interezza, contempla la pianificazione degli oneri connessi al suo svolgersi nel tempo, secondo un modello dinamico, «in coerenza con i parametri previsti dagli strumenti di programmazione e di bilancio di cui all’articolo 1-bis della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni» (art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).

11.– Ciò posto, l’analisi deve muovere dalle disposizioni dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, che reca l’eloquente rubrica «Contenimento delle spese in materia di impiego pubblico» e, in ossequio a tale linea programmatica, preclude ogni incremento dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti per gli anni 2011, 2012, 2013 (comma 1), ogni efficacia economica delle progressioni di carriera (comma 21), e – per il periodo che dal 1° gennaio 2011 giunge fino al 31 dicembre 2013 – vieta ogni incremento dell’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale (comma 2-bis).

La scelta di adottare disposizioni restrittive culmina nella sospensione dello svolgimento delle procedure “contrattuali e negoziali” per il triennio 2010-2012 (comma 17).

12.– Le disposizioni in esame sfuggono alle censure dei giudici rimettenti.

[…]

Spetta alla legge di stabilità indicare, per ciascuno degli anni compresi nel bilancio pluriennale, l’importo complessivo massimo destinato al rinnovo dei contratti del pubblico impiego (art. 11, comma 3, lettera g, della legge n. 196 del 2009, ai sensi dell’art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).

12.2.– La legittimità delle misure ricordate, oltre che nella prospettiva programmatica ora esposta, risiede nella ragionevolezza che ne ispira le linee direttrici.

Si tratta, invero, di provvedimenti che, pur diversamente modulati, si applicano all’intero comparto pubblico e impongono limiti e restrizioni generali, in una dimensione che questa Corte ha connotato in senso solidaristico (sentenza n. 310 del 2013, punto 13.5. del Considerato in diritto, già citato).

La ragionevolezza delle misure varate discende anche dalla particolare gravità della situazione economica e finanziaria, concomitante con l’intervento normativo.

Tali dati contingenti sono confermati sia dalle fonti ufficiali (Rapporto semestrale ARAN sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, giugno 2010), sia dai lavori preparatori. Il dibattito che, al Senato, scandisce l’iter parlamentare della conversione in legge del decreto polarizza l’attenzione sulla «particolare gravità della situazione economica e finanziaria internazionale» e sulle «ripercussioni sull’economia nazionale» (seduta della Quinta Commissione del Senato – Commissione Bilancio – del 16 giugno 2010).

Dal canto suo, la magistratura contabile avvalora l’urgenza di intervenire con misure di contenimento delle retribuzioni (Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica, e Corte dei conti, sezioni riunite in sede di controllo, rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica).

La ragionevolezza dell’intero impianto normativo si coglie anche nell’incidenza delle misure su una dinamica retributiva pubblica, che si attestava «su valori più sostenuti di quanto registrato nei settori privati dell’economia» (si veda il citato Rapporto semestrale ARAN, giugno 2010). Nella seduta della Quinta Commissione del Senato (Commissione Bilancio), tenutasi il 16 giugno 2010, si è sottolineato che nell’ultimo decennio le retribuzioni dei dipendenti pubblici hanno visto «un incremento di fatto sensibilmente superiore per la pubblica amministrazione rispetto a quello degli altri due comparti» dell’industria e dei servizi di mercato. Tale dato collima con quanto è stato segnalato dalla Corte dei conti, sezioni riunite di controllo, nel rapporto 2012 sul coordinamento della finanza pubblica.

Il carattere generale delle misure varate dal d.l. n. 78 del 2010, inserite in un disegno organico improntato a una dimensione programmatica, scandita su un periodo triennale, risponde all’esigenza di governare una voce rilevante della spesa pubblica, che aveva registrato una crescita incontrollata, sopravanzando l’incremento delle retribuzioni del settore privato.

Sono dunque da disattendere le censure di violazione degli artt. 36, primo comma, e 39, primo comma, Cost., in quanto il sacrificio del diritto alla retribuzione commisurata al lavoro svolto e del diritto di accedere alla contrattazione collettiva non è, nel quadro ora delineato, né irragionevole né sproporzionato.

