LA COMMISSIONE LAVORO CHIEDE AL GOVERNO CHE LE NORME ATTUATIVE DELLA DELEGA RISPETTINO I REQUISITI DI SEMPLICITÀ, CONCISIONE, CHIAREZZA E LEGGIBILITÀ IMMEDIATA DA PARTE DI TUTTI I DESTINATARI, CHE DOVRANNO ESSERE PROPRI DEL CODICE SEMPLIFICATO DEL LAVORO
Parere approvato dalla Commissione Lavoro del Senato sullo schema di decreto A.G. n. 157/2015, su proposta della relatrice, sen. Annamaria Parente, nella sessione pomeridiana del 13 maggio 2015 – È evidenziata in grassetto la parte nella quale sono contenute le osservazioni circa la forma del testo legislativo – V. anche il parere approvato dalla stessa Commissione sullo schema di decreto A.G. n. 158/2015..
Parere della Commissione Lavoro del Senato sullo schema di decreto legislativo recante nuove norme in materia di conciliazione tra il tempo di lavoro e quello di cura parentale, Atto del Governo n. 157/2015
L’11a Commissione permanente,
esaminato lo schema di decreto legislativo in titolo,
premesso che esso è stato predisposto in attuazione della normativa di delega di cui all’articolo 1, commi 8 e 9, della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
valutato che la revisione e l’aggiornamento d\elle misure intese a tutelare la maternità delle lavoratrici e a sostenere le cure parentali e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori rispondono ad esigenze profondamente sentite nel nostro Paese;
considerato che un insieme articolato di misure per la valorizzazione del contributo delle donne alla vita economica e sociale del Paese favorisce il sostegno alla maternità ed alla conciliazione familiare e rappresenta il presupposto indispensabile per garantire la promozione delle pari opportunità nel mercato del lavoro e la crescita del Paese;
esprime, per quanto di competenza, parere favorevole, con le osservazioni di seguito riportate.
Innanzitutto la Commissione chiede al Governo di impegnarsi a rendere permanenti i contenuti dello schema di decreto, visto che i commi 2 e 3 dell’articolo 25 dispongono che le misure si applicano in via sperimentale per il solo 2015 – con limitato riferimento alle giornate di astensione riconosciute nel medesimo anno 2015 – e che l’estensione agli anni successivi sia subordinata all’entrata in vigore di decreti legislativi che forniscano adeguata copertura finanziaria.
Considerata l’applicazione in via sperimentale delle norme previste dal decreto, è necessario un chiarimento in virtù di un principio di certezza del diritto, dal momento che la normativa, contenuta nel provvedimento, modifica molte parti di norme vigenti, principalmente il testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità di cui al decreto 26 marzo 2001, n 151.
A questo proposito occorre valutare in primis se, in relazione alla natura transitoria delle misure in oggetto, sia preferibile usare una tecnica legislativa diversa da quella della novella. Tanto più che il presente decreto dovrà contribuire, come gli altri in attuazione della delega, ad un Testo Unico semplificato contenente norme semplici ed immediatamente comprensibili.
A tal fine occorre valutare l’opportunità di una riscrittura del decreto legislativo in forma che lo renda direttamente leggibile e comprensibile da parte di tutti i soggetti chiamati ad applicarlo: per questo è necessario che le disposizioni non siano adottate secondo la tecnica dell'”intarsio”, bensì con la riproduzione dell’intera disposizione che si intende introdurre o modificare.
In secundis la Commissione ritiene inoltre necessario che il Governo approfondisca, già in sede di definizione del decreto, quali altre norme, oltre a quelle stabilite dall’articolo 24 (Risorse finanziarie per la promozione della conciliazione tra vita professionale e vita privata), debbano o possano essere poste in via permanente, anziché in via transitoria, come la novella di cui all’articolo 3 (Trattamento economico in alcuni casi di risoluzione del rapporto di lavoro durante il congedo obbligatorio di maternità), che si limita a confermare una disposizione già operante in virtù di una sentenza della Corte costituzionale.
