IL PASSAGGIO DA UN REGIME FONDATO SUL PRINCIPIO DELLA JOB PROPERTY A UNO ISPIRATO AL MODELLO EUROPEO DELLA FLEXSECURITY
Relazione svolta al Senato nella sessione plenaria pomeridiana del 2 dicembre 2014 – Sono on line anche la replica alla discussione finale, svolta il giorno successivo, e la relazione svolta il 26 novembre alla Commissione Lavoro del Senato.
Relazione di Pietro Ichino al Senato
sul disegno di legge AS 1428/2014
recante Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali,
dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino
della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela
e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro
Signor Presidente, Colleghi, esigenze evidenti di economia dei nostri lavori mi inducono a omettere una nuova presentazione integrale del disegno di legge che torna dalla Camera dei Deputati al Senato: faccio rinvio in proposito, per brevità, oltre che ai nostri lavori in occasione della prima lettura, alla relazione svolta in sede di terza lettura alla Commissione Lavoro, dove ho dato conto analiticamente delle modifiche apportate al disegno di legge dall’altro ramo del Parlamento. In questa sede mi limito ad alcune notazioni generali e ad alcune precisazioni sugli emendamenti di maggior rilievo approvati alla Camera.
Osservazioni di carattere generale
Le modifiche apportate dalla Camera hanno sostanzialmente confermato, innanzitutto, il primo intendimento fondamentale che muove l’intero disegno di legge, nel senso del passaggio da un ordinamento del lavoro caratterizzato da profonde disparità di protezione, generatore di quel dualismo delle tutele che negli ultimi anni ci è stato ripetutamente rimproverato dall’Unione Europea, a un nuovo ordinamento tendente invece all’universalità di applicazione delle misure necessarie per correggere le distorsioni del mercato del lavoro: un mercato tuttora caratterizzato in zone relativamente ampie da asimmetrie e squilibri di potere contrattuale tra le parti.
Dai lavori dell’altro ramo del Parlamento esce confermato anche l’altro intendimento fondamentale di questo provvedimento, nel senso del passaggio dal vecchio sistema tendente a difendere la persona che lavora dal mercato del lavoro, evitandole il più possibile di dovervi transitare, a un sistema di protezione tendente a difenderla nel mercato, in particolare nel passaggio dalla vecchia occupazione a una nuova.
La transizione dal paradigma della job property a quello della flexsecurity, avviato con la riforma del 2012, viene dunque ora portato a compimento con un nuovo assetto del sistema protettivo che mira essenzialmente a coniugare la massima possibile flessibilità delle strutture produttive, indispensabile per la competitività delle nostre imprese nell’economia globalizzata, con la massima possibile sicurezza economica e professionale delle persone che in esse lavorano. Sicurezza che deve essere data essenzialmente dalla libertà effettiva di movimento nel mercato garantita a tutti da una assicurazione contro la disoccupazione di impianto moderno, strettamente collegata con servizi efficaci di assistenza nella ricerca della nuova occupazione.
A questi obiettivi tendono i tre pilastri della riforma, costituiti rispettivamente dalle nuove norme in tema di ammortizzatori sociali (articolo 1, nella formulazione originaria del disegno di legge, ora commi 1 e 2), di servizi nel mercato (articolo 2, ora commi 3 e 4) e di disciplina dei contratti di lavoro, in particolare del loro scioglimento (articolo 4, ora comma 7).
Esame delle modifiche apportate al testo in seconda lettura
Passo quindi alla sola esposizione del contenuto degli emendamenti più rilevanti al disegno di legge approvati dalla Camera dei Deputati, rinviando per una esposizione più analitica alla relazione presentata alla Commissione Lavoro la settimana scorsa.
In tema di ammortizzatori sociali, la modifica di maggior rilievo consiste nell’aggiunta, al comma 2, lettera a), n. 1, dell’aggettivo “definitiva” all’espressione “cessazione di attività aziendale”: si conferma, dunque, la limitazione dell’intervento della Cassa integrazione guadagni ai soli casi di cessazione temporanea, ovvero di sospensione dell’attività aziendale con ragionevole prospettiva di ripresa dell’attività stessa, quindi del lavoro dei dipendenti, entro il termine di durata dell’intervento. Si conferma, per converso, la necessità che in tutti gli altri casi lo stato di effettiva disoccupazione dei lavoratori non venga nascosto attraverso la sospensione fittizia dei rapporti di lavoro, come si è diffusamente fatto negli ultimi decenni, ma si proceda immediatamente all’attivazione delle misure tendenti al più rapido possibile reinserimento dei lavoratori interessati nel tessuto produttivo (misure che sono oggetto dell’articolo 2 del disegno di legge).
