RESTANO DA RIEMPIRE IL CAPITOLO DEL CODICE SEMPLIFICATO E QUELLO DEL NUOVO SISTEMA DEI SERVIZI PER L’IMPIEGO – SI REGISTRANO ANCORA CONTRASTI E RESISTENZE SUL NUOVO MODELLO DEL CONTRATTO DI RICOLLOCAZIONE
Intervista a cura di Maria Chiara Furlò, pubblicata sull’inserto settimanale di Italia Oggi il 18 gennaio 2015.
I primi due decreti attuativi del 24 dicembre sono arrivati alle Camere per il parere previsto. Che cosa manca ancora?
Manca il Codice semplificato del lavoro, nel quale dovrà essere inserita la norma sull’estensione selettiva di alcune protezioni del lavoro subordinato al lavoro autonomo in posizione di dipendenza economica. E manca la nuova disciplina dei servizi per l’impiego.
A proposito di servizi per l’impiego, sembra ancora molto contrastata la scelta del modello del contratto di ricollocazione. Che cosa sta accadendo, su questo capitolo?
La scelta di puntare sul contratto di ricollocazione implica essenzialmente che si punterà su di un sistema fondato sulla cooperazione e integrazione tra servizio pubblico e imprese specializzate nel settore dei servizi al mercato del lavoro. Questa scelta è invisa a una parte della struttura ministeriale, alla quale sarebbe piaciuto di più che si decidesse di investire su di un aumento delle risorse del collocamento pubblico; ed è invisa alla Cgil, per motivi in parte diversi.
Quali motivi?
La Cgil è ancora legata all’idea che il primo diritto da garantire ai lavoratori coinvolti in una crisi aziendale sia quello a un paio di anni almeno di Cassa integrazione. E in ogni situazione di crisi punta sempre a un rilancio dell’azienda mediante nuovi investimenti: in questa ordine di idee, è naturale che non veda di buon occhio la ricerca di una nuova occupazione compiuta da ciascun lavoratore interessato per conto proprio, separatamente dagli altri. Il fatto è che quell’approccio tradizionale al problema caccia quasi sempre i lavoratori in un vicolo cieco, aggravando il problema invece che risolverlo.
Che cosa occorre modificare della norma per renderla più efficace?
Va introdotta una disposizione chiara ed esplicita che condizioni il mantenimento del trattamento di disoccupazione all’adempimento da parte della persona interessata degli obblighi assunti con il contratto di ricollocazione. Va previsto che un quinto circa del voucher sia pagabile indipendentemente dal risultato, secondo un modello di contratto collaudato là dove si è incominciato a sperimentarlo. Infine va chiarito che l’eventuale attività di riqualificazione professionale non rientra nella prestazione retribuita con il voucher. Ma questi sono dettagli. La cosa più importante è che le strutture ministeriali facciano proprio fino in fondo l’obiettivo di far funzionare questo nuovo strumento e più in generale la cooperazione con le imprese private.
Cosa pensa della disposizione che consente di superare la soglia dei 15 dipendenti senza irrigidimento dei vecchi rapporti?
Ne penso molto bene, anche perché in questa scelta legislativa ho una responsabilità diretta.
Incentiverà davvero le imprese più piccole a crescere o il timore di indennizzi più alti rispetto alla vecchia disciplina le bloccherà?
Per le imprese sotto la soglia dei 16 dipendenti il decreto non porta aumenti degli indennizzi, bensì semmai una riduzione, anche se riguardante soltanto gli importi minimi. E sopra la soglia, il decreto porta una flessibilità delle strutture produttive incomparabilmente maggiore rispetto alla disciplina oggi in vigore, che in questo caso fa scattare l’applicazione dell’articolo 18. Qui la novità interessante è che l’applicazione dell’articolo 18, in caso di superamento della soglia, non scatterà neppure per i rapporti vecchi.
In tema di scarso rendimento viene introdotta, nel comma 3 dell’articolo 3, una disposizione che lei definisce “ambigua” in riferimento all’«idoneità fisica o psichica del lavoratore». Di cosa si tratta e come propone di modificarla?
In materia di licenziamento per motivo economico-organizzativo la legge-delega non ammette che venga applicata la sanzione della reintegrazione. La prevede invece in materia di licenziamento discriminatorio. Ora, poiché questo comma 3 dispone la reintegrazione a seguito di licenziamento motivato dall’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, esso non può che essere interpretato come richiamo del divieto di discriminazione ai danni di persona disabile: altrimenti si configurerebbe un eccesso di delega. Gioverebbe comunque una formulazione più chiara in questo senso.