LA MIA RELAZIONE SUL DECRETO ATTUATIVO IN MATERIA DI CASSA INTEGRAZIONE

UN DECRETO SCRITTO BENE, CHE VA INTEGRATO CON UNA NORMA SEMPLICE E CHIARA DI DISCIPLINA CIVILISTICA GENERALE DELLA SOSPENSIONE DEL LAVORO – RESTA INADEMPIUTA LA DELEGA IN MATERIA DI RIDUZIONE DEL CONTRIBUTO CON CUI LA CIG SI FINANZIA – LA QUESTIONE DEI CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ C.D. “ESPANSIVI”

La relazione che ho svolto il 25 giugno 2015 alla Commissione Lavoro del Senato sullo schema di decreto attuativo della legge n. 183/2014 in materia di Cassa integrazione (A.G. n. 179/2015) – È disponibile su questo sito il testo di questo schema di decreto; ivi il link ai testi degli altri decreti già emanati e schemi di decreti attualmente all’esame del Parlamento – V. anche la bozza di parere che ho proposto alla Commissione Lavoro sullo stesso schema di decreto, all’esito della discussione.

Relazione alla 11ma Commissione permanente del Senato, Lavoro e Previdenza Sociale, sullo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, in attuazione della legge n. 183/2014”, presentato dal Governo alla Presidenza del Senato il 16 giugno 2015 (A.G. n.179)

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Sommario
1. L’oggetto della delega legislativa e la parte di essa contenuta nel decreto in esame.
2. I principi e i criteri direttivi della delega.
3. Opportunità di un chiarimento preliminare circa la natura della Cassa integrazione guadagni, il potere contrattuale di sospensione della prestazione lavorativa e il suo riflesso sull’obbligazione retributiva gravante sull’imprenditore nei confronti del dipendente interessato.
4. Possibile contenuto del necessario chiarimento preliminare circa la natura della CIG e il potere contrattuale di sospensione della prestazione.
5. Contenuto dello schema di decreto in tema di Cassa integrazione guadagni e di contrati di solidarietà.
6. La questione del necessario ridimensionamento dei contributi sulla retribuzione corrente per il finanziamento della CIG.
7. Contenuto dello schema di decreto in tema di fondi di solidarietà.
8. In tema di contribuzione e finanziamento dei trattamenti di integrazione guadagni.
9. Estensione del trattamento agli apprendisti.
10. Disposizioni transitorie e finali.

1. L’oggetto della delega legislativa e la parte di essa contenuta nel decreto in esame

Sulla materia degli ammortizzatori sociali, oggetto della delega di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, della legge n. 183/2014, è già stato emanato il decreto legislativo 4 marzo 2015 n.22, recante la nuova disciplina degli strumenti di tutela e sostegno in caso di disoccupazione involontaria. Lo schema di decreto al nostro esame verte invece principalmente sulla materia della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, dei contratti di solidarietà e dei fondi di solidarietà bilaterali, cioè delle forme di sostegno del reddito a lavoratori non disoccupati, la cui prestazione sia stata oggetto di sospensione o riduzione d’orario in conseguenza di un impedimento o di una crisi aziendale a carattere temporaneo.

Più precisamente, lo scopo di questo provvedimento, in adempimento della legge-delega, è di sostituire, riordinandone il contenuto – ed eliminando gli aspetti di non chiarezza fonte di possibile contenzioso – tutte le disposizioni concernenti la sospensione della prestazione lavorativa nell’interesse del datore di lavoro e i corrispondenti strumenti di sostegno del reddito dei dipendenti coinvolti, stratificatesi nell’arco degli ultimi settant’anni: sono infatti ancora in vigore disposizioni emanate nel 1945. Va detto fin d’ora che il testo legislativo appare scritto in modo semplice e chiaro, e strutturato in modo ordinato, adempiendo dunque correttamente la parte del mandato relativo alla chiarezza e alla semplificazione contenuto nella legge-delega. Basti, in proposito, confrontare il testo stesso dello schema con la congerie disordinata delle norme elencate nell’articolo 44, che vengono abrogate.

2. I principi e i criteri direttivi della delega

In riferimento alla materia dell’integrazione salariale nei periodi di sospensione della prestazione lavorativa, i principi e i criteri direttivi della disciplina di delega – oltre a indicare la finalità generale di riordino e razionalizzazione della normativa (comma 2) di cui si è detto – prevedono:

  • l’esclusione di ogni forma di integrazione salariale in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo di essa (lettera a), n. 1);
  • la semplificazione delle procedure burocratiche, attraverso l’incentivo di strumenti telematici e digitali, “considerando anche la possibilità di introdurre meccanismi standardizzati a livello nazionale di concessione dei trattamenti” e prevedendo strumenti certi ed esigibili (lettera a), n. 2);
  • la necessità di regolare l’accesso alla cassa integrazione guadagni solo a séguito di esaurimento delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro, eventualmente destinando una parte delle risorse attribuite alla cassa integrazione in favore dei contratti di solidarietà (lettera a), n. 3);
  • la revisione dei limiti di durata, da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento ordinario o straordinario di cassa integrazione, e l’individuazione di meccanismi di incentivazione della rotazione tra i lavoratori da sospendere (lettera a) 4);
  • sotto il profilo della contribuzione, una maggiore compartecipazione da parte delle imprese effettivamente beneficiarie (lettera a), n. 5) e la riduzione delle aliquote di contribuzione ordinarie, relative agli istituti in oggetto, con la rimodulazione delle stesse aliquote tra i settori, in funzione dell’effettivo impiego (lettera a), n. 6);
  • la revisione dell’ambito di applicazione della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, nonché dei fondi di solidarietà bilaterali, relativi ai settori non coperti dai due istituti summenzionati , con la determinazione di un termine certo per l’avvio dei medesimi fondi (lettera a), n. 7). La revisione in oggetto può anche introdurre meccanismi standardizzati di concessione;
  • la revisione (lettera a), n. 8) dell’ambito di applicazione e delle regole di funzionamento dei contratti di solidarietà, con particolare riguardo a quelli cosiddetti espansivi ed alla messa a regime delle norme transitorie (in genere, oggetto di successive proroghe), le quali estendono alle imprese non rientranti nell’àmbito di applicazione della disciplina dei contratti di solidarietà difensivi – ambito coincidente, in linea di massima, con quello delle imprese rientranti nell’istituto della cassa integrazione salariale straordinaria – la possibilità di stipulare tali contratti, con il riconoscimento di determinate agevolazioni (in favore delle stesse imprese e dei lavoratori interessati).

3. Opportunità di un chiarimento preliminare circa la natura della Cassa integrazione guadagni, il potere contrattuale di sospensione della prestazione lavorativa e il suo riflesso sull’obbligazione retributiva gravante sull’imprenditore nei confronti del dipendente interessato

Questi essendo gli obiettivi della delega e l’oggetto del provvedimento al nostro esame, non è forse superfluo osservare preliminarmente che l’istituto della Cassa integrazione nacque nel corso della seconda guerra mondiale (precisamente nel 1941) e venne reso permanente subito dopo la stessa guerra, con il decreto luogotenenziale n. 788/1945, come assicurazione degli operai contro il rischio di sospensione del lavoro, in un contesto in cui il trattamento degli operai stessi si differenziava da quello degli impiegati essenzialmente per l’assenza di garanzia contrattuale della continuità della retribuzione (salario), a fronte della garanzia di continuità della retribuzione degli impiegati (stipendio), istituita dalla legge sull’impiego privato (R.D.L. n. 1825/1924). Solo in un secondo tempo, con la legge n. 1115/1968, venne previsto un intervento straordinario della Cassa esteso agli impiegati, con integrazione pari all’80 per cento dell’ultima retribuzione, così in qualche modo riducendosi la portata della garanzia di continuità e integrità dello stipendio che fino a quel momento era stata loro garantita. Infine, con la legge n. 164 del 1975, è stato compiuto un passo avanti ulteriore sulla via della parificazione del trattamento tra operai e impiegati, con l’aumento all’80 per cento anche del trattamento ordinario. A questo punto, però, non era più chiaro se la CIG potesse considerarsi ancora come una assicurazione a favore del lavoratore, oppure invece si fosse trasformata in una assicurazione in favore dell’imprenditore, volta a sollevarlo da un obbligo retributivo che, nelle situazioni di crisi aziendale, grava ormai su di lui in modo uguale nei confronti di operai e impiegati (essendo ora, per un verso, gli operai in una posizione creditoria meglio garantita, sostanzialmente allineata con quella degli impiegati, per altro verso gli impiegati in una posizione creditoria flessibilizzata, per effetto della riforma del 1968).

In nessuno dei passaggi legislativi menzionati, tuttavia, il legislatore ha chiarito se la Cassa integrazione dovesse considerarsi ancora come una assicurazione per il lavoratore o per l’imprenditore. Il chiarimento è venuto bensì dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le quali, anche sulla scorta della ricostruzione proposta da Giorgio Ghezzi nella sua nota monografia del 1964 su La mora del creditore nel rapporto di lavoro, a partire dalla metà degli anni ’70 e nel corso degli anni ’80 hanno progressivamente riconosciuto l’obbligo dell’imprenditore di retribuzione integrale nei confronti di tutti i dipendenti, operai e impiegati, anche nei casi di sospensione della prestazione da lui stesso determinata, salvi i casi di intervento della CIG, nei quali al temporaneo venir meno della prestazione lavorativa corrisponde una temporanea riduzione del credito retributivo in capo al prestatore, entro i limiti coperti dall’integrazione pagata dalla Cassa. In questo nuovo contesto ordinamentale, la CIG si configura dunque – sia in riferimento alle posizioni operaie, sia in riferimento a quelle impiegatizie – come una assicurazione dell’imprenditore, volta a sollevarlo del peso dell’obbligo retributivo (ridotto) nel periodo di sospensione temporanea dell’attività. Ricostruzione, questa, che è confermata ora dall’obbligo del pagamento ai lavoratori interessati dell’integrazione retributiva posto in capo all’imprenditore, che a quel punto risulta creditore nei confronti della Cassa per un pari importo.