In via generale, si fa notare inoltre che, a causa dei tempi ridotti per l’iter di approvazione e i vincoli finanziari connessi, solo alcuni dei principi e criteri direttivi previsti nella legge delega hanno trovato attuazione nello schema di decreto legislativo. Fra quelli che non hanno trovato attuazione si ricordano i principi previsti all’articolo 1, comma 9, dalla lettera c) sull’introduzione del credito di imposta per le donne lavoratrici, anche autonome, che abbiano figli minori o figli disabili non autosufficienti e che si trovino al di sotto di una determinata soglia di reddito individuale complessivo; dalla lettera e) sulla possibilità di cessione, fra lavoratori dipendenti dello stesso datore di lavoro, delle ferie in favore del lavoratore genitore di figlio minore che necessiti di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute; dalla lettera f) sulla promozione dell’integrazione dell’offerta di servizi per le cure parentali, forniti dalle aziende e dai fondi o enti bilaterali, nel sistema pubblico-privato dei servizi alla persona, nonché dalla lettera l) sulla semplificazione e razionalizzazione degli organismi, delle competenze e dei fondi operanti in materia di parità e pari opportunità nel lavoro ed il riordino delle procedure inerenti alla promozione di azioni positive di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Entrando nel merito degli articoli, con riferimento alla novella di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a),in cui si stabilisce che i giorni di congedo obbligatorio non goduti prima del parto si aggiungono al periodo di congedo obbligatorio spettante dopo il parto anche qualora il periodo di congedo obbligatorio di maternità superi il limite di cinque mesi, si suggerisce di chiarire se tale meccanismo di recupero dei giorni si applichi anche nelle ipotesi normative specifiche di congedo obbligatorio più lungo, nelle quali, cioè, esso supera, a prescindere dall’eventuale natura anticipata del parto, il limite di cinque mesi.
Inoltre, si nota che la relazione tecnica, relativa alla valutazione degli oneri finanziari derivanti dalla novella, fa riferimento esclusivamente all’ipotesi in cui il parto prematuro sia intervenuto prima dei due mesi precedenti la data presunta. Sul punto, sembra necessario estendere l’ambito di valutazione anche ai parti intervenuti prima del solo ultimo mese precedente la data presunta, con riferimento ai casi in cui la dipendente abbia optato per il congedo flessibile, previsto dall’articolo 20 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del 2001.
La successiva lettera b) introduce il diritto della madre, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, di chiedere la sospensione del congedo obbligatorio di maternità e di usufruire del medesimo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino; al riguardo, si suggerisce di chiarire se la locuzione “in tutto o in parte” faccia riferimento alla possibilità di rinunzia ad una parte del congedo o se faccia solo riferimento all’ipotesi che una parte del congedo obbligatorio (relativo al periodo successivo al parto) sia stato già goduto prima della sospensione.
L’articolo 4estende il nuovo diritto introdotto dall’articolo 2, comma 1, lettera b),anche ai casi di adozione e di affidamento.
L’articolo 2, comma 1, lettera b) e l’articolo 4, sono disposizioni previste in recepimento della sentenza della Corte costituzionale n. 116 del 2011 con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della lettera c) dell’articolo 16 del decreto legislativo n. 151 del 2001, nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare.
Si suggerisce a tal proposito di rinforzare la parte dove si prevede la produzione di documentazione medica sullo stato di salute della madre lavoratrice. Si ricorda infatti che il momento del parto per una donna é molto delicato per il suo equilibrio psico-fisico e che va salvaguardato il suo diritto al riposo, previsto, non a caso, da un congedo obbligatorio per maternità.
Si segnala inoltre di approfondire la problematica di come conciliare la sospensione del congedo con la gestione del rapporto di lavoro eventualmente instaurato in sostituzione della lavoratrice madre, anche alla luce del fatto che la durata della sospensione non é facilmente determinabile.
