L’IMMANE MASSACRO NON SAREBBE STATO POSSIBILE SE LA FURIA NAZISTA NON AVESSE TROVATO TERRENO FERTILE DI COLLABORAZIONE DA PARTE DELLE ISTITUZIONI E DELLE POPOLAZIONI DEI PAESI OCCUPATI
Intervento svolto in Senato nella sessione pomeridiana del 27 gennaio, per la celebrazione del Giorno della Memoria
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Signor Presidente, Colleghi, si ridurrebbe a ben poca cosa, il Giorno della Memoria, se fosse soltanto l’occasione per ricordare un evento tragico della nostra storia, quasi che si trattasse di una catastrofe naturale, pur di inusitate dimensioni e conseguenze letali. Oppure se fosse l’occasione per ricordare quanto un popolo straniero sia stato capace di ferocia assassina nei confronti di milioni di persone innocenti, sottolineando la nostra distanza, la nostra totale alterità, estraneità e riprovazione. Se così fosse, il Giorno della Memoria avrebbe un effetto poco desiderabile, perché assumerebbe il significato di una acritica autoassoluzione.
Questa giornata di riflessione è stata istituita, invece, allo scopo di ricordarci una ferocia assassina della quale in qualche misura è stata corresponsabile l’Europa intera, Italia compresa. L’immane massacro di milioni di ebrei, ma anche di rom, di omosessuali, e di altri “alieni”, non sarebbe stato possibile se la furia nazista non avesse trovato terreno fertile di collaborazione da parte delle istituzioni e delle popolazioni dei Paesi occupati.
Così, non avrebbe potuto accadere che il 90 per cento degli ebrei polacchi venisse sterminato, se l’antisemitismo nazista non si fosse immediatamente coniugato con un antisemitismo profondamente radicato e diffuso in Polonia. Quanto a casa nostra, non possiamo dimenticare che furono le italianissime leggi razziali del 1938 – quelle che vietavano ai bambini ebrei di frequentare le scuole statali ed escludevano i loro genitori dalle funzioni pubbliche, dagli albi professionali e persino dai consigli di amministrazione di imprese private – a predisporre gli elenchi di cui poi si sarebbero avvalse con facilità le SS per arrestare e deportare ottomila nostri concittadini. Allo stesso modo, non sarebbe bastato neppure un esercito di SS dieci volte maggiore di quello di cui Hitler disponeva per uccidere il 60 per cento degli ebrei ucraini, il 70 per cento di quelli ungheresi, il 50 per cento di quelli rumeni, il 90 per cento di quelli dei Paesi baltici, il 26 per cento di quelli francesi, il 77 per cento di quelli greci, il 60 per cento di quelli belgi, il 75 per cento di quelli olandesi, e molti altri ancora, se in ciascuno di questi Paesi il razzismo e l’antisemitismo non fossero fioriti spontaneamente, se il collaborazionismo, la delazione e l’istinto di razzìa endemici non avessero spianato la strada agli assassini in divisa. Prova ne sia che nell’unico Paese d’Europa occupato dai nazisti nel quale collaborazionismo e antisemitismo non si sono manifestati – la Danimarca – gli invasori sono riusciti a deportare nel campo di Theresienstadt soltanto 52 ebrei, l’uno per cento della popolazione ebraica danese. Dove tutti, dal primo all’ultimo dei cittadini, hanno fatto fino in fondo il loro dovere, cioè hanno fatto muro in difesa dei concittadini ebrei, dove il Modstandsbevægelsen (il movimento non violento di resistenza danese) senza sparare un solo colpo ha saputo costruire una barriera in difesa degli ebrei con il solo materiale del senso civico, della solidarietà e del senso dell’onore di un popolo, dove il Re in persona ha risposto al diktat nazista indossando egli stesso pubblicamente la stella gialla, è bastato questo perché il progetto di sterminio venisse contrastato efficacemente, pur in un Paese militarmente soggiogato. La strage ha potuto moltiplicarsi fino alle dimensioni inimmaginabili della Shoah solo dove questo non è avvenuto, dove i Governi delle nazioni alleate ai nazisti o da essi invase hanno con essi collaborato, dove razzismo e antisemitismo nazista hanno trovato risonanze profonde nella cultura dei Paesi soggiogati.
Negli stessi anni in cui si è compiuta quella strage, un’altra se ne stava compiendo, poco più a est, di dimensioni ancora maggiori, che forse non è ancora stata messa a fuoco con lo stesso grado di compiutezza con cui lo è stata la Shoah: la strage staliniana. Coglie certamente un aspetto della realtà storica Primo Levi quando sostiene l’alterità e la diversità di natura e di movente tra questi due genocidi; ma colgono un altro aspetto non meno importante della stessa realtà Varlam Salamov, Aleksandr Solženitsyn e soprattutto Vasilij Grossman, quando sottolineano la sostanza che accomuna profondamente questi – e anche tutti gli altri – genocidi. E allora è giusto ricomprendere nella riflessione, a cui ci richiama il Giorno della Memoria, non solo il genocidio hitleriano, ma anche quello staliniano, e tutti gli altri che hanno costituito il tragico tratto distintivo dell’ultimo secolo: quello degli armeni dell’inizio del Novecento – una sorta di tragica prova generale di quanto sarebbe accaduto trent’anni dopo –, il genocidio perpetrato dai Khmer rossi in Cambogia, quello perpetrato sui Tutsi in Ruanda, quelli che hanno recentemente sconvolto i Paesi balcanici a un passo da casa nostra, e altri ancora.
Forse tra qualche anno o decennio ci verrà imputato a titolo di genocidio un comportamento all’apparenza lontanissimo da quelli sui quali il Giorno della Memoria intende sollecitare la nostra riflessione permanente e la nostra vigilanza morale e civile: l’indifferenza con cui tendiamo a guardare alle migliaia di persone che muoiono nel mare nostrum per sfuggire ad altri genocidi che si perpetrano più a sud o più a est. Una cosa è certa: la sostanza che accomuna questa nuova immane tragedia e le altre menzionate prima non è la loro disumanità (Bernard-Henri Levy all’ONU ha parlato “de cette inhumanité radicale, de cette bassesse, qui s’appelle l’antisémitisme”), ma la loro umanità, il loro appartenere fino in fondo alla nostra natura, il loro dipendere in tutto e per tutto da aggressività esplosive che si annidano dove meno lo sospettiamo. Non sconfiggeremo la ferocia genocidaria di cui abbiamo individuato il passaporto straniero se non faremo fino in fondo i conti con la ferocia genocidaria che, in maggiore o minor misura, è e resterà latente in ogni aggregato umano, anche nel nostro, fin quando un altro gruppo di umani continuerà, solo per il diverso colore della pelle, o la diversa religione, o il venire da un altro continente, a essere considerato come una pericolosa tribù di alieni.
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