È LO STRUMENTO DI POLITICA ATTIVA DEL LAVORO PER ECCELLENZA, MA NEL DECRETO DELEGATO DEL GOVERNO SONO STATI INSERITE TROPPE LIMITAZIONI, CHE VANNO CORRETTE PRIMA DELL’ENTRATA IN VIGORE SE SI VUOLE TENERE FEDE IN MODO EQUILIBRATO AI PRINCIPI DELLA FLEXSECURITY
Intervista a Lucia Valente, assessore al Lavoro della Regione Lazio, a cura di Claudio Tucci, pubblicata sul Sole 24 Ore del 18 gennaio 2015.
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Il contratto di ricollocazione è “lo strumento di politica attiva per eccellenza”. Il Governo “dichiara di crederci”. La regione Lazio “ancor di più”. Ma la norma, che lo istituzionalizza, contenuta nello schema di Dlgs sui nuovi ammortizzatori sociali “rischia di farlo nascere zoppo”. La disposizione infatti “esclude dalla ricollocazione, per esempio, chi si dimette per giusta causa e chi sottoscrive in sede conciliativa una risoluzione consensuale del rapporto, un segmento importante di lavoratori che perdono l’occupazione e, per ora, sono fuori dalle tutele”. Non è chiaro poi “il ruolo delle Regioni, che a oggi hanno ancora competenza sulle politiche attive”; e lo strumento “deve essere raccordato meglio con il nuovo sussidio Naspi contro la disoccupazione involontaria, che va specificato si applichi anche nei casi di licenziamento disciplinare”.
Per Lucia Valente (Pd), assessore al lavoro della regione Lazio, e anche professoressa di diritto del lavoro alla Sapienza di Roma, i primi due decreti attuativi del Jobs act “vanno nella giusta direzione. Ma se si liberalizza la “flex”, con la sostituzione per i neo assunti a tempo indeterminato della reintegra con le tutele monetarie crescenti, va necessariamente rafforzata la “security” per assistere il disoccupato nel mercato del lavoro, con sussidi e politiche attive adeguate. E per questo “chiedo al Governo aggiustamenti”.
Il Dlgs sulla nuova Aspi istituisce presso l’Inps, per la prima volta, un fondo ad hoc per la ricollocazione…
È un passo avanti importante. Ma la stessa norma limita l’accesso alla ricollocazione, cioè a un contratto che da diritto a un voucher da spendere per formarsi e trovare un nuovo impiego, rimborsato a risultato raggiunto, al solo “lavoratore licenziato illegittimamente”. Quindi per attivare lo strumento serve una sentenza di un giudice, che può arrivare dopo anni. Sono esclusi così i lavoratori che si dimettono per giusta causa. Ma anche chi, in sede stragiudiziale, risolve consensualmente il rapporto di impiego. Qui c’è pure una contraddizione visto che l’altro Dlgs sulle tutele crescenti, per evitare il contenzioso, punta invece a favorire, in tutte le sede stragiudiziali, proprio la fase conciliativa, incentivandola con un indennizzo esentasse.
Forse, ci sono problemi di risorse. Il Governo sembra aver scelto la strada di una partenza lenta…
Per questo la norma va corretta. Se si liberalizza l’articolo 18 per i neo assunti, si devono rafforzare le politiche di sostegno. Intanto va chiarito che la Naspi si applica anche ai licenziamenti disciplinari, e alle risoluzioni consensuali dei rapporti fatte in qualsiasi sede. E poi vanno potenziate le politiche attive, con la ricollocazione. La regione Lazio è l’unica che ha investito in questa misura. Parliamo di ben 60 milioni di euro, e da marzo-aprile, siamo pronti a partire per tutelare tutti gli over30 disoccupati. Ovviamente se le nuove norme saranno, come spero, approvate.
Intanto, però il ministero del Lavoro ha sbloccato i fondi per sperimentare la ricollocazione dei lavoratori Alitalia…
Sono soddisfatta. Stimiamo di poter coinvolgere 1.400 dipendenti in esubero. Sarà su base volontaria, i numeri potrebbero essere minori, visto che diversi lavoratori hanno ottenuto incentivi all’esodo e sono vicini alla pensione. Sarà comunque una sperimentazione importante della ricollocazione, e vedremo quanto saranno performanti gli enti accreditati, che hanno il compito del collocamento.
Se la ricollocazione dimostra di funzionare, le imprese potrebbero partecipare, per esempio al finanziamento del voucher…
È una buona idea. E’ chiaro che ci sarebbe un risparmio per l’erario, e con queste economie potremmo potenziare i servizi per il lavoro. Tecnicamente si può fare. Basta siglare un accordo quadro territoriale di categoria.
Quindi, le politiche attive devono rimare di competenza regionale?
Siamo in attesa dell’Agenzia nazionale per l’occupazione. C’è poi la riforma costituzionale che però è contraddittoria. Lascia la formazione professionale alle Regioni, e passa allo Stato previdenza complementare, politiche attive e sicurezza sul lavoro. Il disegno è disomogeneo, anche da un punto di vista tecnico-giuridico. Io propongo invece di affidare alle Regioni formazione professionale e politiche attive, che sono due facce della stessa medaglia. In questo quadro, la costituenda Agenzia nazionale avrà compiti di coordinamento, e la gestione operativa rimane alle Regioni. E se lo fanno male? Ci sono sempre i poteri sostitutivi dello Stato.
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