“DOBBIAMO SUPERARE LA TENTAZIONE DI COSTRUIRE ESAUSTIVI ‘PROGETTI CRISTIANI’ PER LA CITTÀ UMANA E RIPIEGARE, PIÙ UMILMENTE MA PIÙ EFFICACEMENTE, SULLA ELABORAZIONE SOLO DI ‘PROPOSTE’ DA FARE ALL’UOMO, PER TENTARE TUTTI INSIEME UN MINIMO E CONTINUAMENTE MODIFICABILE E PERFETTIBILE, PROGETTO COMUNE”
Intervento con il quale Stefano Ceccanti, ordinario di diritto costituzionale e senatore PD nella XVI legislatura, ha concluso il Convegno su Vittorio Bachelet svoltosi il 12 febbraio all’Università “La Sapienza” di Roma .
Avendo questo incontro detto moltissimo di Vittorio Bachelet e su Vittorio Bachelet, per non essere ripetitivo mi limito a quattro brevi spunti collegati alla sua figura.
Il primo è l’affermazione-chiave che fece il cardinal Martini nel 1982 alla Chiesa Nuova, in occasione del secondo anniversario dell’uccisione di Bachelet nel Convegno organizzato come ogni anno dall’Azione Cattolica. Rispetto alla cosiddetta “scelta religiosa” dell’Azione Cattolica presieduta da Bachelet, per Martini, seguendo proprio l’interpretazione datane da Bachelet, il sostantivo “scelta” spiegava molto di più dell’aggettivo “religiosa” il modo di essere del laico cristiano nel mondo, non centrato su giudizi definitivi e sulla ripetizione di principi assoluti o sull’impegno in un settore particolare della realtà, definito come religioso, a danno di altri privi di tale caratteristica, ma impegnato a scegliere con saggezza tra più possibilità, tra varie mediazioni tra princìpi e realtà. Ovviamente, come ha spiegato in vari interventi anche Giovanni Bachelet, si trattava anche di un diversa impostazione degli ambiti di impegno, superando supplenze e collateralismi, distinguendo meglio tra responsabilità personali e di gruppo, civili ed ecclesiali, ma la scelta era anzitutto di uno stile diverso,anticipato dal cattolicesimo democratico e poi divenuto patrimonio ufficiale col Concilio Vaticano II. Ne abbiamo parlato proprio qui alcune settimane fa in un convegno su Paolo VI e la terza ondata democratica, i cui atti stanno per uscire su Nomos.
Da dove veniva nella storia nazionale questa impostazione? Si inserisce qui, come secondo spunto, il contributo di Pietro Scoppola, altra persona a cui sia questa Facoltà sia il Paese devono molto. Egli ha ben descritto in molte occasioni da dove traesse la sua ispirazione il cattolicesimo democratico italiano, ossia da un’originale sintesi tra la lealtà alle istituzioni democratiche di tutti (dentro una più generale apertura alla modernizzazione) tipica del cattolicesimo liberale, filone piccolo, a causa della frattura della breccia di Porta Pia, ma qualitativamente significativo, e l’attenzione all’integrazione degli ultimi tipica del cattolicesimo sociale.
Il terzo spunto è una riflessione del medesimo periodo, del 1981, di Carlo Alfredo Moro, magistrato e docente universitario, fratello di Aldo, anche lui docente in questa facoltà, i cui scritti sono stati raccolti e ripubblicati da Studium pochi mesi fa, Moro che con Bachelet condivise tante tappe della vita a cominciare dalla Fuci (e con la signora Bachelet la presidenza del gruppo romano della Fuci) e che descrive in modo molto chiaro il metodo di riflessione e di impegno del cattolicesimo democratico, negli anni più recenti, dopo la fine della cultura del progetto degli anni ’30, quell’ideale storico-concreto della nuova cristianità democratico-profana ormai datato : “L’esperienza storica di questi anni e la riflessione conciliare – scriveva Moro – ci hanno aiutato a superare la tentazione di costruire esaustivi ‘progetti cristiani’ per la città umana e a ripiegare più umilmente, ma più efficacemente, sulla elaborazione solo di ‘proposte’ da fare all’uomo, per tentare tutti insieme un minimo e continuamente modificabile e perfettibile, progetto comune”. Un metodo in cui il ruolo della legge e del diritto, come spiegava in un successivo teso del 1987, non va enfatizzato in modo eccessivo: “Una concezione etico-religiosa basata sulla legge è, più che insufficiente, fuorviante. Non si contesta certo che anche la legge può avere un valore pedagogico ma non si può enfatizzare il diritto a riporre in essa ognisperanza”.
Il quarto e ultimo spunto è una battuta che l’allora Presidente della Camera Nilde Jotti fece a Maria Eletta Martini, storica esponente del cattolicesimo democratico, in un’altra occasione tragica di otto anni dopo, l’uccisione a Forlì di Roberto Ruffilli sempre ad opera delle Brigate Rosse: “Uccidono sempre gli stessi”. Purtroppo Nilde Jotti aveva ragione, ma chi sono gli stessi, decisamente sovrarappresentati tra le vittime del terrorismo? Coloro che avevano dimostrato la capacità di tenere insieme le proprie scelte personali con la comprensione per quelle degli altri costruendo un cammino comune, muovendosi con una progettualità “in cordata”, per usare ancora un’espressione di Carlo Moro. Questi uomini, cattolici democratici, non a caso avvertiti come avversari da chi riteneva di poter arrivare da solo, senza mediazioni, senza comprensione degli altri, ad affermare princìpi, a imporre ideologie anche col ricorso alla violenza. Un terrore che ha molti volti, come ci ha ricordato il Presidente Mattarella sin dalla visita alle Fosse Ardeatine, dove ha parlato del terrorismo nazifascista e del fondamentalismo di matrice islamica, per poi parlare nel discorso d’insediamento anche dell’uccisione di Stefano Taché. Ai volti del terrore quegli uomini, sempre gli stessi, hanno opposto i volti del servizio agli altri. Il cardinal Martini, in quella stessa conferenza, aveva pertanto parlato di un “martirio laico”, ossia non frutto di persecuzione della fede ma di un estremo sacrificio al servizio dell’uomo. Penso che quest’ultima frase sia il miglior completamento dell’affermazione di Nilde Jotti.
.