Poiché la sospensione del congedo in caso di ricovero del figlio è stata già inserita nella contrattazione di primo livello sarà necessario ora intervenire per via legislativa, o attraverso l’incentivazione della contrattazione collettiva, nei comparti ove non si sia già intervenuti, per prevedere permessi retribuiti per la malattia del figlio nei primi mesi di vita, che la madre possa godere durante il periodo di sospensione del congedo di maternità. In mancanza di ciò, si rischia di alimentare una disparità di trattamento tra madri lavoratrici, in particolare tra coloro che riprendono effettivamente servizio a poca distanza dal parto, non potendo permettersi di stare vicino al figlio neonato senza retribuzione, e coloro che invece possono godere di tale istituto.
All’articolo 5,sarebbe opportuno chiarire se l’estensione del congedo di paternità riguardi anche le fattispecie di adozione o affidamento, con riferimento all’ipotesi che la madre lavoratrice autonoma non abbia fatto richiesta dell’indennità di maternità. Sotto il profilo redazionale, sembrerebbe preferibile inserire la novella in oggetto nell’articolo 66 (Indennità di maternità per le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole) del testo unico, anziché nell’articolo 28, essendo essa relativa ai padri lavoratori autonomi.
Appare, opportuno segnalare che il comma 7, dell’articolo 6, dello schema di decreto legislativo sul riordino delle tipologie contrattuali prevede una ulteriore modalità di fruizione del congedo parentale, mediante la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo parziale per un periodo pari alla durata del congedo parentale. Si raccomanda, quindi di evitare sovrapposizioni, raccordando le due diverse previsioni.
All’articolo 7, comma 1,lettera b), che esclude la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con i permessi o i riposi contemplati dal decreto legislativo n. 151 del 2001, si suggerisce di chiarire se il divieto di cumulo operi solo per il caso di mancata determinazione, da parte delle suddetti fonti contrattuali, delle modalità della fruizione del congedo su base oraria. Potrebbe, inoltre, essere ritenuto opportuno chiarire se le presenti norme suppletive delle fonti contrattuali si applichino anche per il personale del comparto sicurezza e difesa e per quello dei vigili del fuoco e soccorso pubblico, per i quali la disciplina collettiva deve prevedere, altresì, “al fine di tenere conto delle peculiari esigenze di funzionalità connesse all’espletamento dei relativi servizi istituzionali, specifiche e diverse modalità di fruizione e di differimento del congedo”.
Nella successiva lettera c), si raccomanda di riconsiderare la riduzione del periodo a soli due giorni, in considerazione dell’esigenza di garantire anche una minima programmazione dell’organizzazione aziendale rispetto ad eventuali coperture delle assenze, in coerenza con il principio di contemperanza dei diversi interessi meritevoli di tutela.
All’articolo 7 comma 1, nell’ambito dell’utilizzo del congedo parentale fino ai 12 anni di età, si invita il Governo a valutare con le parti sociali la possibilità di concedere un supplemento del 30 per cento della retribuzione per gli ulteriori periodi utilizzati dagli 8 ai 12 anni, in modo da garantire le esigenze delle famiglie con le fasce di reddito più basse;
Sull’introduzione dell’indennità di paternità in favore del alcuni lavoratori autonomi, di cui all’articolo 15, si invita ad una definizione più esplicita di tale profilo, inserendo tra questi anche i liberi professionisti, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 385 dell’11-14 ottobre 2005.
Anche con riferimento all’articolo 20, che aumenta da tre a cinque mesi la durata dell’indennità di maternità, relativa alle libere professioniste per il caso di adozione, potrebbe essere ritenuto opportuno un esplicito riferimento anche all’ipotesi di indennità spettante al libero professionista.
Si segnala quindi un chiarimento sull’ambito di applicazione dell’articolo 23; la norma infatti fa riferimento, per le lavoratrici dipendenti, oltre che alle dipendenti da datori di lavoro pubblici, esclusivamente alle dipendenti da soggetti imprenditori, mentre per le collaboratrici da un lato non si escludono come committenti i datori privati non imprenditori e, dall’altro, si fa riferimento esclusivamente alle collaboratrici “a progetto” (con esclusione degli altri casi di collaborazione coordinata e continuativa).
Riguardo al preavviso al datore di lavoro per la richiesta di congedo, di cui al comma 3, occorre chiarire se le norme sullo stesso riguardino anche i casi di sospensione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.
