I DUE PUNTI DEBOLI DELLA RIFORMA DEL LAVORO

SONO LE POLITICHE ATTIVE, LA CUI SPERIMENTAZIONE NON È ANCORA DECOLLATA, E LA DELEGA PER IL CODICE SEMPLIFICATO DEL LAVORO (ESSENZIALE PER IL SUPERAMENTO DEL PRECARIATO), SULLA QUALE SI SONO FATTI PASSI AVANTI ANCORA TROPPO PARZIALI E LIMITATI – RESTA IL FATTO CHE I PRIMI RISULTATI SONO DAVVERO NOTEVOLI

Intervista a  cura di Aldo Novellini, in corso di pubblicazione sul settimanale diocesano torinese Il nostro tempo, giugno 2015.

Professor Ichino, proprio mentre esce nelle librerie il suo libro, Il lavoro ritrovato (Mondadori), le cifre Istat evidenziano un incremento occupazionale. È davvero il lavoro ritrovato? Sta arrivando la ripresa?
Che la ripresa sia già in atto, credo che possiamo ormai darlo per acquisito. La sorpresa sta semmai nel fatto che l’occupazione abbia incominciato a crescere subito, a differenza di quello che accade normalmente: cioè un ritardo degli effetti occupazionali rispetto ai mutamenti congiunturali. L’incremento di aprile è effettivamente un po’ impressionante.

Perché impressionante?
Gli ultimi dati Istat riferiti ad aprile ci parlano di 261.000 occupati in più rispetto all’aprile 2014, che non è molto; ma anche di 159.000 in più rispetto a marzo 2015, che è moltissimo. Per farsi un’idea dell’entità di questo aumento, basti pensare che si tratta di uno 0,7 per cento dell’occupazione totale in più in un solo mese. Se questo tasso di aumento si mantenesse per un anno significherebbe quasi due milioni di occupati in più a fine marzo dell’anno prossimo. Il quadro positivo è completato dal fatto che i nuovi lavori sono ben distribuiti tra tutte le classi di età, quindi anche nel segmento 18-30 e in quello 50-65, dall’aumento del tasso generale degli attivi nel mercato del lavoro rispetto alla popolazione totale e dalla riduzione di quello dei disoccupati, adulti e giovani. Il mercato del lavoro si è rimesso in moto davvero. All’inizio dell’anno neppure i più ottimisti si attendevano una svolta di questa entità.

L’aumento riguarda anche la quota di assunzioni a tempo indeterminato rispetto al flusso totale delle assunzioni.
Sì: questo dato era già conosciuto un mese fa, tanto che lo ho potuto citare nel capitolo finale che dà il titolo al libro che lei ha citato all’inizio. Lo si traeva dal sistema delle Comunicazioni obbligatorie al ministero del Lavoro per il marzo 2015: aumento del 49,5 per cento dei nuovi rapporti a tempo indeterminato rispetto al marzo 2014 e aumento dell’81 per cento delle trasformazioni di contratti a termine in tempo indeterminato.

Nel successo che sta avendo il contratto a tutele crescenti, stanno giocando più a favore gli sgravi contributivi o la rimozione dell’art.18?
È ancora troppo presto per dirlo. Qui l’appello alla prudenza resta attualissimo.

In che senso?
Sulla base di questi dati nessuno può seriamente pretendere di indicare quanta parte delle variazioni sia imputabile alla drastica riduzione del cuneo fiscale e contributivo entrata in vigore il 1° gennaio scorso, quanta parte alla nuova disciplina dei licenziamenti e quanta parte all’incipiente ripresa economica: per stabilirlo occorrerà attendere il risultato delle analisi degli econometristi sui dati disaggregati, che non potranno venire prima del prossimo anno. Chiarito tutto ciò, tuttavia, non mi sembra scorretto trarre da questi numeri almeno un indizio.

Indizio di che cosa?
Se è vero che normalmente la ripresa della crescita del PIL precede di un semestre o anche più la ricrescita dell’occupazione, mentre oggi in Italia questa dilazione non si sta verificando, abbiamo quanto meno un indizio del fatto che l’incentivo economico in vigore da gennaio e i decreti in vigore da marzo stanno favorendo una netta anticipazione dell’aumento della domanda di lavoro. E se da gennaio si è registrato un aumento della quota di assunzioni a tempo indeterminato sul totale delle nuove assunzioni, ma da marzo questo ha fatto registrare una netta impennata, abbiamo quanto meno un forte indizio dell’efficacia della riforma dei licenziamenti entrata in vigore il 7 marzo, nel produrre un netto miglioramento della qualità dei rapporti di lavoro, quindi della loro produttività. E anche una riduzione del precariato.