Nel momento in cui si pone mano al riordino della disciplina della materia, in adempimento di una delega che indica la via del riordino sistematico e dell’eliminazione delle lacune o difetti di chiarezza che possano alimentare il contenzioso, appare ineludibile un chiarimento normativo – che potrebbe essere esplicitato con una disposizione posta all’inizio del decreto – circa il nesso che collega il (non illimitato) potere del datore di lavoro di sospendere la prestazione lavorativa, il suo perdurante debito retributivo nei confronti del dipendente interessato e la conseguente prestazione assicurativa erogata dalla CIG, che a questo punto è a vantaggio dell’imprenditore sia nel caso del personale impiegatizio sia in quello del personale operaio (anche se nei casi di situazione finanziaria dell’impresa gravemente compromessa è eccezionalmente previsto il pagamento diretto da parte della Cassa ai dipendenti interessati).

4. Possibile contenuto del necessario chiarimento preliminare circa la natura della CIG e il potere contrattuale di sospensione della prestazione

La sospensione del lavoro nei casi previsti e alle condizioni stabilite dalla disciplina legislativa non costituisce dunque una vicenda modificativa del rapporto di lavoro né sotto forma di sopravvenienza eccezionalmente equiparata all’impossibilità sopravvenuta, né sotto forma di accordo modificativo sopravvenuto (sospensione consensuale), né sotto forma di modificazione determinata da provvedimento amministrativo, ma costituisce semplicemente, al pari della sospensione del lavoro per malattia, maternità, permessi sindacali, ecc., una possibilità coerente con la causa tipica del contratto e come tale prevista nell’assetto contrattuale dei rapporti tra le parti (la qual cosa, ovviamente, non significa affatto che il contratto attribuisca al datore di lavoro una facoltà di ricorso arbitrario alla sospensione o alla riduzione dell’orario di lavoro. È, d’altra parte, immediatamente evidente la legittimità di tale clausola contrattuale, poiché essa non fa che rispecchiare il contenuto — ragionevolissimo e quindi costituzionalmente ineccepibile — di esplicite disposizioni legislative.

L’emanazione del provvedimento amministrativo di concessione dell’intervento della Cassa è — beninteso — di regola indispensabile affinché l’imprenditore sia liberato dall’obbligo retributivo; ma questo evento rientra appieno nell’assetto dei reciproci interessi stabilito dal programma contrattuale originario, al pari dell’impedimento sopravvenuto del lavoratore. Per effetto di quel provvedimento, alla precedente posizione di interesse legittimo — positivo o negativo — dei prestatori di lavoro si sostituisce una posizione di diritto soggettivo riguardo all’erogazione dell’integrazione, mentre cessa il diritto degli stessi nei confronti del datore alla retribuzione per il periodo corrispondente. Quanto all’imprenditore, mentre anch’egli è in una posizione di interesse legittimo riguardo alla concessione dell’intervento, ottenuto il provvedimento egli è, da quel momento, liberato dall’obbligazione retributiva nei confronti dei lavoratori legittimamente sospesi. Il provvedimento amministrativo di concessione non pregiudica comunque la contestazione della sospensione del lavoro da parte del prestatore sul piano del rapporto contrattuale nei confronti del datore, sotto il profilo della sussistenza del giustificato motivo, nonché in generale sotto il profilo del rispetto del principio di correttezza e buona fede.

È dunque maturo il tempo, a quasi un secolo dal regio decreto n. 1825/1924 che assicurò la continuità della retribuzione ai soli impiegati, perché il legislatore finalmente chiarisca che questo diritto contrattuale è esteso anche agli operai. A questo fine può essere sufficiente una norma chiara, semplice e concisa, collocata all’inizio del decreto, che espliciti le tre regole seguenti:

  1. Quando l’imprenditore, per ragioni oggettive, disponga la sospensione totale o parziale delle prestazioni di lavoro nell’azienda o parte di essa per periodi di entità minima (qui occorrerebbe stabilire un termine breve, per esempio cinque giorni lavorativi) il prestatore ha diritto all’intera retribuzione base ordinaria.
  2. Per i periodi di sospensione eccedenti il limite minimo di cui al punto 1, il prestatore ha diritto a quattro quinti dell’ultima retribuzione.
  3. Nell’area in cui opera la CIG, l’integrazione da questa erogata costituisce un intervento assicurativo a sostegno dell’impresa per il periodo di crisi aziendale.

Questa norma appare necessaria per chiarire la collocazione sistematica dell’istituto della Cassa integrazione nel quadro della disciplina generale del rapporto di lavoro e in particolare della disciplina della sospensione della prestazione nell’interesse dell’impresa.

5. Contenuto dello schema di decreto in tema di Cassa integrazione guadagni e contratti di solidarietà

Il Titolo I (articoli da 1 a 25) del testo legislativo in esame contiene disposizioni sui trattamenti di integrazione salariale. Seguono: il Titolo II (articoli da 26 a 40), recante disposizioni sui fondi di solidarietà bilaterali; il Titolo III (articoli da 41 a 44), recante disposizioni transitorie e finali.

Il Titolo I, suddiviso in tre Capi, disciplina gli interventi di integrazione salariale.

