RACCONTO DELLA VICENDA INCREDIBILE DELLA NASCITA (CONTRASTATA DAGLI APPARATI) E DELLA SCOMPARSA (DAGLI STESSI SURETTIZIAMENTE DECISA) DI UNA NORMA – È LA DIMOSTRAZIONE DEL MODO IN CUI IL POTERE LEGISLATIVO DI FATTO DEGLI ALTI DIRIGENTI MINISTERIALI RIESCE A PREVALERE SU QUELLO DEL PARLAMENTO
Articolo per la Nwsl n. 350, 20 giugno 2015.
Nel lontano 1999, quando con alcuni colleghi della mia Facoltà mi proposi di introdurre un sistema di rilevazione delle valutazioni degli studenti sulla didattica, quindi sul nostro operato di professori, incontrai da parte di altri colleghi resistenze feroci. Vincemmo la battaglia sull’introduzione delle valutazioni, ma la perdemmo sul terreno della conoscibilità dell’esito delle valutazioni stesse: l’argomento vincente che i resistenti utilizzarono per contrastare la pubblicità degli esiti della valutazione fu trovato, come sempre, in una malintesa tutela della privacy personale del docente. Come se la tutela della privacy potesse impedire la piena conoscibilità dei comportamenti e delle perfomances personali in un campo – qual è quello delle funzioni pubbliche – che è per definizione tutto tranne che “privato”.
Proprio da quella mia esperienza in Università trasso spunto dieci anni dopo per proporre, in Senato, una integrazione del Codice della Privacy (d.lgs. n. 196/2003) che sgombrasse il campo da quella errata applicazione del principio di tutela della privacy: l’integrazione proposta mirava precisamente a sancire un obbligo di pubblicità delle valutazioni concernenti le performances dei dipendenti di qualsiasi amministrazione pubblica. Il mio emendamento, riferito a quella che sarebbe diventata la legge n. 15/2009 sulle amministrazioni pubbliche, disponeva l’inserimento nell’art. 19 del Codice della Privacy di un comma 3-bis che recitava testualmente:
3-bis. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili dall’amministrazione di appartenenza.
Approvato in questa formulazione l’emendamento dalla Commissione Affari Costituzionali del Senato in sede referente, nel passaggio dagli uffici della Commissione a quelli dell’Aula il testo venne corretto da ignota manina con la sapiente eliminazione di una “d” di valore decisivo. Questo il testo che arrivò in Aula:
3-bis. Le notizie concernenti lo svolgimento delle prestazioni di chiunque sia addetto a una funzione pubblica e la relativa valutazione sono rese accessibili all’amministrazione di appartenenza.
con l’evidente risultato di azzerare il contenuto essenziale della nuova disposizione, di farle dire una cosa diversissima da quella voluta: non più obbligo dell’amministrazione di rendere accessibili i dati a chiunque vi abbia interesse, ma diritto dell’amministrazione stessa di conoscerli (un diritto ovvio, trattandosi di notizie circa il funzionamento interno dell’ente). Alle mie proteste si rispose che si era trattato di un errore materiale e che il modo più semplice per correggerlo era presentare un emendamento in Aula: cosa che feci, ottenendo il ripristino della formulazione originaria della disposizione. La quale venne dunque inserita nel Codice della Privacy. Nelle prime edizioni del Codice successive al 2009 si trovava dunque, all’articolo 19, quel comma 3-bis, nella sua versione fortunosamente corretta.
Senonché il difensore occulto dei dipendenti pubblici contro lo stress da valutazione non si rassegna. L’occasione per la rivincita gli è offerta dalla legge 6 novembre 2012 n. 190 (c.d. “anticorruzione”), che nel comma 35 dell’articolo 1 contiene una delega al Governo per la “ricognizione e coordinamento delle disposizioni che prevedono obblighi di pubblicità a carico delle amministrazioni pubbliche”. Incurante della esplicita indicazione della legge nel senso di un ampliamento di quegli obblighi di trasparenza e pubblicità, il nostro coglie al volo l’occasione per sopprimere quello che gli appare un eccesso di trasparenza: l’obbligo per le amministrazioni di rendere accessibili i risultati delle valutazioni delle performances dei dipendenti pubblici. Così, nell’articolo 53 del decreto attuativo della delega (d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 ), dedicato all’elenco di abrogazioni di norme precedenti, una manina sapiente inserisce alla chetichella, insieme alle altre norme riscritte in modo coordinato nel nuovo testo legislativo e quindi da abrogare, anche il comma 3-bis dell’articolo 19 del Codice della Privacy, che non era stato riscritto e “coordinato” affatto. Col risultato che esso viene semplicemente soppresso, senza che nella legge-delega si trovi neppure un accenno in tal senso! (Donde, oltretutto, l’incostituzionalità per eccesso di delega di questa abrogazione). C’è, sì, nel decreto delegato un articolo 20 nella cui rubrica si menzionano gli “obblighi di pubblicità della valutazione della performance” dei dipendenti pubblici, ma nel testo dell’articolo si parla soltanto di obbligo di pubblicità circa i premi di produttività assegnati e i relativi criteri applicati.
Sulla volontà del Parlamento ha prevalso ancora una volta quella del legislatore occulto.
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