ARGOMENTI A SOSTEGNO DEL METODO DEL VOUCHER COME PRE-CONDIZIONE PER UNA VERA AUTONOMIA E RESPONSABILIZZAZIONE DEGLI ISTITUTI SCOLASTICI E PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELL’ISTRUZIONE PUBBLICA
Articolo di Alessandro De Nicola pubblicato su la Repubblica del 18 marzo 2015
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Il governo ha finalmente approvato il disegno di legge sulla scuola. Vi si possono trovare luci e ombre, ma finché non si capiranno le intenzioni del Parlamento, sarà difficile dare un giudizio definitivo.
Un aspetto però potrebbe essere decisivo, ossia la possibilità per le famiglie che scelgono di mandare i figli alle scuole (elementari e medie) paritarie di detrarre il costo della retta.
Qui si scontrano spesso due opposte fazioni: l’una, animata dall’interesse concreto alla sopravvivenza delle scuole private e dall’ideale della libertà di educazione, propone varie forme di sovvenzione, alcune virtuose altre meno. L’altra, animata dall’altrettanto interesse concreto di mantenere intatto il monopolio educativo, il potere dei sindacati e delle burocrazie ministeriali nonché dalla mistica della scuola pubblica e dall’avversione ideologica a quella dei “ricchi”, di risorse dirottate al di fuori del circuito statale non vuol sentire parlare.
Cerchiamo di fare un po’ d’ordine. Ci sono vari modi di finanziare le scuole private. Si possono distribuire dei fondi a tutti gli istituti accreditati in riconoscimento del servizio pubblico che svolgono e questo é il modo finora utilizzato in Italia. Oppure, come succede per le charter school negli USA, si stipula un contratto con degli obiettivi e i soldi vengono erogati a seconda dei risultati ottenuti lasciando piena libertà operativa ai presidi. Alternativamente il finanziamento viene dato alle famiglie, non alle scuole, attraverso la possibilità di detrarre dalle imposte la retta o, meglio ancora, attraverso la dazione di un voucher spendibile indifferentemente in scuole pubbliche o private.
Dimentichiamoci per un attimo il fondamento etico della parità pubblico-privato, vale a dire che le famiglie devono essere libere di scegliere chi istruisce i loro figli e, visto che le tasse vengono pagate allo Stato per garantire l’educazione dei giovani, il governo non può imporre un monopolio di fatto a favore degli erogatori pubblici ma solo stabilire degli standard e garantire il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento. A me sembra un postulato prima di tutto logico ma è noto che non tutti la pensano così.
Guardiamo allora cosa assicura una migliore qualità dell’educazione e scopriamo che non tutte queste forme hanno pari efficacia ed in più il contesto normativo influenza il loro successo. Infatti, dove il titolo di studio ha valore legale, la tentazione per alcune scuole private sarà quella di fungere da esamificio di bassa qualità, abbassando la media generale dei risultati degli istituti privati. Nei contesti, come quello italiano, dove il mercato del lavoro è ingessato, è molto difficile sia licenziare che spostare di mansioni e ruolo, tasse e contributi sono alti e premiare l’impegno non è previsto, ancora una volta le scuole libere sono svantaggiate poiché non possono far valere il loro vantaggio competitivo di flessibilità ed innovazione. Infine, se i contributi non vengono dati direttamente ai consumatori (famiglie e studenti), i quali in generale vogliono la miglior educazione possibile per i loro figli e quindi scelgono le scuole più efficienti, ma agli stessi istituti, non vi sarà alcun stimolo alla concorrenza: anzi, si corre il rischio che per risparmiare e far quadrare i conti molte scuole private non cerchino i professori più bravi e non investano nelle attrezzature. Ecco perché poi sono solo le scuole per “ricchi”, i quali pagano rette elevate, hanno un elevato livello culturale medio e perciò pretendono servizi di eccellenza, ad avere delle performance superiori.
I difensori dello statalismo scolastico brandiscono come clave i dati PISA (test che misurano le capacità degli scolari) dai quali risulterebbe che in Italia gli allievi degli istituti pubblici hanno risultati migliori di quelli liberi. Ora, a prescindere che il costo per studente è spesso più basso in questi ultimi, quindi in termini di efficienza (costo-rendimento) si potrebbe dire che la differenza si annulla, non si tiene conto che la situazione odierna è esattamente quella che i sostenitori della libertà di educazione non vogliono.
Gli stessi test PISA internazionali dimostrano che nella maggioranza dei paesi vagliati gli alunni delle private hanno risultati significativamente migliori (i ricercatori OCSE si sbracciano a dire che ciò si spiega con il livello socio-economico più elevato: appunto, bisognerebbe incrementare il numero dei meno abbienti, non precluder loro l’accesso all’istruzione libera).
Se poi andiamo a vedere le situazioni veramente significative, come alcuni esperimenti fatti con le charter school o con i voucher in America scopriamo –sorpresa, sorpresa- che coloro i quali traggono più vantaggio dalla libertà di scelta sono i ragazzi delle famiglie a più basso reddito. L’OCSE stessa conclude nel suo rapporto 2012 che i paesi che combinano gestione privata e finanziamento pubblico attraverso voucher generalizzati hanno una migliore performance accademica e riducono l’impatto della condizione socio-economica degli studenti sui loro risultati.
E’ ovvio che sia così: la concorrenza funziona sempre, è un processo di scoperta della conoscenza che, tra l’altro, migliora anche le scuole pubbliche, incentivate a non perdere studenti, e quindi classi e posti di lavoro.
La #buonascuola va nella direzione giusta? Qualche timido passo come i premi di merito, la detrazione per chi manda i figli alle paritarie e –a latere– una minor vischiosità generale del diritto del lavoro, si scorge. Il Parlamento, chiamato a migliorare il ddl governativo, rifletta su questo: Atene aveva un sistema scolastico basato sull’educazione libera e i “buoni scuola” per i figli dei caduti; Sparta aveva un monopolio ferreo dell’istruzione dei giovani spartiati da parte della Polis. Chi abbia avuto maggior influenza sulla storia della cultura e civiltà umana credo sia evidente.
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