In tema di servizi per l’impiego, l’emendamento alla lettera n) del comma 4 aggiunge alla finalità della valorizzazione delle sinergie tra servizi pubblici e privati quella della valorizzazione delle sinergie con “operatori del terzo settore, dell’istruzione secondaria, professionale e universitaria”: aggiunta certamente apprezzabile, purché sia chiaro il ruolo specifico che la riforma intende attribuire, nel nuovo sistema dei servizi per l’impiego, alle imprese specializzate nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro accreditate presso le Regioni. La funzione pubblica del collocamento ben può e deve valorizzare anche queste imprese. Questo è l’obiettivo cui tende lo schema del contratto di ricollocazione, di cui allo stesso comma 4, lettera p), che prevede la libera scelta dell’agenzia specializzata accreditata presso la Regione da parte delle persone interessate, e la retribuzione del servizio a mezzo di voucher regionale pagabile per la maggior parte a risultato positivo ottenuto. A questo schema la legge-delega affida il compito di
– assicurare ai disoccupati un servizio assai più efficace di quello di cui oggi essi godono;
– restituire ai Centri per l’Impiego centralità nel sistema affidando loro un ruolo insostituibile di cerniera tra utenti e fornitori dei servizi di assistenza, siano essi gestiti da soggetti pubblici o privati;
– consentire l’attivazione effettiva della condizionalità del sostegno del reddito (già prevista dalla legge vigente ma oggi pressoché inesistente nei fatti);
– realizzare una riqualificazione della spesa pubblica in questo settore, poiché l’operatore inefficiente finirà, per effetto del pagamento a risultato, coll’essere automaticamente emarginato dal sistema.
In tema di disciplina dei contratti di lavoro, non ha subito alcuna modifica la parte iniziale del comma 7, nella quale si prevede l’emanazione di un testo unico semplificato delle norme legislative di fonte nazionale relative ai diversi tipi di contratto di lavoro e allo svolgimento dei relativi rapporti: quello che nel dibattito è comunemente indicato come il Codice semplificato. Mi limito, in questa sede, a sottolineare l’importanza della scelta di rendere i nostri testi legislativi – in particolare quelli che disciplinano rapporti giuridici riguardanti decine di milioni di persone – conformi alle linee-guida emanate dall’Unione Europea nel Decalogue for Smart Regulation del 2009; e quindi
– molto più facilmente leggibili da tutti gli interessati di quanto non sia oggi la nostra legislazione in materia di lavoro, talvolta incomprensibile anche per gli esperti;
– strutturati in modo da rendere le singole norme molto più facilmente reperibili di quanto non lo siano oggi nella congerie ipertrofica e informe di una legislazione del lavoro stratificatasi nell’arco di quasi mezzo secolo e troppo sovente dettata per la soluzione di singoli casi, in una rincorsa affannosa delle emergenze;
– scritti in modo da essere facilmente traducibili almeno nell’esperanto del mondo degli scambi internazionali, ovvero in inglese.
Quasi mezzo secolo fa fu possibile compiere un’opera di questo genere: lo Statuto dei diritti dei Lavoratori, composto di 41 articoli scritti in modo estremamente semplice e comprensibile da chiunque, appena emanato fu distribuito dalle associazioni sindacali e imprenditoriali in milioni di copie in ogni angolo del Paese; e nel giro di qualche mese tutti gli interessati furono in grado di prendere conoscenza diretta dei suoi contenuti essenziali. Il nuovo Codice semplificato del lavoro dovrà rendere possibile una operazione analoga, essendo caratterizzato dalla stessa concisione, nitidezza di struttura, facilità di lettura, universalità dei contenuti. Anche per togliere di dosso al nostro ordinamento del lavoro quell’aspetto bizantino, opaco, impenetrabile, che costituisce uno degli ostacoli di maggior rilievo – insieme alla pressione fiscale e alle inefficienze delle amministrazioni – all’attrattività dell’Italia per gli imprenditori stranieri portatori di investimenti e di piani industriali d’avanguardia.
