L’ARROGANZA E LA MIOPIA: UN ARTICOLO DI QUATTRO ANNI FA

LE RESPONSABILITA’ DEL MANAGEMENT E QUELLE DEL SINDACATO NELLA CRISI DI ALITALIA

Questo mio articolo è stato pubblicato sul Corriere della sera del 26 agosto 2004

        Rischio grave di fallimento, necessità di una ristrutturazione aziendale molto incisiva, incapacità del sistema di relazioni sindacali di produrre un accordo su di una strategia capace di superare la crisi: questa oggi è la sintesi della drammatica situazione in cui versa la nostra compagnia aerea di bandiera.        Ma in qualche misura il problema riguarda buona parte della grande industria italiana, la cui crisi strutturale è da tempo sotto gli occhi di tutti, anche se per fortuna non incombe su di essa lo stesso rischio imminente di bancarotta.

Certo, Alitalia soffre oggi ‑ assai più di molte altre grandi imprese ‑ di decenni vissuti all’insegna del controllo politico sulla sua gestione, degli aiuti di Stato e della protezione dalla concorrenza; situazione nella quale a un management che stentava ad acquistare credibilità e prestigio è venuto contrapponendosi un sindacalismo via via sempre più arrogante e miope. È dell’estate scorsa il famoso “sciopero” degli assistenti di volo, attuato con l’invio di centinaia di certificati di malattia, rivolto contro una misura organizzativa normalmente praticata dalle maggiori compagnie concorrenti. Prima e dopo quell’episodio, per un’infinità di volte e ancora ieri l’altro abbiamo sentito quasi tutti i sindacati dei dipendenti Alitalia qualificare come “irricevibile” (aggettivo che esprime al tempo stesso quell’arroganza e quella miopia) qualsiasi proposta di rinegoziazione delle condizioni di lavoro volta ad allinearle con quelle delle compagnie concorrenti; così come abbiamo visto sempre opporre un rifiuto assoluto a qualsiasi ipotesi di riduzione del personale, pur se attuata nelle forme più morbide, con le garanzie più ampie per i lavoratori, e quando essa poteva ancora essere contenuta in limiti molto ridotti.

Questo male ‑ non l’unico, ma oggi uno dei più gravi ‑ di cui soffre Alitalia è soltanto più accentuato, ma non molto diverso qualitativamente da quello di cui ha sofferto e soffre la maggior parte della grande industria italiana. In Francia e Germania accade che i lavoratori scommettano sul piano industriale proposto dal management per il superamento della crisi dell’impresa e il suo rilancio, anche al costo di negoziare la riduzione di determinati benefici, l’aumento degli orari di lavoro, o la riduzione della parte fissa della retribuzione a vantaggio della parte che varia con i risultati aziendali. Da noi nessun sindacato ‑ neppure quelli confederali, che pure avrebbero la cultura e le spalle abbastanza larghe per farlo ‑ ha il coraggio di abbandonare esplicitamente la tesi dell’“intangibilità dei diritti acquisiti” (tesi peraltro giuridicamente del tutto infondata: non esistono “diritti acquisiti” dei lavoratori sulle condizioni di lavoro future; e ciò che il contratto oggi dà, domani lo stesso contratto può sempre togliere). In tutto il mondo la riduzione degli organici costituisce una delle misure esperibili per il superamento delle crisi aziendali; da noi domina il rifiuto pregiudiziale di qualsiasi ristrutturazione che passi attraverso una riduzione del personale, perché il sindacato non riesce neppure a concepire, quindi a rivendicare, che questa misura possa essere attuata in modo civile, senza danno per i lavoratori sul piano del reddito e delle prospettive occupazionali. Così, ingessandole, sovente si condannano le imprese alla sconfitta; e con esse i loro dipendenti.

Sarebbe un errore, però, addossare ai soli sindacati italiani la “colpa” di tutto questo. Un accordo coraggioso capace di tirar fuori un’impresa da una situazione di crisi richiede sempre, dal lato dei lavoratori, un sindacato forte, lungimirante e credibile; ma richiede anche, dal lato opposto, un management altrettanto lungimirante e credibile. E il più delle volte l’assenza o la scomparsa del primo dipendono dal fatto che manca, o è mancato per troppo tempo, il secondo.

 

 

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