Il Capo I (articoli 1-8) reca una serie di disposizioni comuni ad entrambi i trattamenti di integrazione salariale, ordinario (CIGO) e straordinario (CIGS), con l’obiettivo di definire un modello unitario di integrazione salariale, pur nella valorizzazione delle specifiche esigenze dei diversi settori produttivi, attraverso una base di regole comuni a entrambe le forme di integrazione. A tal fine il provvedimento interviene:

  • sull’ambito soggettivo di applicazione della normativa, ricomprendendo nella platea dei destinatari della CIGO e della CIGS anche gli apprendisti assunti con il contratto di apprendistato professionalizzante (articoli 1 e 2);
  • sulla durata massima complessiva dei trattamenti di CIGO e CIGS, uniformandone il periodo di godimento (articolo 4);
  • sul contributo addizionale a carico delle imprese nei casi di CIGO e CIGS, non più commisurato all’organico dell’impresa (così eliminandosi un irrazionale disincentivo alla crescita dimensionale delle aziende), bensì, in misura progressiva, all’effettivo utilizzo del trattamento (articolo 5);
  • sulle modalità di erogazione dei trattamenti e il termine per il rimborso delle prestazioni, in particolare con una disciplina transitoria per i trattamenti richiesti antecedentemente o a decorrere dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame; e autorizzandosi (sia in caso di CIGO sia in caso di CIGS) il pagamento diretto dei trattamenti (con il connesso assegno per il nucleo familiare), in presenza di difficoltà finanziarie “serie e documentate” dell’impresa (articolo 7);
  • prevedendo l’obbligo di convocazione, per i centri per l’impiego, dei lavoratori beneficiari di integrazioni salariali per i quali la sospensione o riduzione dell’orario di lavoro (calcolata in un periodo di 12 mesi) sia superiore al 50%, ai fini della stipula di un patto di servizio personalizzato (articolo 8);
  • sulle cause di decadenza dalla fruizione dei trattamenti (articolo 8).

Il Capo II (articoli 9-18) contiene disposizioni relative al trattamento di integrazione salariale ordinaria (CIGO). A tal fine il provvedimento interviene:

  • delineando, con alcune differenze rispetto ai soggetti interessati dalla normativa vigente, l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto (articolo 10);
  • rideterminando gli oneri contributivi per il finanziamento dell’istituto e differenziandoli in funzione dell’utilizzo effettivo dell’istituto (articolo 13): su questo punto rinvio al § 6 di questa relazione);
  • riproducendo senza modifiche la disciplina dell’informazione preventiva ed esame congiunto con le r.s.a. originariamente prevista dalla legge n. 164/1975 (articolo 14)
  • modificando alcuni elementi inerenti al procedimento per l’ammissione alla CIGO (articolo 15);
  • sulle modalità della concessione della CIGO, sopprimendo in particolare la Commissione provinciale per la Cassa integrazione guadagni e demandando ad uno specifico DM la definizione dei criteri per la sua concessione (articolo 16);
  • si modifica l’organo presso il quale è ammesso il ricorso avverso il provvedimento di rigetto della domanda di concessione della CIGO (articolo 17).

Il Capo III (articoli 19-25) contiene disposizioni relative al trattamento di integrazione salariale straordinario (CIGS). In particolare il nuovo testo legislativo:

  • in coerenza con la funzione essenziale della CIG, esclude la cessazione di attività di impresa (o di un ramo di essa) dalle cause di richiesta di CIGS (articolo 21);
  • in aderenza all’elaborazione dottrinale che ha classificato i contratti di solidarietà come caso particolare di intervento della CIG, colloca i c.d.s. difensivi nell’ambito di applicazione della CIGS, anche in relazione alla misura delle prestazioni (che vengono dunque portate dal 50 all’80 per cento della retribuzione di riferimento) e alla contribuzione a carico dell’impresa (articolo 21);
  • non menziona i contratti di solidarietà c.d. espansivi, ovvero quelli volti non a evitare licenziamenti, ma a favorire nuove assunzioni da parte dell’impresa (si pone qui la questione se questo tipo di contratto aziendale, istituito trent’anni fa dall’articolo 2 della legge n. 863/1984 ma da allora assai poco diffuso nel tessuto produttivo, sul quale rinvio a quanto osserverò alla fine di questo § 5);
  • introduce nuovi limiti di durata della CIGS, differenziandoli in base alle causali e alle dimensioni dell’impresa interessata (articolo 22): 24 mesi nel quinquennio per il caso di ristrutturazione aziendale (comma 1); 12 mesi per il caso di crisi aziendale (comma 2); 24 mesi nel quinquennio per il contratto di solidarietà, con possibilità di cumulo con interventi per altra causale fino a un massimo di 36 (comma 3).

