UNA CONFERMA EMPIRICA RIGOROSA E AL TEMPO STESSO UN’INTERPRETAZIONE CONVINCENTE DELLA CONFUSIONE CHE SI STA VERIFICANDO NELLA POLITICA ITALIANA TRA I DUE POLI – MA ANCHE UN INTERROGATIVO INQUIETANTE CIRCA IL TEMPO NECESSARIO (700.000 ANNI?) PER LA STABILIZZAZIONE DEL NUOVO ASSETTO
Articolo di Claudio Elidoro, contenente intervista a Leonardo Sagnotti, pubblicato sul sito Scienzainrete, 10 novembre 2014 – Lo ripropongo ai lettori, per un verso a conferma della tesi espressa in diversi miei post dell’ultimo biennio, circa la rotazione di 90 gradi dello spartiacque del bipolarismo italiano, per altro verso al fine di porre in rilievo l’interrogativo inquietante circa la durata di questo processo, qui indicata dai due scienziati in 786.000 anni!.
Il campo magnetico […] non è fisso e immutabile. Può capitare – e nel corso della lunga storia del nostro pianeta è successo più e più volte – che i poli magnetici si scambino tra loro, con un Polo si scambia con l’altro. Entrambe le configurazioni (gli addetti ai lavori parlano di due stati di polarità, normale e inversa) sono ugualmente possibili e stabili. A differenza di quanto avviene nel Sole, in cui questa inversione si verifica regolarmente ogni 11 anni (il cosiddetto ciclo solare), per la Terra non esiste una periodicità specifica e ancora non è chiaro quale sia il motore che governa il fenomeno. L’ultima di tali inversioni, nota come transizione Matuyama-Brunhes, risale a circa 786 mila anni fa ed è responsabile dell’attuale polarità del campo geomagnetico.
Nonostante l’intensa attività di studio dei geofisici, vi sono ancora molti punti oscuri nelle nostre conoscenze del meccanismo di inversione di polarità. Una recente ricerca ha però permesso di chiarire le idee almeno su un elemento chiave: il tempo impiegato dalla calamita terrestre a invertire i suoi poli. La ricerca è stata condotta da un team internazionale coordinato da Leonardo Sagnotti (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e pubblicata sull’ultimo numero di Geophysical Journal International (nei giorni scorsi abbiamo diffuso su SciRe il comunicato stampa del CNR).
L’analisi dei sedimenti dell’antico bacino lacustre di Sulmona, sfruttando la presenza di ceneri vulcaniche, ha permesso di datare con precisione il momento di inversione della polarità magnetica e di appurare che si trattò di un processo estremamente rapido. “È sbalorditiva la rapidità con cui avvenne quell’inversione – commenta Courtney Sprain, specializzanda presso l’Università della California e coautrice dello studio – I dati paleomagnetici sono davvero ottimi. Si tratta di una delle migliori registrazioni mai raccolte finora riguardo a ciò che può accadere durante un’inversione.” Lo stupore è ben motivato: gli allineamenti magnetici emersi dalle accurate misurazioni del team indicano infatti che l’intero processo avvenne in meno di cento anni, dunque almeno dieci volte più rapidamente di quanto si ritenesse finora. Le fa eco Biagio Giaccio (Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria – CNR), anch’egli coautore dello studio: “Si tratta di un fenomeno che può svilupparsi in tempi comparabili alla durata di una vita umana. La nostra stima più conservativa è che l’inversione si sia sviluppata in meno di un secolo, probabilmente molto meno.”
Non è l’estrema rapidità del fenomeno, però, l’unico dato che emerge dallo studio del team di Sagnotti (qui si può accedere al paper completo). Dalle analisi, infatti, emerge che l’inversione di polarità della transizione Matuyama-Brunhes è stata preceduta da un periodo di instabilità magnetica di almeno 6000 anni, con due intervalli temporali – un paio di millenni ciascuno – nei quali l’intensità del campo si era ridotta a meno della metà del suo attuale valore. Con un campo magnetico ridotto in queste condizioni è immediato chiedersi quali conseguenze vi potrebbero essere per la biosfera terrestre.
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D. Le ceneri dei sedimenti di Sulmona hanno permesso di datare con precisione l’ultima inversione mostrando che risale a quasi 800 mila anni fa. Secondo alcune valutazioni statistiche, però, sembrerebbe che in passato le inversioni magnetiche possano essere state più frequenti. Come interpretare il lungo intervallo che ci separa da quell’evento? Dobbiamo in qualche modo preoccuparci?
R. Le inversioni di polarità del campo non sono un fenomeno periodico e regolare. Sono documentate 21 inversioni geomagnetiche nel corso degli ultimi 5.3 milioni di anni, il che implica che in media durante questo periodo c’è stata un’inversione del campo ogni circa 250 mila anni. In effetti, l’ultima inversione completa del campo è ora datata a circa 786 mila anni fa e sappiamo che l’intensità del campo è in diminuzione sin dalle prime misure dirette di intensità del campo, effettuate da Gauss verso la metà del XIX secolo. Tuttavia, gli studi paleomagnetici indicano che durante gli ultimi 786 mila anni l’intensità del campo è variata continuamente e ampiamente. L’intensità del campo ha avuto un valore di elevato picco positivo circa 2000-2500 anni fa, per cui è normale che poi sia calata. Dunque, non è possibile stabilire se la decrescita di intensità del campo attualmente misurata rappresenti la prima fase della prossima inversione di polarità o faccia invece parte del naturale processo di variazione che caratterizza ogni intervallo di polarità magnetica stabile.
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