13.– Quanto alle disposizioni introdotte dall’art. 16, comma 1, lettera b), del d.l. n. 98 del 2011, che demandavano a un regolamento la possibilità di prorogare fino al 31 dicembre 2014 le vigenti disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici anche accessori del personale delle pubbliche amministrazioni, si deve rilevare che il sindacato di costituzionalità non può tralasciare le norme della legge di stabilità per il 2014, che hanno recuperato al rango primario la normativa di matrice regolamentare (d.P.R. n. 122 del 2013), inizialmente intervenuta a specificare e a completare il contenuto precettivo delle norme di legge (sentenza n. 1104 del 1988, punto 6. del Considerato in diritto). In particolare, le previsioni di tale legge riguardano la sospensione delle procedure negoziali inerenti alla parte economica per il periodo 2013-2014 (art. 1, comma 453, della legge n. 147 del 2013) e la limitazione dell’ammontare dei trattamenti accessori (art. 1, comma 456, della legge n. 147 del 2013).

Intercorre, dunque, un nesso inscindibile tra le disposizioni del d.l. n. 98 del 2011, specificamente impugnate, e le disposizioni della legge di stabilità per il 2014 (sentenze n. 186 del 2013 e n. 310 del 2010).

14.– In primo luogo, si devono esaminare le censure relative all’estensione fino al 31 dicembre 2014 delle disposizioni mirate a bloccare l’incremento dei trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti e dell’ammontare complessivo delle risorse destinate ai trattamenti accessori e gli effetti economici delle progressioni di carriera (art. 1, comma 1, lettera a, del d.P.R. n. 122 del 2013), estensione di cui si deduce anzitutto il contrasto con l’art. 36, primo comma, Cost.

Sotto tale profilo, le censure formulate con riguardo all’estensione delle misure restrittive oltre i confini temporali originariamente tracciati non si dimostrano fondate, al pari di quelle che riguardavano le originarie disposizioni del d.l. n. 78 del 2010.

14.1.– Entrambi i giudici rimettenti paventano i riflessi del prolungato blocco della dinamica negoziale sulla proporzionalità della retribuzione al lavoro prestato.

[…]

Neppure tali rilievi persuadono circa la fondatezza dei dubbi di costituzionalità.

Si deve ribadire, in linea di principio, che l’emergenza economica, pur potendo giustificare la stasi della contrattazione collettiva, non può avvalorare un irragionevole protrarsi del “blocco” delle retribuzioni. Si finirebbe, in tal modo, per oscurare il criterio di proporzionalità della retribuzione, riferito alla quantità e alla qualità del lavoro svolto (sentenza n. 124 del 1991, punto 6. del Considerato in diritto).

Tale criterio è strettamente correlato anche alla valorizzazione del merito, affidata alla contrattazione collettiva, ed è destinato a proiettarsi positivamente nell’orbita del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Nondimeno, il giudizio sulla conformità al parametro dell’art. 36 Cost. non può essere svolto in relazione a singoli istituti, né limitatamente a periodi brevi, poiché si deve valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza, alla luce del canone della onnicomprensività (sentenza n. 154 del 2014). Con tale valutazione complessiva l’ordinanza non si confronta.

Nel considerare – alla stregua della giurisprudenza di questa Corte – un siffatto arco temporale, si deve notare, anzitutto, che le disposizioni censurate hanno cessato di operare a decorrere dal 1° gennaio 2015.

La legge di stabilità per il 2015 non ne ha prorogato l’efficacia, in quanto ha dettato disposizioni che riguardano unicamente l’estensione fino al 31 dicembre 2015 del “blocco” della contrattazione economica (art. 1, comma 254, della legge n. 190 del 2014) ed escludono gli incrementi dell’indennità di vacanza contrattuale (art. 1, comma 255, della medesima legge n. 190 del 2014). Emerge dunque con chiarezza l’orizzonte delimitato entro cui si collocano le misure restrittive citate.

Tra i fattori rilevanti, da valutare in un arco temporale più ampio, si deve annoverare, in secondo luogo, la pregressa dinamica delle retribuzioni nel lavoro pubblico, che, attestandosi su valori più elevati di quelli riscontrati in altri settori, ha poi richiesto misure di contenimento della spesa pubblica.

[…]

Peraltro, dall’incremento delle pendenze da trattare, congiunto con l’assottigliarsi del numero dei dipendenti, non si può inferire, per ciò stesso, un aumento del carico di lavoro, che renda radicalmente sproporzionata la retribuzione percepita.