Da alcune organizzazioni sindacali si è levata una critica contro la disposizione relativa ai contratti di solidarietà, considerata come penalizzante per questo tipo di contratto collettivo aziendale, perché a) estende ad esso il limite massimo dell’integrazione applicabile alla CIGS; b) riduce da 48 a 36 mesi la sua durata complessiva nel quinquennio; c) estende ad esso la disciplina della “franchigia” o contributo addizionale a carico dell’impresa interessata. Questa obiezione non considera che a) l’aumento dell’integrazione dal 50 all’80 per cento della retribuzione perduta per effetto della riduzione d’orario costituisce di per sé una misura di forte potenziamento dell’istituto; b) la riduzione del limite di durata complessiva non riguarda solo i contratti di solidarietà, bensì tutti i tipi di intervento della CIG; c) l’introduzione del contributo addizionale mira, come in ogni altro caso di ricorso alla CIG, a evitare l’abuso dell’istituto dello strumento, ovvero la possibilità che esso venga utilizzato in sostituzione del ricorso ordinario al lavoro a tempo parziale, in situazioni di gestione aziendale ordinaria e non di effettiva crisi occupazionale.

Sulla questione dei contratti di solidarietà c.d. espansivi (cioè quelli la cui funzione non è quella di evitare dei licenziamenti, bensì quelli che combinano riduzione d’orario con nuove assunzioni), il fatto che essi non vengano menzionati nel capo III, e in particolare nell’articolo 21 sulle “causali di intervento”, può far pensare che il legislatore delegato intenda sopprimere questo tipo di contratto collettivo aziendale e di intervento della CIG. Senonché nell’articolo 44, dedicato alle abrogazioni, viene prevista l’abrogazione del solo articolo 1 del d.-l. n. 726/1984 convertito nella legge n. 863/1984, cioè quello che istituisce i contratti di solidarietà difensivi, e non dell’articolo 2 dello stesso decreto-legge, che istituisce i contratti di solidarietà c.d. espansivi. Se dunque l’intendimento è di conservare in vita questo istituto, nonostante la scarsa fortuna che lo ha caratterizzato nel trentennio nel quale la sua norma istitutiva è stata in vigore, il criterio della riunificazione e riordino della normativa imporrebbe che il contenuto della norma del 1984 venisse trasfuso nel decreto che ci occupa, con abrogazione della norma originaria.

6. La questione del necessario ridimensionamento dei contributi sulla retribuzione corrente per il finanziamento della CIG

In tema di finanziamento delle prestazioni ordinarie e straordinarie della CIG, come si è detto, gli articoli 13 e 23 dello schema di decreto stabiliscono una riduzione della contribuzione complessivamente gravante sulla retribuzione corrente. Con questo, lo schema di decreto delegato si conforma al criterio contenuto nella legge-delega, nel senso di un ridimensionamento dell’entità dei contributi, costituenti parte del c.d. “cuneo contributivo”, fin qui posti a carico delle imprese rientranti nel campo di operatività della stessa CIG. La riduzione appare tuttavia di entità molto inferiore rispetto a quanto ci si sarebbe potuti attendere, se si considera che nel ventennio precedente all’inizio della grande crisi si sono sempre registrate eccedenze di gettito rispetto alle prestazioni notevolmente superiori rispetto a questa riduzione.

L’ATTIVO STRUTTURALE DELLA CIG (PRIMA DELLA GRANDE CRISI)

(milioni di euro) 2003 2004 2005 2006 2007
CIG OrdinariaContributi 2.329 2.564 2.514 2.636 2.878
Prestazioni 379 471 516 422 278
Saldo +1.950 +2.093 +1.998 +2.214 +2.600
CIG StraordinariaContributi 826 848 886 937 998
Prestazioni 300 379 404 505 424
Saldo +527 +469 +482 +432 +574
CIG Ordinaria+StraordinariaContributi 3.156 3.412 3.400 3.573 3.876
Prestazioni 679 850 920 927 702
Saldo +2.477 +2.562 +2.480 +2.646 +3.174

Fonte: Relazione generale trasmessa dal Ministro dell’Economia al Parlamento sulla situazione economica del Paese

Più precisamente, come risulta dalla tabella qui riprodotta, il gettito a seconda degli anni è stato triplo o addirittura quadruplo rispetto all’ammontare complessivo delle prestazioni, configurandosi così come una tassa surrettizia sul lavoro nel settore industriale e nella grande distribuzione. In questa fase di uscita dalla congiuntura negativa, nella quale le prestazioni della CIG stanno progressivamente ritornando alla normalità pre-crisi, parrebbe assai importante cogliere l’occasione per eliminare del tutto questa “tassa sul lavoro” e le distorsioni che ne conseguono, possibilmente con il corredo di un meccanismo analogo a quello che lo stesso schema di decreto prevede per la garanzia dinamica di equilibrio del bilancio dei Fondi di solidarietà.

Lo schema di decreto prevede, effettivamente, una riduzione del contributo pari allo 0,3 per cento della retribuzione imponibile, quindi a circa un decimo rispetto all’entità del contributo ordinario attualmente in vigore (3,2 per cento a carico delle imprese con più di 50 dipendenti, 2,9 per cento al si sotto di tale soglia) e anche rispetto all’entità maggiore prevista per i contributi dei settori edile e lapideo. Va tuttavia osservato che questa riduzione si accompagna – opportunamente, peraltro – all’istituzione di una “franchigia” a carico delle imprese in caso di attivazione dell’intervento della CIG, che per un verso riduce la prestazione di integrazione salariale a carico della Cassa, per altro verso si configura sostanzialmente come un contributo addizionale. D’altra parte, se il ritorno alla normalità dell’andamento economico delle attività industriali determinerà anche un ritorno al livello delle prestazioni ante-2008, la riduzione di un decimo del contributo non sarà certo sufficiente a superare la fortissima eccedenza strutturale del gettito rispetto alle prestazioni registratasi fino al 2007 e destinata a riprodursi in futuro.

