LA QUESTIONE DELLA “CLAUSOLA SOCIALE” NEGLI APPALTI

L’ACCORDO BENI CULTURALI /SINDACATI SVENTA LO SCIOPERO AGLI UFFIZI NEI GIORNI DI PASQUA GARANTENDO CHE IN CASO DI SUBENTRO DI NUOVA IMPRESA QUESTA DEBBA ASSUMERE I DIPENDENTI DEL VECCHIO APPALTATORE – MA LA COMPATIBILITÀ DI QUESTA DISPOSIZIONE CON IL DIRITTO EUROPEO DELLA CONCORRENZA È QUANTO MENO DUBBIA

Intervista a cura di Marzio Fatucchi per il Corriere Fiorentino, 31 marzo 2015 – È disponibile on line il testo dell’accordo tra Cgil-Cisl-Uil e Ministro dei Beni Culturali cui l’intervista si riferisce

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Dopo una lunga vertenza, e pure con la minaccia di sciopero per Pasqua, i sindacati hanno firmato l’intesa con il ministro Franceschini: ci sarà la clausola sociale nella prossima gara per le concessioni dei servizi aggiuntivi. Professor Ichino, è una scelta coerente con il principio di libera concorrenza?
Non c’è dubbio che la clausola che obbliga il nuovo appaltatore ad assumere tutti i dipendenti del vecchio abbia l’effetto di proteggere il “collettivo” degli addetti contro ogni concorrenza. Cioè di rendere non contendibile la funzione che essi svolgono.

Però cambia l’imprenditore da cui essi dipendono.
È vero; ma quando il servizio che è oggetto dell’appalto costituisce una attività labor intensive, cioè un’attività quasi interamente svolta mediante lavoro umano, senza apporto significativo di strumentazione materiale, la sostituzione di un imprenditore a un altro nella gestione non può portare con sé un mutamento rilevante se i lavoratori restano obbligatoriamente gli stessi.

La clausola sociale è stata tuttavia convalidata da diverse sentenze.
Sì, sentenze italiane, riferite a contratti che prevedono questo obbligo a carico dell’imprenditore subentrante. C’è però anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia europea che ha dichiarato illegittima quella clausola nella legge sui servizi aeroportuali, proprio sotto il profilo della limitazione indebita della concorrenza tra imprese.

Come si concilia l’esigenza di protezione sociale con l’esigenza di tutela della concorrenza tra imprese?
La clausola di cui si discute è figlia della cultura della job property, di un sistema che fonda la sicurezza economica e professionale della persona esclusivamente sull’ingessatura del suo posto di lavoro. Ora, con la riforma che proprio in queste settimane sta muovendo i primi passi, ci stiamo proponendo di sostituire quel sistema con uno capace di garantire la sicurezza nel mercato più che nel singolo posto di lavoro. Ciò consentirà di abbandonare queste clausole di inamovibilità, che fanno danno a tutti.

Ma non a chi ne è protetto.
In realtà fanno danno proprio a tutti, anche a chi ne è protetto. Perché hanno un effetto depressivo sulla produttività media del lavoro, quindi anche sulle relative
retribuzioni.

Quali sono nel nuovo sistema gli strumenti per la sicurezza dei lavoratori?
Innanzitutto un trattamento di disoccupazione universale di entità e durata allineate ai migliori standard europei: nei primi mesi il 75 per cento dell’ultima retribuzione, che dal quarto mese si riduce del 3 per cento ogni mese fino al 24mo. Poi il contratto di ricollocazione, che consente a chi perde un posto di scegliersi l’agenzia specializzata da cui ricevere assistenza intensiva nella ricerca del nuovo, retribuendola con un voucher incassabile a risultato ottenuto. Un sistema che sta funzionando molto bene in Olanda.

Uno dei temi più complessi in questa attribuzione della gestione di servizi pubblici ai privati è il controllo, sia degli standard che dell’effettiva erogazione del servizio stesso, come dimostrano le polemiche sull’affidamento dei servizi pomeridiani delle materne alle cooperative. La nostra pubblica amministrazione è in grado di svolgere questi controlli?
Un sistema efficace di controlli deve basarsi sulla fissazione di obiettivi specifici e misurabili. Ma si può tenere responsabile un imprenditore o un dirigente del mancato raggiungimento degli obiettivi solo se gli si consente di esercitare le prerogative indispensabili di selezione e direzione del personale. Anche per questo la clausola di inamovibilità deglil addetti deve essere superata.

Uno obiettivi principali della “clausola sociale” è quello della retribuzione, che deve essere garantita, anche se non c’è un contratto nazionale applicabile. Una soluzione potrebbe essere quella del “minimum wage”, del costo orario salario minimo come base di partenza?
Sul piano giuridico, certo, il salario minimo si applicherà in tutti i casi in cui non ci sia un contratto applicabile. Ma un imprenditore che fa bene il suo mestiere deve saper valorizzare il lavoro dei propri dipendenti ben al di sopra del salario minimo. Certo, per questo occorre scegliere l’imprenditore migliore e consentirgli di fare il suo mestiere.

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