Si invita inoltre a considerare l’eventuale problema della lavoratrice inserita nei percorsi di protezione, avente diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, nel caso in cui il datore di lavoro non abbia a disposizione un posto di lavoro a tempo parziale, in quanto, ai sensi dell’articolo 41 della Costituzione, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, devono essere rispettate le determinazioni del datore di lavoro relative alle dimensioni del suo organico (Corte Costituzionale 30 dicembre 1958, n. 78).
La Commissione inoltre segnala alcune considerazioni evidenziate dal Servizio di Bilancio del Senato: “atteso che in caso di massimo utilizzo della possibilità introdotta dalla norma l’onere, sulla base di una retribuzione prudenzialmente stimabile in 1.200 euro mensili (dall’ultimo “Salary Outlook 2015” la retribuzione media nel 2014 in Italia è stata di 1.560 euro mensili), potrebbe raggiungere, in termini di maggiori prestazioni, i 10 milioni di euro su base annua (da ridurre a circa 5,5 milioni escludendo dal calcolo i primi 5 mesi del 2015, ormai trascorsi). Rilevato poi che la possibilità di spalmare il congedo su base pluriennale sembrerebbe porre dei problemi in termini di copertura, predisposta per il solo 2015, e pur concedendo che difficilmente l’ipotesi di un pieno utilizzo del beneficio potrebbe in concreto verificarsi, l’ampiezza della correzione in riduzione operata dalla RT non sembra ispirata ad una sufficiente prudenzialità. Si segnala peraltro che la RT non sembra considerare che la norma richiede la presentazione di un certificato dei servizi sociali per l’accesso al beneficio per cui la platea potrebbe essere più piccola rispetto al numero di persone che hanno richiesto aiuto al numero verde. Ciò potrebbe in parte giustificare la stima di un onere più basso.” Pertanto si invita il Governo a fornire un chiarimento su questo punto.
Si invita inoltre il Governo a definire forme di coinvolgimento delle parti sociali e nell’elaborazione di Linee Guida e modelli che favoriscano la contrattazione collettiva, previste dall’articolo 24.
Al fine poi di raggiungere l’obiettivo di promuovere la contrattazione collettiva per la conciliazione dei tempi per il lavoro e la famiglia si esorta il Governo a prevedere un intervento in materia di defiscalizzazione degli istituti di welfare contrattuale.
Si invita altresì il Governo a valutare la possibilità di prevedere, al termine del congedo di maternità e in alternativa al congedo parentale, un contributo finanziario mensile per i servizi di babysitting, e asili nido pubblici o privati in prossimità dei luoghi di lavoro o di residenza della lavoratrice, anche al fine di promuovere, nel mercato del lavoro, la parità tra uomo e donna; in alternativa, si potrebbe valutare l’incentivazione su tutto il territorio di servizi integrativi e innovativi, quale «il nido di famiglia», gestito dalla «tagesmutter o mamma di giorno», che accudisce ed educa presso la propria abitazione bambini da 0 a 6 anni;
Si rileva l’opportunità di incentivare l’utilizzo di servizi di babysitting, attraverso la deduzione, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, delle retribuzioni eventualmente corrisposte ad addetti ai predetti servizi, compresi i contributi previdenziali e assistenziali per l’adempimento dell’obbligo delle assicurazioni sociali nei loro confronti.
Infine, al fine di favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per la generalità dei lavoratori, oltre che per le esigenze di cure parentali, appare necessario assicurare la creazione di una cornice normativa che includa tra le forme più moderne di lavoro, anche fondate sulla digitalizzazione, capaci di coniugare le esigenze dell’impresa con quelle dei lavoratori e lavoratrici (smart working, lavoro a distanza, lavoro agile), senza limitarsi ad affidarne la regolamentazione alla contrattazione aziendale di secondo livello e al ruolo attivo delle aziende, garantendo altresì piani incentivanti e agevolazioni fiscali e contributive per le imprese che decidono di adottare le suddette modalità flessibili di svolgimento della prestazione lavorativa, nuove e diverse dal telelavoro.
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