Siamo ben consapevoli del fatto che un più drastico ridimensionamento del contributo pone un problema di copertura del cospicuo attivo gestionale che in tal modo verrebbe a perdersi. Ma occorre chiedersi se non sia più ragionevole eliminare del tutto la sostanziale “tassa sul lavoro” che le imprese del settore industriale hanno pagato fin qui, con conseguente riduzione ulteriore del cuneo contributivo che grava sulle buste-paga in questo settore, sostituendola se necessario con un ritocco in aumento della contribuzione pensionistica di carattere generale.

Resta, infine, da valutare l’opportunità del superamento della differenza di contribuzione tra le imprese di dimensioni minori (fino alla soglia dei 50 dipendenti) e quelle di dimensioni maggiori. Questa differenza è nata negli anni ’60, e si è mantenuta per inerzia fino a oggi, come effetto particolare di una più generale politica di sgravi ed esenzioni per le imprese di dimensioni minori, che genera una distorsione del nostro sistema, disincentivando la crescita delle aziende. Se è vero che oggi il nostro Paese ha bisogno di far crescere le dimensioni medie delle imprese, perché con le dimensioni cresca anche la produttività del lavoro e il volume dell’investimento complessivo in attività di ricerca e sviluppo, allora parrebbe opportuno che l’aliquota contributiva non fosse differenziata a favore delle imprese minori.

7. Contenuto dello schema di decreto in tema di fondi di solidarietà

Il Titolo II, composto degli articoli da 26 a 40, interviene in materia di fondi di solidarietà, con l’obiettivo di uniformarne la disciplina e di fissare un termine certo per il loro avvio.

Le disposizioni sono volte a dare attuazione all’articolo 1, comma 2, lettera a), n. 7), della legge delega n.183/2014, ove si prevede la revisione dell’ambito di applicazione della Cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà di cui all’articolo 3 della legge 28 giugno 2012, n. 92, fissando un termine certo per l’avvio dei fondi medesimi, anche attraverso l’introduzione di meccanismi standardizzati di concessione, con previsione della possibilità di destinare eventuali risparmi di spesa al finanziamento degli strumenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria e delle politiche attive.

Il sistema dei fondi bilaterali delineato dal provvedimento ricalca, nei suoi elementi essenziali, quello previsto dalla normativa vigente (recata dall’articolo 3, commi 4-45, della legge n.92/2012), con la previsione di una disciplina per i fondi di solidarietà bilaterali di nuova istituzione (articolo 26), per i fondi di solidarietà esistenti che adeguino i propri statuti alla nuova disciplina legislativa (Fondi di solidarietà bilaterali alternativi) (articolo 27) e per il Fondo di solidarietà residuale (che dal 2016 assumerà la denominazione di Fondo di integrazione salariale – FIS) per i settori che non abbiano provveduto all’istituzione di un fondo di solidarietà (articoli 28 e 29).

L’articolo 26 disciplina istituzione e funzionamento di nuovi fondi di solidarietà bilaterali. L’elemento di maggiore novità rispetto alla normativa vigente è costituito dall’estensione dell’obbligo di istituire un fondo di solidarietà esteso alle imprese che occupano mediamente più di 5 dipendenti, compresi gli apprendisti (in luogo dei 15 dipendenti previsti dalla normativa vigente).

I Fondi già costituiti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo si adeguano alle nuove disposizioni in merito alla platea di riferimento entro il 31 dicembre 2015. In mancanza, i datori di lavoro del relativo settore, che occupano mediamente più di 5 dipendenti, confluiscono nel fondo di integrazione salariale (di cui all’articolo 29) a decorrere dal 1° gennaio 2016.

L’articolo 27 modifica la disciplina dei fondi di solidarietà alternativi, ossia dei fondi operanti nell’ambito di consolidati sistemi di bilateralità che entro la data di entrata in vigore del decreto abbiano adeguato le proprie fonti istitutive e normative alle finalità di cui all’articolo 26.

Gli elementi di maggiore novità rispetto alla normativa vigente sono l’innalzamento dell’aliquota di finanziamento a decorrere dal 2016 (innalzamento dallo 0,20% allo 0,45% della retribuzione imponibile previdenziale) ripartita fra datore di lavoro e lavoratore secondo criteri stabiliti da un accordo tra le parti sociali istitutive del fondo entro il 31 dicembre 2015, nonché la previsione che i fondi debbano assicurare almeno un assegno di durata e misura pari all’assegno ordinario (di cui all’articolo 30) o, in alternativa, l’assegno di solidarietà (di cui all’articolo 31), eventualmente limitandone il periodo massimo previsto, prevedendo in ogni caso un periodo massimo non inferiore a 26 settimane in un biennio mobile. (In mancanza della previsione di tali prestazioni, i datori di lavoro che occupano mediamente più di 5 dipendenti, aderenti al fondo di solidarietà bilaterale, confluiscono nel fondo di integrazione salariale (di cui all’articolo 29) a decorrere dal 1° gennaio 2016. con possibilità di richiedere le prestazioni previste dal fondo di integrazione salariale per gli eventi di sospensione o riduzione del lavoro verificatisi a decorrere dal 1° luglio 2016).

