LA CONTRATTAZIONE NEL SETTORE PUBBLICO AL VAGLIO DELLA CONSULTA

IL GIUDIZIO CHE SI CELEBRERÀ TRA DUE SETTIMANE DAVANTI ALLA CORTE COSTITUZIONALE È L’OCCASIONE PER UN CHIARIMENTO MOLTO IMPORTANTE SULLA PORTATA DEL PRINCIPIO CONTRATTUALISTICO NEL SISTEMA DELLE RELAZIONI SINDACALI DEL SETTORE PUBBLICO

Editoriale telegrafico per la Nwsl n. 348, 8 giugno 2015.

La Corte costituzionale si pronuncerà tra due settimane sulla legittimità delle disposizioni con le quali lo Stato cinque anni fa, nel pieno di una crisi economico-finanziaria senza precedenti, ha deciso di sospendere la contrattazione degli aumenti retributivi nel settore pubblico. La decisione era stata presa anche in considerazione del tasso di inflazione bassissimo o nullo (quando non addirittura negativo) e degli aumenti sproporzionati che la contrattazione stessa aveva recato nel settore pubblico, rispetto a quello privato, negli anni precedenti, oltretutto in assenza di qualsiasi evidenza di un aumento di produttività. Tutti comprendono – dunque anche la Consulta certo riconoscerà – che questo era il contributo minimo allo sforzo dell’intero Paese per rimettere in sesto la finanza pubblica, che si potesse chiedere all’unico settore della forza-lavoro che nella grande crisi non perdeva e neppure rischiava praticamente nulla. Ma quand’anche così non fosse, resterebbe comunque il fatto che il principio contrattualistico – sul quale la contrattazione collettiva si basa nel settore pubblico esattamente come in quello privato – implica la libertà di entrambe le parti di accordarsi oppure no, Anche senza il divieto temporaneo posto dalla legge, dunque, quel principio avrebbe in ogni caso pienamente legittimato lo Stato e ogni altro ente pubblico a rifiutare di negoziare aumenti retributivi: sul piano giuridico, il preteso “diritto al rinnovo del contratto” di cui parlano i sindacati non esiste proprio. Chiarire questo punto è forse la cosa più utile che la Corte può fare in questa occasione. Ci contiamo.

 

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