IL MERCATO DEL LAVORO ITALIANO PRIMA E DOPO IL JOBS ACT

LA RIFORMA DEL LAVORO AFFRONTATA SECONDO UN APPROCCIO DI LAW & ECONOMICS IN UN SAGGIO CHE NE METTE A FUOCO MOLTO LUCIDAMENTE LA LOGICA INTERNA E I VERI OBIETTIVI

Saggio di Giorgio Rodano, aprile 2015 – L’Autore insegna macro-economia all’Università “La Sapienza” di Roma – Seguono alcuni miei brevi appunti (tutti molto marginali) su alcuni passaggi dello scritto in tema di storia del diritto del lavoro italiano, dove da giurista vedo l’opportunità di una precisazione.

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“Visto che nessuna riforma è per sempre, e che a migliorare si fa sempre in tempo, cerchiamo allora di esaminare la tematica del jobs act in modo più disteso e ri.essivo. Così facendo vedremo, tra le altre cose, che la questione degli e¤etti del Jobs Act sui diritti dei lavoratori non può essere ridotta alla difesa/abolizione dell.articolo 18, e che questo tema, se viene analizzato con più attenzione, fa emergere una .tta trama di chiaroscuri. E vedremo anche che il nesso tra Jobs Act e creazione di nuovi posti di lavoro non è a¤atto così diretto e immediato come si tende a dire da parte dei sostenitori più entusiasti della riforma. D.altra parte, come pure cercheremo di mostrare, la .nalità del Jobs Act è sì quella di far funzionare meglio il mercato del lavoro, ma non è, e non potrebbe esserlo, quella di creare direttamente nuovi posti di lavoro. Se si vuole realizzare questo obiettivo (ed è ovvio che non sarebbe a¤atto male), sono altre le misure che andrebbero adottate, anche se – aggiungo subito – queste misure non sarebbero affatto incompatibili col Jobs Act.”
giorgio.rodano@uniroma1.it

 

ALCUNE PICCOLE MESSE A PUNTO IN TEMA DI STORIA DEL DIRITTO DEL LAVORO ITALIANO

1.  In riferimento ai dati esposti alla pagina 12: in realtà la figura della collaborazione autonoma continuativa e coordinata non è stata introdotta né favorita dalla legge Treu del 1997: era già conosciuta dalle leggi fiscali degli anni ’50 ed è nominata anche nella legge Vigorelli sulla contrattazione collettiva 14 luglio 1959 n. 741.

2.  Ancora in riferimento ai dati esposti alla pagina 12: la legge Biagi (d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276) non ha introdotto alcun nuovo tipo di lavoro precario nel nostro ordinamento: tutti i tipi di contratto precario in essa previsti e disciplinati esistevano già prima, per lo più con un nome diverso; e in nessun caso la disciplina contenuta in quella legge ha alleggerito i vincoli: nel caso più importante, cioè quello del “lavoro a progetto” (che altro non è se non una collaborazione autonoma continuativa a termine), li ha anzi rafforzati; l’unico tipo di contratto nuovo istituito dalla legge Biagi è lo staff leasing, ovvero la somministrazione a tempo indeterminato, che però prevede un contratto di lavoro a tempo – appunto – indeterminato, con applicazione dell’articolo 18; il job sharing o lavoro ripartito non è una forma di lavoro precario, ma un modo d’essere particolare del lavoro a tempo parziale (comunque praticabile in Italia anche prima del 2003).

3.  Il dualismo protetti/non protetti nel mercato del lavoro italiano ha incominciato a manifestarsi già alla fine degli anni ’70, soprattutto con il ricorso alle co.co.co (v. la mia denuncia del 1989: La fuga dal diritto del lavoro, in Democrazia e Diritto; v. anche l’ultimo capitolo del mio libro di quello stesso anno Subordinazione e autonomia nel rapporto di lavoro); dopo la legge Biagi si è registrata una riduzione dei contratti di lavoro a progetto rispetto al numero delle co.co.co. precedenti.

4.  Nella nota 50 a pag. 28 G.R. cita il caso Novartis come esempio di contratto aziendale volto ad applicare l’articolo 18 St.lav. anche a contratti di lavoro stipulati dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2015 n. 23; in quel caso, però, si trattava di cessione di contratti di lavoro all’interno di un gruppo, con conseguente continuazione dei vecchi rapporti senza soluzione di continuità: anche se fosse mancata la precisazione contrattuale esplicita, l’articolo 18 avrebbe continuato ad applicarsi in tutti quei casi, nonostante l’entrata in vigore della nuova disciplina.

5.  In riferimento alla nota 54 a pag. 30: la prima formulazione compiuta dello schema “contratto a tutele crescenti”, che io sappia, è contenuta nel capitolo V del mio libro Il lavoro e il mercato, del 1996; da quel libro nacque il d.d.l. presentato da Franco Debenedetti in Senato nel 1997.

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