Un’inferenza come quella ipotizzata potrebbe essere accreditata di un qualche fondamento empirico, soltanto se le metodologie di lavoro e i moduli organizzativi permanessero inalterati, senza riverberarsi sul lavoro degli uffici, e se il disbrigo degli affari avvenisse secondo le medesime scansioni temporali, imponendo conseguentemente ai dipendenti un carico di lavoro più gravoso.

Nel caso di specie, pertanto, alla stregua di una valutazione necessariamente proiettata su un periodo più ampio e del carattere non decisivo degli elementi addotti a fondamento delle censure, non risulta dimostrato l’irragionevole sacrificio del principio di proporzionalità della retribuzione.

14.2.– L’infondatezza delle censure incentrate sull’art. 36, primo comma, Cost. ha come corollario l’infondatezza di eventuali pretese risarcitorie o indennitarie.

15.– Sono, invece, fondate, nei termini di cui si dirà, le censure mosse, al regime di sospensione per la parte economica delle procedure contrattuali e negoziali in riferimento all’art. 39, primo comma, Cost. Esse si incentrano sul protrarsi del “blocco” negoziale, così prolungato nel tempo da rendere evidente la violazione della libertà sindacale

15.1.– Le norme impugnate dai giudici rimettenti e le norme sopravvenute della legge di stabilità per il 2015 si susseguono senza soluzione di continuità, proprio perché accomunate da analoga direzione finalistica.

Tale scansione temporale preclude, in relazione all’art. 39, primo comma, Cost., ogni considerazione atomistica del “blocco” della contrattazione economica per il periodo 2013-2014, avulso dalla successiva proroga. Il “blocco”, così come emerge dalle disposizioni che, nel loro stesso concatenarsi, ne definiscono la durata complessiva, non può che essere colto in una prospettiva unitaria.

Ciò risulta anche dalla formulazione letterale dell’art. 1, comma 254, della legge n. 190 del 2014, che estende fino al 2015 il “blocco” ed è quindi destinato a incidere sui giudizi in corso.

[…]

Inoltre, l’entrata in vigore delle disposizioni della legge di stabilità per il 2015 tende a rendere strutturali le misure introdotte per effetto del d.P.R. n. 122 del 2013 e della legge n. 147 del 2013.

Il fatto che tali misure fossero destinate a perpetuarsi nel tempo si evince dall’art. 1, comma 255, della legge n. 190 del 2014, che, fino al 2018, cristallizza l’ammontare dell’indennità di vacanza contrattuale ai valori del 31 dicembre 2013.

Il carattere strutturale delle misure e la conseguente violazione dell’autonomia negoziale non possono essere esclusi, sol perché, per la tornata 2013-2014, è stata salvaguardata la libertà di svolgere le procedure negoziali riguardanti la parte normativa (art. 1, comma 1, lettera c, del d.P.R. n. 122 del 2013).

La contrattazione deve potersi esprimere nella sua pienezza su ogni aspetto riguardante la determinazione delle condizioni di lavoro, che attengono immancabilmente anche alla parte qualificante dei profili economici.

Non appaiono decisivi, per escludere il contrasto con l’art. 39, primo comma, Cost., i molteplici contratti enumerati dalla difesa dello Stato, che non attestano alcun superamento della sospensione delle procedure negoziali per la parte squisitamente economica del rapporto di lavoro e per gli aspetti più caratteristici di tale àmbito.

L’estensione fino al 2015 delle misure che inibiscono la contrattazione economica e che, già per il 2013-2014, erano state definite eccezionali, svela, al contrario, un assetto durevole di proroghe. In ragione di una vocazione che mira a rendere strutturale il regime del “blocco”, si fa sempre più evidente che lo stesso si pone di per sé in contrasto con il principio di libertà sindacale sancito dall’art. 39, primo comma, Cost.

16.– La libertà sindacale è tutelata dall’art. 39, primo comma, Cost., nella sua duplice valenza individuale e collettiva, e ha il suo necessario complemento nell’autonomia negoziale (ex plurimis, sentenze n. 697 del 1988, punto 3. del Considerato in diritto, e n. 34 del 1985, punto 4. del Considerato in diritto).