L’articolo 28 disciplina il fondo di solidarietà residuale, riproducendo sostanzialmente la normativa vigente per quanto riguarda le finalità e l’ambito applicativo, la soglia dimensionale (minimo 15 dipendenti) e la gestione del fondo. L’unica novità di rilievo attiene all’ipotesi in cui si addivenga alla costituzione di un fondo relativamente a settori già coperti dal fondo residuale, nel qual caso si prevede che i nuovi fondi debbano fissare un’aliquota di finanziamento (0,45% della retribuzione imponibile previdenziale) e garantire un livello di prestazioni (assegno ordinario o, in alternativa, assegno di solidarietà) analoghi a quelli stabiliti per i fondi di solidarietà alternativi. Infine, si stabilisce che i contributi eventualmente già versati o dovuti in base al decreto istitutivo del fondo residuale, restano acquisiti al fondo residuale.

L’articolo 29 prevede che a decorrere dal 1° gennaio 2016 il fondo di solidarietà residuale assuma la denominazione di fondo di integrazione salariale (F.I.S.), disciplinandone l’attività e il funzionamento. Sono soggetti alla disciplina del fondo di integrazione salariale i datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti, appartenenti a settori, tipologie di datori di lavoro e classi dimensionali che non rientrano nell’ambito di applicazione della normativa in materia di cassa integrazione guadagni, per i quali non siano stati stipulati accordi volti all’attivazione di un fondo di solidarietà bilaterale (ai sensi dell’articolo 26) o secondo il modello alternativo (ai sensi dell’articolo 27).

Per quanto riguarda le prestazioni erogate dal fondo, è previsto unicamente l’assegno di solidarietà per i datori di lavoro che occupano mediamente da 5 a 15 dipendenti, mentre per i datori di lavoro che occupano mediamente più di 15 dipendenti sono previsti sia l’assegno di solidarietà, sia l’assegno ordinario (quest’ultimo garantito per una durata massima di 26 settimane in un biennio mobile). Alla gestione del fondo di integrazione salariale provvede un comitato amministratore. Al fine di garantire l’avvio del fondo di integrazione salariale a decorrere dal 1° gennaio 2016, qualora alla data del 30 novembre 2015 non risulti ancora costituito il comitato amministratore, i compiti di pertinenza del comitato vengono temporaneamente assolti da un commissario straordinario del fondo nominato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali (che resta in carica sino alla costituzione del comitato amministratore del fondo).

A decorrere dal 1° gennaio 2016, l’aliquota di finanziamento del fondo è fissata allo 0,65% per i datori di lavoro che occupano mediamente più di 15 dipendenti e allo 0,45% per i datori di lavoro che occupano mediamente da 5 a 15 dipendenti. È inoltre stabilita una contribuzione addizionale a carico dei datori di lavoro connessa all’utilizzo degli istituti previsti pari al 4 per cento della retribuzione persa.

Specifiche misure, infine, sono volte ad assicurare l’equilibrio finanziario del fondo.

Gli articoli 30-32 disciplinano le prestazioni erogate dai fondi di solidarietà, ossia l’assegno ordinario, l’assegno di solidarietà e le prestazioni ulteriori.

L’assegno ordinario consiste in una prestazione di importo almeno pari all’integrazione salariale ordinaria. I fondi stabiliscono la durata massima della prestazione, non inferiore a 13 settimane in un biennio mobile e non superiore, a seconda della causale invocata, alle durate massime previste dalla normativa per la CIGO e la CIGS

L’assegno di solidarietà, che a decorrere dal 1° gennaio 2016 il fondo di integrazione salariale dovrà garantire in favore dei dipendenti di datori di lavoro che stipulano con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative accordi collettivi aziendali che stabiliscono una riduzione dell’orario di lavoro, può essere corrisposto per un periodo massimo di 12 mesi in un biennio mobile. La riduzione media oraria non può essere superiore al 60 per cento dell’orario giornaliero, settimanale o mensile dei lavoratori interessati. Per ciascun lavoratore, la percentuale di riduzione complessiva dell’orario di lavoro non può essere superiore al 70 per cento.

Analogamente a quanto disposto dalla normativa vigente, si prevede che i fondi di solidarietà possano erogare prestazioni ulteriori (prestazioni integrative; assegni straordinari; contributi al finanziamento di programmi formativi).

8. In tema di contribuzione e finanziamento dei trattamenti di integrazione guadagni

L’articolo 33 stabilisce che la contribuzione ordinaria sia ripartita tra datori di lavoro e lavoratori nella misura, rispettivamente, di due terzi e di un terzo.