L’emendamento di maggior rilievo al comma 7 è quello in virtù del quale il contratto a tempo indeterminato deve essere promosso come forma “comune” (espressione che sostituisce la precedente: “privilegiata”) di contratto di lavoro. Questo emendamento offre l’occasione, oltre che il fondamento positivo, per un chiarimento necessario in risposta a interrogativi che si sono posti insistentemente nel dibattito delle ultime settimane. Il “contratto a tutele crescenti” non costituisce un tipo contrattuale diverso rispetto al contratto di lavoro subordinato ordinario a tempo indeterminato, la cui istituzione si porrebbe in contraddizione con l’intendimento della semplificazione, sotteso all’intero provvedimento. Esso bensì costituisce soltanto l’espressione con cui si indica sinteticamente l’insieme della nuova disciplina dei rapporti a tempo indeterminato destinati a costituirsi dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo di questa parte della delega. La parziale diversità di disciplina di questi nuovi rapporti rispetto ai vecchi si concreta essenzialmente nella diversa tecnica di protezione della sicurezza economica e professionale del soggetto che dal rapporto trae continuativamente la maggior parte del proprio reddito, trovandosi così esso in posizione di sostanziale dipendenza dal creditore della prestazione. Questa diversità di trattamento si giustifica sul piano costituzionale non per la diversità del tipo contrattuale – che, come si è detto, non sussiste – ma essenzialmente per la necessità evidente e ragionevolissima di compiere il passaggio dalla vecchia alla nuova tecnica di protezione garantendo a tutti coloro che ne saranno interessati i nuovi servizi nel mercato del lavoro.
L’attuazione del nuovo sistema, deputato ad assicurare l’assistenza intensiva cui chi perderà il posto d’ora in poi avrà diritto, non potrà non avere una certa gradualità, che si concilia perfettamente con la gradualità dell’ampliamento della platea dei suoi beneficiari. Tutti sanno, del resto, che la giurisprudenza costituzionale, e non solo quella italiana, ha sempre legittimato il criterio della successione temporale come criterio ammissibile di differenziazione della diversità di trattamento tra fattispecie per il resto tra loro uguali, in funzione di un processo di riforma incisiva della materia.
Arriviamo così all’emendamento di gran lunga più rilevante, tra quelli apportati al disegno di legge dalla Camera in seconda lettura: quello che precisa il contenuto del nuovo “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, chiarendo che il legislatore delegato dovrà regolarlo “escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato”. Questo emendamento conferma e precisa in modo inequivocabile l’intendimento del legislatore di superare la peculiarità del nostro ordinamento nel panorama dell’intero Occidente industrializzato – peculiarità di fatto mantenutasi anche dopo la riforma parziale della materia del 2012 – consistente in una amplissima applicazione in questa materia della sanzione della reintegrazione. Questa sanzione dovrà ora essere esclusa per tutti i licenziamenti non sorretti da contestazione disciplinare (individuali per motivo economico-organizzativo o per scarso rendimento oggettivo, collettivi, temporaneamente inefficaci per mancato superamento del periodo di comporto di malattia) e per la generalità dei licenziamenti disciplinari. L’area in cui essa dovrà applicarsi è soltanto quella dei casi di nullità del licenziamento specificamente previsti dalla legge – matrimonio, maternità e discriminazione o rappresaglia – e in casi particolari di licenziamento disciplinare ingiustificato equiparabili per gravità al licenziamento discriminatorio, pur trattandosi ovviamente di una fattispecie diversa.
La legge-delega affida al Governo di stabilire l’entità delle conseguenze economiche del licenziamento in relazione e corrispondenza con l’anzianità di servizio della persona interessata, con l’intendimento di perseguire un’armonizzazione dell’apparato sanzionatorio rispetto agli altri ordinamenti europei maggiori, che consiste in sintesi – per dirla con il linguaggio della teoria generale del diritto – nel passaggio da una property rule a una liability rule. Ma al tempo stesso la legge-delega si fa carico – anche qui in armonia con le linee guida emanate dall’Unione Europea – di creare le condizioni affinché il pregiudizio derivante sul piano economico e professionale alla persona che perde un lavoro sia ridotto al minimo, se non azzerato, dal sostegno del reddito e dall’assistenza offerta nella ricerca della nuova occupazione.