Un dato negativo: l’apprendistato sta subendo un calo. Pensa che occorra rivitalizzarlo?
Occorre soprattutto che l’apprendistato diventi la forma normale di accesso al tessuto produttivo per una metà circa degli adolescenti, attraverso l’alternanza scuola-lavoro. Questo è l’obiettivo che la riforma si propone di perseguire con il terzo decreto attuativo della legge-delega n. 183/2014, che sta per essere approvato in via definitiva dal Governo. Finora, invece, questo contratto “a causa mista” è stato utilizzato dalle imprese soprattutto per assumere personale a basso costo, approfittando dello sgravio contributivo: questo spiega perché la drastica riduzione del cuneo fiscale e contributivo disposta dalla legge di stabilità 2015 per il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti abbia dirottato su questo contratto molte assunzioni che altrimenti sarebbero state fatte nella forma dell’apprendistato.

Quale assetto avranno i nuovi ammortizzatori sociali?
La Cassa integrazione guadagni viene ricondotta alla sua funzione originaria, cioè quella di sostegno del reddito per periodi brevi di sospensione del lavoro con ripresa dell’attività nella stessa azienda. Quanto al trattamento di disoccupazione, viene completata la riforma compiuta dalla Legge Fornero del 2012, con un rafforzamento, ampliamento del campo di applicazione e allungamento della durata dell’indennità: 75 per cento della retribuzione per i primi tre mesi, poi riduzione del 3 per cento al mese per l’eventuale periodo ulteriore fino al massimo di 24 mesi. Esaurita questa forma di natura assicurativa, il decreto n. 22/2015 prevede l’avvio di una forma di sostegno del reddito di tipo assistenziale, che è per ora sperimentale e con campo di applicazione ridotto. In futuro dovrà diventare una forma di reddito minimo di inserimento, secondo il tipico modello del welfare cetro e nord-europeo.

Meno protezioni sul posto di lavoro ma robusti ammortizzatori sociali e riqualificazione di chi è disoccupato. Un sistema che funzionerà davvero?
La parte di cosiddetta “politica passiva” del lavoro, cioè quella del sostegno del reddito, funziona già; e tutto lascia prevedere che funzionerà molto meglio di quanto abbia funzionato finora, con l’abuso diffuso della Cassa integrazione. Il punto debole del sistema è costituito invece dalle politiche attive del lavoro, cioè le misure volte al reinserimento attivo del disoccupato nel tessuto produttivo. Qui la sperimentazione è in grave ritardo. È stato istituito il contratto di ricollocazione, uno strumento molto importante di politica attiva, basato sul coinvolgimento degli operatori privati specializzati, ispirato al modello olandese che ora viene sperimentato anche in Germania e negli U.S.A. Ma i primi esperimenti pilota, previsti e finanziati dalla legge di stabilità 2014, avrebbero dovuto partire già all’inizio dello scorso anno e invece sono ancora bloccati da una struttura ministeriale prevalentemente ostile alla cooperazione con gli operatori privati.

Si parla spesso del modello tedesco. Saranno finalmente introdotti per legge alcuni elementi partecipativi dei lavoratori nelle imprese?
Il disegno di legge n. S-1051 sulla partecipazione dei lavoratori nell’impresa, frutto di una iniziativa unitaria dei partiti di maggioranza in seno alla Commissione Lavoro del Senato, è pronto per essere approvato. Prevede la possibilità, non l’obbligo, di attivare una o più tra nove pratiche partecipative, incentivandone alcune sul piano fiscale. Ma il modello non è – e in Italia non può essere – quello della Mitbestimmung tedesca, cioè della cogestione aziendale.

Da tempo è in agenda il nuovo Codice semplificato del lavoro. È ancora tra le priorità del Governo? Se sì, quali ne saranno i contenuti?
A questo tema è dedicato un capitolo nel libro Il lavoro ritrovato, dove è riportata in appendice l’ultima versione del progetto di Codice semplificato, aggiornata con i contenuti degli ultimi decreti attuativi della legge-delega n. 183/2014. Quest’ultima, tra l’altro, prevede che alla fine del processo di riforma del nostro diritto del lavoro, l’intera nuova disciplina venga riordinata in un testo unico semplificato. Lo schema di decreto sul cosiddetto “riordino dei contratti” si muove esplicitamente in questa direzione. Ma sono ancora molto forti le resistenze contro questo progetto da parte delle strutture ministeriali.

Quali sono i motivi di questa resistenza?
Vede, negli ultimi decenni le leggi in materia di lavoro sono sempre state scritte soltanto da loro, dagli alti dirigenti del ministero, nel loro linguaggio e in una forma tale che le rende difficili da leggere e capire anche dai giuristi esperti della materia. Per non dire dei ministri, sottosegretari e parlamentari, che capiscono e controllano a dir tanto il dieci per cento dei testi legislativi. Il risultato è un enorme potere dell’apparato ministeriale stesso, il quale di fatto ha acquisito una sorta di monopolio di fatto della scrittura della legge, e anche della sua piena comprensione e interpretazione attraverso le circolari. Ritornare alle leggi scritte in modo comprensibile per tutti i loro destinatari, come lo fu lo Statuto dei lavoratori del 1970, significa eliminare quel monopolio indebito. Si capisce che chi oggi ne è titolare non ne sia contento e cerchi di impedirlo.

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