LIBERO: IL CODICE SEMPLIFICATO, COMPLEMENTO INDISPENSABILE DEL JOBS ACT

L’OPERA È MOLTO AMBIZIOSA, MA ORMAI È PROVATA LA SUA FATTIBILITÀ TECNICA – QUANTO AL FATTO CHE SIA POLITICAMENTE MATURA, LO DIMOSTRA PROPRIO LA SCELTA DEL PARLAMENTO DI INSERIRE QUESTO PUNTO NELLA DELEGA

Intervista a cura di Attilio Barbieri, pubblicata da Libero il 12 dicembre 2014.

Professor Ichino, a che punto è la redazione dei decreti che dovranno dare attuazione al Jobs Act, la legge-delega sul lavoro?
Sul primo decreto, quello che istituirà il contratto a tempo indeterminato a protezioni crescenti, c’è un paio di settimane di ritardo rispetto all’idea originaria: non entrerà sicuramente in vigore il 1° gennaio, ma solo nella seconda metà del mese.

Difficoltà tecniche o politiche?
Un po’ tecniche, po’ politiche. Ma alla fine tutti i pezzi del puzzle andranno al loro posto come devono.

Perché ne è così sicuro?
Perché dall’incisività del contenuto e dalla buona fattura tecnica di questa riforma dipende gran parte del successo della manovra economico-finanziaria del Governo. E dipende anche gran parte della sua strategia europea. Su questa riforma il Governo si gioca l’osso del collo: non può permettersi di attardarsi in compromessi, di restare in mezzo al guado.

Subito dopo questo primo decreto dovrebbe venire quello contenente il Codice semplificato del lavoro. Sarà davvero un superamento dello Statuto dei lavoratori del 1970?
Lo sarà per forza: il nuovo Codice dovrà sostituire, semplificandola, tutta la legislazione di fonte nazionale in materia di lavoro, quindi anche lo Statuto.

Davvero sarà possibile ridurre migliaia di pagine di una legislazione ipertrofica e caotica come l’attuale a un testo unico breve e di semplice lettura?
Che l’operazione sia tecnicamente possibile, è dimostrato dalle tre edizioni del progetto del Codice semplificato che si sono susseguite dal 2009 a oggi: l’ultima tra il settembre 2013 e il febbraio 2014 è stata passata al vaglio di 230 esperti della materia, coordinati dal Centro Studi Adapt. Ora è fuori discussione che il contenuto di ciascuna disposizione possa essere modificato; ma che il Codice semplificato sia fattibile, a questo punto è fuori discussione. Del resto, se il Parlamento ha inserito questa operazione nella delega, è proprio perché tutti hanno potuto constatare che essa è possibile.

Quanti articoli saranno?
Nell’ultima edizione del mio progetto sono 58 dedicati ai rapporti di lavoro individuali, 12 dedicati ai rapporti collettivi, cioè al diritto sindacale. Bastano e avanzano.

Questa del nuovo diritto sindacale, con il rafforzamento della contrattazione decentrata, sarà una parte molto importante del nuovo Codice. Qual è il segreto per farla funzionare?
In realtà la legge-delega non comprende ancora i rapporti sindacali. Però è intenzione del Governo estendere l’intervento a questa materia, proprio per rafforzare la contrattazione decentrata spostando il baricentro del sistema delle relazioni industriali verso la periferia, i luoghi di lavoro. Qui non ci sono segreti particolari da applicare: ci sono solo da superare tutte le disposizioni legislative che oggi spingono nella direzione esattamente opposta, valorizzando la contrattazione nazionale e penalizzando quella decentrata.

I critici del Jobs Act temono che le imprese utilizzino strumentalmente le nuove norme per demansionare i dipendenti. È un rischio concreto?
Guardi, quando le cose vanno normalmente, le imprese hanno tutto l’interesse a che il contenuto professionale delle mansioni dei propri dipendenti si arricchisca. Quando le cose vanno male, può accadere che sia necessario spostare una persona a mansioni inferiori, per conservare il posto; ma in questo caso il demansionamento è anche nell’interesse di quella persona, perché è l’unica alternativa al licenziamento. Questo in qualche misura è già previsto in alcune leggi oggi vigenti: la nuova norma non farà che sistemare, chiarire e semplificare le vecchie disposizioni.

In arrivo novità anche sul salario minimo garantito. Di che cosa si tratterà?
Sarà una norma simile a quella che è da tempo in vigore negli altri Paesi occidentali maggiori: uno standard retributivo orario minimo destinato ad applicarsi in tutte le situazioni che non siano coperte da un contratto collettivo applicabile.

A quanto potrebbe ammontare il minimo orario?
Se si vuole evitare di creare disoccupazione, credo che questo minimo orario debba collocarsi tra i 5 euro e i 5 e mezzo. Altrimenti perderemo molti posti di lavoro nei settori più deboli dei servizi labour intensive.

Ma in Germania, dove è stato introdotto da poco, il salario minimo orario è molto più alto, sopra gli 8 euro.
Sarà interessante vedere gli effetti di questa loro scelta. Se non genererà disoccupazione, vorrà dire che il sistema tedesco è ancor più capace di rendere produttivo il lavoro delle persone di quanto si pensi comunemente. Dall’esperimento potrebbe però anche risultare che hanno sbagliato a mettere l’asticella così alta.

Il Codice semplificato dovrebbe riscrivere anche tutta la normativa sulla somministrazione di lavoro. Che cosa dobbiamo aspettarci in questo campo?
Qui, come in molti altri capitoli del diritto del lavoro, si tratterà principalmente di una semplificazione testuale della disciplina vigente, con qualche marginale aggiustamento, ma senza rilevanti modifiche sostanziali. La legge attuale, il cui impianto è ancora quello della legge Treu del 1997, nel complesso ha dato buona prova: tutto dobbiamo fare tranne che stravolgerla.

Quali saranno, invece, i capitoli in cui saranno apportati i maggiori mutamenti di contenuto sostanziale?
Quelli dei licenziamenti e delle dimissioni, della Cassa integrazione, del mutamento di mansioni, dei controlli del datore sulla prestazione di lavoro e della protezione della riservatezza del lavoratore.

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