IMMIGRAZIONE: UNA TERZA VIA TRA “CATTIVISMO” E “BUONISMO”

QUELLO CHE CONTESTO AL GOVERNO E’ LA SUA POLITICA UN PO’ OTTUSA DI PURA E SEMPLICE RESISTENZA PASSIVA. L’IMPEGNO – DIMENTICATO – PER LO SVILUPPO DEL SUD DEL MONDO NON CI IMPONE DI DIVENTARE ALTRUISTI, MA SOLTANTO DI DIVENTARE EGOISTI PIU’ LUNGIMIRANTI

Intervista a cura di Giuseppe Lorenti, pubblicata su La Sicilia il 24 maggio 2009, dopo la pubblicazione su il Riformista del dialogo immaginario “Un traghetto per Lampedusa”
Proviamo a ragionare lucidamente sulla questione immigrazione. Innanzitutto esiste una terza via che superi la contrapposizione tra la logica di chi predica cattivismo e chi assoluto buonismo?

Quello che contesto radicalmente al Governo è la sua politica un po’ ottusa di pura e semplice resistenza passiva: “respingimenti”, inasprimento e allungamento della reclusione degli irregolari nei Centri di Identificazione senza che ci si curi della loro capienza, sanzioni penali. Ma non lo contesto per motivi etici, contrapponendo “buonismo” a “cattivismo”: lo contesto sul piano dell’efficacia.

Qual è l’alternativa che propone?

Quello di cui parlo è l’immigrazione diretta dall’Africa, e in particolare il fenomeno dei disperati che si affidano agli scafisti per arrivare a Lampedusa dalla Libia o dalla Tunisia…

Che sono soltanto una piccola parte degli irregolari che arrivano in Italia

Sì, si stima che siano circa un settimo. Gli altri arrivano per rotte terrestri, attraversando Paesi confinanti. Ogni flusso migratorio ha le sue caratteristiche, presenta problemi peculiari e va affrontato con provvedimenti appropriati. Qui stiamo parlando del flusso che attraversa il canale tra l’Africa e Lampedusa.

Lei ha lanciato l’idea provocatoria del traghetto tra Libia o Tunisia e Lampedusa.

L’idea non è mia: il dialogo pubblicato sul mio sito con nomi di fantasia, è un dialogo cui ho realmente assistito due settimane or sono durante la cena offerta da un’ambasciata straniera.

Ci può spiegare di che cosa si tratta?

Lampedusa dista 113 chilometri dall’Africa e 205 dalla Sicilia. Se Lampedusa fosse trasformata in zona extraterritoriale, accessibile a basso prezzo con comodi servizi di linea, sradicheremmo il business degli scafisti. E sarebbe facilissimo impedire che le partenze clandestine avvenissero da Lampedusa verso la Sicilia.

Ritiene davvero percorribile la soluzione di Lampedusa-zona franca?

Abbiamo diversi esempi di soluzioni di questo genere adottate da altri Paesi in situazioni geografiche simili. Ma la soluzione non consisterebbe solo in questo: occorrerebbe anche stabilire in Libia e Tunisia dei centri di primo accertamento e accoglienza per profughi e rifugiati che hanno davvero il diritto di entrare in Italia.

E tutti quelli che arriverebbero comunque a questi centri, o anche a Lampedusa, senza il diritto di entrare?

Nessun buonismo verso chi mente sulla propria identità e provenienza. A chi si presenta lealmente senza reticenze, e può rendersi utile in casa nostra, converrebbe a noi per primi offrire un permesso di ingresso per la ricerca del lavoro, con controllo rigoroso dei movimenti e magari anche un tutor che faccia da garante. Se proprio riteniamo che in Italia non debba entrare, diamogli lavoro nella sua terra di origine.

E chi pagherebbe? E per far cosa?

Se destinassimo davvero, come ci siamo impegnati a fare, l’1 per cento del nostro reddito nazionale al sostegno dei Paesi in via di sviluppo, potremmo fare grandi cose. E ciascun “irregolare” ingaggiato ci costerebbe pochissimo; certamente meno di quel che ci costa portarlo in Italia, recluderlo per sei mesi, poi “espellerlo” mettendolo sovente in condizioni di dover delinquere per sopravvivere, quindi recluderlo di nuovo.

Strategia fondamentale è quella degli accordi con i paesi terzi. Come dovrebbe articolarsi?

No, guardi, io non penso ad accordi tra Stato e Stato, che sovente servono soltanto per sorreggere governanti africani corrotti.

Che cosa propone, allora?

Penso a una fitta rete di gemellaggi, tra città e città, ospedale e ospedale, scuola e scuola, famiglia e famiglia, per la trasmissione di buone pratiche, know-how tecnologico, risorse economiche. Gli irregolari che arrivano da noi sono sovente i più colti e intraprendenti delle loro terre d’origine: potremmo impiegarli come “ufficiali di collegamento” in questi gemellaggi, a 100 o 200 euro al mese, che nell’Africa sub-sahariana sono un’ottimo compenso.

Ma con Paesi nel caos come Etiopia o Sudan, come si può fare?

In quei Paesi la pratica dei gemellaggi tra formazioni intermedie o tra famiglie è solo più difficile, ma niente affatto impossibile. E, comunque, questo mi sembra il solo modo per far qualche cosa di utile a loro e, al tempo stesso, di utile a noi. Perché il problema epocale della disuguaglianza tra Africa ed Europa, altrimenti, può soltanto aggravarsi.

Lei chiede agli Italiani di diventare molto generosi

No: soltanto di diventare un po’ più lungimiranti nel loro egoismo. Altrimenti, sarà la stessa Europa a pagare una parte cospicua dei costi del ritardo di sviluppo dell’Africa sub-sahariana.

 

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