L’articolo 34 stabilisce che nel caso di erogazione dell’assegno ordinario e dell’assegno di solidarietà i fondi di solidarietà provvedono a versare alla gestione di iscrizione del lavoratore interessato la contribuzione correlata alla prestazione.

L’articolo 35 stabilisce disposizioni volte a garantire l’equilibrio finanziario dei Fondi, sostanzialmente riproducendo quanto previsto dalla normativa vigente.

L’articolo 36 disciplina i compiti e la composizione del Comitato amministratore dei fondi di solidarietà bilaterali, confermando sostanzialmente quanto già previsto dalla normativa vigente (legge n.92/2012).

Gli articoli 37 e 38 stabiliscono i requisiti di competenza e assenza di conflitto di interesse, nonchè i requisiti di onorabilità che devono sussistere in capo agli esperti componenti del comitato.

9. Estensione del trattamento agli apprendisti

L’articolo 39 detta disposizioni generali per i Fondi, stabilendo che possono accedere alle prestazioni di cui ai fondi di solidarietà bilaterali di settore anche gli apprendisti assunti con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere estendendo la portata e il campo di applicazione soggettivo dei fondi di solidarietà (in tal caso il periodo di apprendistato è prolungato in misura equivalente alla durata della sospensione o riduzione di orario).

Infine, per i Fondi di solidarietà bilaterali e il Fondo di integrazione salariale viene stabilito che la durata massima complessiva delle prestazioni non può eccedere i 24 mesi nel quinquennio mobile (fatto salvo l’utilizzo dei contratti di solidarietà) e che le modalità di erogazione delle prestazioni sono le medesime previste per le integrazioni salariali.

10. Disposizioni transitorie e finali

Sono contenute nel Titolo III, composto degli articoli da 41 a 44.

In particolare, l’articolo 41 dispone che i trattamenti di CIGS conseguenti ad accordi già stipulati alla data di entrata in vigore del provvedimento in esame mantengano la durata prevista, mentre i trattamenti riguardanti periodi successivi alla suddetta entrata in vigore si computano ai fini della durata massima complessiva

L’articolo 42 reca disposizioni di carattere finanziario, prevedendo l’incremento (attraverso i risparmi di spesa derivanti dal Titolo I) del Fondo istituito per la copertura degli oneri derivanti dall’attuazione della legge delega 183/2014. Conseguentemente, si dispone che le maggiori risorse disponibili vengono utilizzate:

  • per garantire l’operatività, anche per gli anni successivi al 2015, delle misure previste dal decreto legislativo volto alla conciliazione delle esigenze di cura, vita e lavoro;
  • per innalzare il limite massimo di durata della NASpI, che viene portato, a regime, a 24 mesi (in luogo del limite massimo di 78 settimane attualmente previsto a decorrere dal 1° gennaio 2017);
  • per il sostegno al reddito dei lavoratori stagionali del turismo (per gli eventi di disoccupazione verificatisi tra il 1° maggio 2015 e il 31 dicembre 2015), stabilendo che se la durata della NASpI è inferiore a 6 mesi, ai fini del calcolo della durata vengono computati anche i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione;
  • per la prosecuzione della sperimentazione relativa all’ASDI (inizialmente prevista per il solo 2015), anche con riferimento ai lavoratori che abbiano fruito della prestazione NASpI per l’intera sua durata oltre il 31 dicembre 2015;
  • per l’incremento di 32 milioni di euro, per il 2015, del Fondo per le politiche attive.

L’articolo 43 reca disposizioni transitorie e finali. In particolare, per il calcolo della durata massima della CIGO e della CIGS, si prevede che i trattamenti richiesti prima dell’entrata in vigore del provvedimento si computano per la sola parte del periodo autorizzato successiva a tale data; viene differita di 24 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento in esame l’applicazione della disposizione in merito alla durata della CIGS per riorganizzazione e crisi aziendale; per la concessione di misure per il sostegno al reddito a favore dei lavoratori dipendenti da imprese del settore del call center, viene incrementato, per gli anni 2015 e 2016, il Fondo sociale per occupazione e formazione; infine, si prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, entro il 31 dicembre 2015, elabori un rapporto sulle proposte di valorizzazione della bilateralità nell’ambito del sostegno al reddito dei lavoratori in esubero e delle misure finalizzate alla loro ricollocazione.

Si segnala l’opportunità che venga lasciato il periodo normale di vacatio legis, della durata di 15 giorni, al fine di consentire la presa di conoscenza del testo definitivo del decreto da parte di tutti i soggetti chiamati ad applicarlo (l’articolo 43, comma 1, prevede invece l’entrata in vigore immediata del decreto, il giorno dopo la sua pubblicazione nella G.U.).

L’articolo 44, infine, reca il cospicuo elenco delle disposizioni abrogate. Qui, se il suggerimento contenuto nel § 5 di questa relazione in materia di contratti di solidarietà espansivi verrà accolto, occorrerà aggiungere l’abrogazione dell’articolo 2 del d.-l. n. 726/1984, convertito nella l. n. 863/1984, in materia di contratti di solidarietà espansivi.

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