[…]

17.– Il reiterato protrarsi della sospensione delle procedure di contrattazione economica altera la dinamica negoziale in un settore che al contratto collettivo assegna un ruolo centrale (sentenza n. 309 del 1997, punti 2.2.2., 2.2.3. e 2.2.4. del Considerato in diritto). Nei limiti tracciati dalle disposizioni imperative della legge (art. 2, commi 2, secondo periodo, e 3-bis del d.lgs. n. 165 del 2001), il contratto collettivo si atteggia come imprescindibile fonte, che disciplina anche il trattamento economico (art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001), nelle sue componenti fondamentali ed accessorie (art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001), e «i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali» (art. 40, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001).

In una costante dialettica con la legge, chiamata nel volgere degli anni a disciplinare aspetti sempre più puntuali (art. 40, comma 1, secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 165 del 2001), il contratto collettivo contempera in maniera efficace e trasparente gli interessi contrapposti delle parti e concorre a dare concreta attuazione al principio di proporzionalità della retribuzione, ponendosi, per un verso, come strumento di garanzia della parità di trattamento dei lavoratori (art. 45, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001) e, per altro verso, come fattore propulsivo della produttività e del merito (art. 45, comma 3, del d.lgs. 165 del 2001).

Il contratto collettivo che disciplina il lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni si ispira, proprio per queste peculiari caratteristiche che ne garantiscono l’efficacia soggettiva generalizzata, ai doveri di solidarietà fondati sull’art. 2 Cost.

Tali elementi danno conto sia delle molteplici funzioni che, nel lavoro pubblico, la contrattazione collettiva riveste, coinvolgendo una complessa trama di valori costituzionali (artt. 2, 3, 36, 39 e 97 Cost.), in un quadro di tutele che si è visto essere presidiato anche da numerose fonti sovranazionali, sia delle disarmonie e delle criticità, che una protratta sospensione della dinamica negoziale rischia di produrre.

Se i periodi di sospensione delle procedure “negoziali e contrattuali” non possono essere ancorati al rigido termine di un anno, individuato dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione a misure diverse e a un diverso contesto di emergenza (sentenza n. 245 del 1997, ordinanza n. 299 del 1999), è parimenti innegabile che tali periodi debbano essere comunque definiti e non possano essere protratti ad libitum.

Su tale linea converge anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha sottolineato l’esigenza di «un “giusto equilibrio” tra le esigenze di interesse generale della comunità e i requisiti di protezione dei diritti fondamentali dell’individuo» e ha salvaguardato le misure adottate dal legislatore portoghese – in tema di riduzione dei trattamenti pensionistici – sulla scorta dell’elemento chiave del limite temporale che le contraddistingue (Seconda sezione, sentenza 8 ottobre 2013, António Augusto da Conceiçao Mateus e Lino Jesus Santos Januário contro Portogallo, punti 23 e seguenti del Considerato in diritto).

Il carattere ormai sistematico di tale sospensione sconfina, dunque, in un bilanciamento irragionevole tra libertà sindacale (art. 39, primo comma, Cost.), indissolubilmente connessa con altri valori di rilievo costituzionale e già vincolata da limiti normativi e da controlli contabili penetranti (artt. 47 e 48 del d.lgs. n. 165 del 2001), ed esigenze di razionale distribuzione delle risorse e controllo della spesa, all’interno di una coerente programmazione finanziaria (art. 81, primo comma, Cost.).

Il sacrificio del diritto fondamentale tutelato dall’art. 39 Cost., proprio per questo, non è più tollerabile.

Solo ora si è palesata appieno la natura strutturale della sospensione della contrattazione e può, pertanto, considerarsi verificata la sopravvenuta illegittimità costituzionale, che spiega i suoi effetti a séguito della pubblicazione di questa sentenza.

18.– Rimossi, per il futuro, i limiti che si frappongono allo svolgimento delle procedure negoziali riguardanti la parte economica, sarà compito del legislatore dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrattuale, scegliendo i modi e le forme che meglio ne rispecchino la natura, disgiunta da ogni vincolo di risultato.

Il carattere essenzialmente dinamico e procedurale della contrattazione collettiva non può che essere ridefinito dal legislatore, nel rispetto dei vincoli di spesa, lasciando impregiudicati, per il periodo già trascorso, gli effetti economici derivanti dalla disciplina esaminata.

[…]
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