LA DIFFERENZA TRA LA SUA RIFORMA E QUELLA CHE OGGI MUOVE I PRIMI PASSI – MA LE UNISCE LA CENTRALITÀ DEL METODO COMPARATISTICO, CHE IMPONE IL CONFRONTO COSTANTE E PUNTUALE CON LE PRINCIPALI ESPERIENZE STRANIERE
Intervista a cura di Mariangela Pani, pubblicata dall’Agenzia di stampa Adn-Kronos il 18 marzo 2015.
Roma, 18 mar. (Adnkronos/Labitalia) – “La legge che porta il nome di Marco Biagi è intervenuta soltanto sui rapporti di lavoro periferici, a differenza del Jobs Act che interviene sul nucleo centrale del diritto del lavoro, cioè sul contratto di lavoro regolare a tempo indeterminato; ma se oggi Marco fosse qui credo che, al di là dei
dettagli, condividerebbe l’essenza di questa riforma”. Così Pietro Ichino, giuslavorista, docente di diritto del Lavoro all’Università Statale di Milano e senatore del Pd, ricorda il valore delle idee e degli studi di Marco Biagi, aggiungendo: “Di sicuro, senza la battaglia di Marco oggi saremmo più indietro nel percorso di modernizzazione del lavoro”.
E, soprattutto, spiega il professore, oggi Biagi “condividerebbe il progetto del Codice semplificato: aveva una percezione molto viva e preoccupata della intollerabile complessità della nostra legislazione in materia di lavoro”. Nell’eredità che ci ha lasciato Biagi e che i suoi assassini non hanno potuto cancellare, Ichino mette “al primo posto l’attenzione alla comparazione internazionale: un campo – ricorda – in cui Marco fu maestro, ciò che gli consentì di utilizzare il confronto con gli altri Paesi, e in particolare con quelli più avanzati del nostro per quanto riguarda il buon funzionamento del mercato del lavoro, come metodo nella progettazione delle riforme a cui ha dedicato tanta parte della sua vita”. “Questo metodo è invece negato in radice da tutti coloro che rifiutano il confronto con le esperienze straniere, sostenendo che ‘l’Italia è diversa’, ‘in Italia le misure che funzionano bene oltr’Alpe non possono funzionare’: un alibi diffusamente utilizzato da destra e da sinistra – rimarca Ichino – per non mettere in discussione tante cose che funzionano male, tante posizioni di rendita, tanti radicatissimi conservatorismi”.
A distanza di 13 anni dalla scomparsa di Marco Biagi, qualcosa è cambiato anche nel mercato del lavoro. Ma non in meglio. “Nell’ultimo decennio tutti i difetti del nostro mercato del lavoro, che Marco aveva individuato con grande lucidità, si sono aggravati”, spiega il professore. “Non è un caso che, mentre allora l’opinione pubblica era ancora in maggioranza favorevole alla conservazione dello Statuto dei Lavoratori del 1970 senza sostanziali modifiche; oggi invece, secondo gli ultimi sondaggi, due terzi degli italiani sono favorevoli alla riforma che sta muovendo i primi passi”, conclude Ichino.
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