Per questa via sarà possibile anche ricondurre a un livello accettabile il tasso di contenzioso giudiziale su questa materia: oggi anch’esso costituisce una peculiarità negativa del nostro ordinamento rispetto a quelli degli altri Paesi nostri partner europei.
L’emendamento alla lettera f) del comma 7 si riferisce invece alla nuova disciplina degli strumenti di controllo a distanza – attualmente oggetto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori – precisando che deve trattarsi di controlli aventi per oggetto gli impianti e gli strumenti di lavoro, non le persone. Si conferma qui l’intendimento del legislatore delegante nel senso di adattare la disciplina vigente – dettata in un’epoca in cui non esistevano ancora né i personal computer, né Internet, né le reti informatiche aziendali, né i telefoni cellulari, né tantomeno i sistemi di localizzazione e controllo satellitare – a tutti questi sviluppi tecnologici che fanno sì che il collegamento a distanza sia diventato una funzione intrinsecamente propria di tutte le nuove strumentazioni informatiche e telematiche, normalmente utilizzate dalle imprese: funzione certo non suscettibile di essere assoggettata a una regola generale di necessaria contrattazione preventiva in sede sindacale (come invece previsto dalla norma vigente in riferimento ai sistemi televisivi a circuito chiuso e ai microfoni). Per altro verso, le stesse nuove tecnologie aprono nuovi fronti di possibile lesione del diritto delle persone alla riservatezza, che richiedono una nuova regolazione adeguata.
Un poco più complesso è il discorso che riguarda l’emendamento alla lettera g) del comma 7 (sostanzialmente identico a quello relativo alla lettera b) del comma 2) che, in riferimento all’ampliamento dell’area di applicazione dell’assicurazione contro la disoccupazione a chi sia stato titolare di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa, dispone l’aggiunta delle parole “fino al suo superamento”. Questo emendamento non allude evidentemente a un divieto attuale o futuro dei contratti di lavoro autonomo aventi per oggetto un’attività continuativa nel tempo (quali per esempio il contratto che lega ai rispettivi committenti un agente di commercio, un amministratore di condominio, un amministratore di società, un ragioniere che tiene continuativamente la contabilità di un’impresa, e gli esempi potrebbero moltiplicarsi all’infinito): un divieto siffatto dovrebbe considerarsi incostituzionale per manifesta irragionevolezza; e infatti non è previsto, né per l’immediato né per il futuro, in alcuna parte del disegno di legge. L’aggiunta delle parole “fino al suo superamento” deve invece intendersi come richiamo al riordino e semplificazione della disciplina dei contratti e rapporti di lavoro, oggetto della delega contenuta nel comma 7, da compiersi nel nuovo testo unico della materia: in questa sede, nel quadro di una generale ridefinizione dei confini dell’area del lavoro dipendente, potrà essere disposto il “superamento”, appunto, del tipo contrattuale particolare della collaborazione coordinata e continuativa costituito dal contratto di lavoro a progetto e l’attrazione di tutti i casi di collaborazione continuativa caratterizzati dai tratti essenziali della dipendenza economica dal creditore in un’area dove alcune norme di diritto del lavoro trovino applicazione selettiva. La stessa tecnica di tutela, rispettosa della peculiarità causale di ciascuna figura contrattuale, potrà essere adottata anche in riferimento ad altri tipi di contratto nel quale venga dedotta la prestazione di lavoro personale.
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Per concludere, mi limito a citare un rapporto di poche settimane or sono sui progressi dell’Italia nella correzione degli squilibri macroeconomici, nel quale la Commissione Europea individua, tra le principali riforme in grado di affrontare le debolezze del sistema economico italiano, proprio questa che è oggi al nostro esame. E rileva come questa riforma, muovendosi in linea con la riforma del 2012, miri a ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, ad accrescere la flessibilità in uscita e a realizzare una rete integrata di ammortizzatori sociali. La stessa Commissione sottolinea però che l’efficacia della riforma dipenderà essenzialmente dal contenuto e dall’implementazione dei decreti attuativi, che non dovrà tradire l’incisività del disegno iniziale.
Questo, dunque, dal giorno dopo l’entrata in vigore della legge-delega, dovrà essere l’impegno prioritario del Governo. A noi, ora, il compito di approvare in via definitiva questo testo il più rapidamente possibile, per consentire che i primi decreti delegati vedano la luce in sincronia con la legge di stabilità, cui questo disegno di legge è collegato.