PARTE L’ITER PARLAMENTARE DI UN DISEGNO DI LEGGE PER UNA DISCIPLINA MODERNA DELL’ATTIVITÀ DI RELAZIONI PUBBLICHE E DEI RAPPORTI TRA RAPPRESENTANTI DI INTERESSI PRIVATI E RAPPRESENTANTI DELLE ISTITUZIONI, CHE ATTENDE ORMAI DA OLTRE 30 ANNI
Intervista a cura di Giovanni Tomasino, destinata alla sua tesi di laurea, che verrà prossimamente discussa nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Milano, 29 ottobre 2014 – Si è avviato in questi giorni l’esame da parte della Commissione Affari Costituzionali del Senato di alcuni disegni di legge in materia di disciplina dell’attività di relazioni pubbliche e dei rapporti tra i rappresentanti di interessi privati e i rappresentanti delle istituzioni, tra i quali il disegno di legge a firma di Manconi e Ichino n. 992/2913.
Professor Ichino, il suo disegno di legge contenente norme per la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi, è attualmente sotto esame in sede referente in Commissione affari costituzionali al Senato. Qual è il motivo, e come è nato, il suo interesse per la disciplina della rappresentanza di interessi e che ruolo questa può avere nell’ambito di una riforma del panorama istituzionale?
Incominciai a occuparmi di questa materia nella mia vita precedente: quando, nell’ottava legislatura, ero membro della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Già allora mi ponevo il problema di come promuovere la qualità del lavoro autonomo, quindi la sua produttività e il reddito che chi lo svolge può trarne, senza chiuderne gli accessi. Insomma, il problema di una promozione che non segua lo schema corporativo di origine medioevale, quello dell’ordine o albo il cui accesso sia controllato dagli iscritti. La categoria dei professionisti delle relazioni pubbliche, allora priva di qualsiasi riconoscimento da parte dell’ordinamento statale, si prestava benissimo come laboratorio per la sperimentazione di nuove tecniche di tutela e promozione. Ne discussi con diversi esponenti della Federazione più rappresentativa del settore, la Ferpi e ne nacque il mio disegno di legge n. 3200/1982. Quel progetto di legge era poi l’occasione ideale anche per introdurre in modo efficace un principio di trasparenza nel rapporto tra rappresentanti delle istituzioni e rappresentanti di interessi privati; insomma, dell’attività di lobbying. Ora, a trent’anni di distanza, quegli stessi contenuti sono stati ripresi nel disegno di legge n. 992/2013, di cui è primo firmatario Luigi Manconi e io co-firmatario.
In estrema sintesi quali ne erano i contenuti di quel suo disegno di legge?
Recezione da parte dell’ordinamento statale di un codice deontologico elaborato dalle associazioni maggiormente rappresentative della categoria; libertà di accesso alla professione per tutti i new entrants, mediante iscrizione a un elenco senza esame di ingresso; controllo, affidato a un organo paritetico – composto in parti uguali da appartenenti alla categoria e da rappresentanti degli interessi coinvolti – del rispetto del codice deontologico da parte di ciascuno degli iscritti all’elenco; sanzioni disciplinari, fino alla radiazione dall’elenco con conseguente inibizione dello svolgimento dell’attività, per chi vìoli il codice deontologico. Obbligo di pubblicazione in apposito registro tutte le donazioni di valore eccedente un limite minimo, effettuate in favore di rappresentanti delle istituzioni.
Qual è l’ atteggiamento oggi della politica e delle istituzioni nei confronti della materia?
Purtroppo, nell’atteggiamento prevalente dei parlamentari non è cambiato molto rispetto alla tendenza che si registra da sempre, nel senso della protezione di ciascuna categoria di lavoro autonomo mediante l’istituzione di un ordine o albo con controllo autogestito dei nuovi accessi.
Alla luce di questo, quali differenze intercorrono tra il ddl da lei presentato nel 1982, che riguardava, in realtà, l’attività di relazioni pubbliche, ma che toccava molto da vicino il fenomeno della rappresentanza di interessi, e quello presentato l’anno scorso da Manconi e da lei?
L’impianto è essenzialmente lo stesso: libertà di accesso alla professione, salvo l’onere di registrarsi nell’elenco, la cui tenuta è ora affidata alla Civit, e il dovere di conformarsi al codice deontologico dettato dalla stessa, sotto pena di sanzioni opportunamente graduate. Obbligo di registrazione di tutte le donazioni o agevolazioni di valore superiore a 150 euro, effettuate in favore di rappresentanti delle istituzioni. Fa un po’ effetto pensare che uno schema così semplice e al tempo stesso efficace per garantire la trasparenza dell’attività di lobbying, ispirato alle esperienze pluridecennali di grandi Paesi come gli USA e la Gran Bretagna, nel nostro Paese sia stato rifiutato così a lungo: evidentemente le resistenze, da parte degli autori e da parte dei beneficiari di donazioni e agevolazioni, sono molto forti.
I gruppi di pressione, sono dunque un fenomeno positivo o negativo nella vita istituzionale, visto che, nel preambolo del DDL, si afferma: “il principale obiettivo della presente normativa è quello di distinguere l’attività di tutela di interessi legittimi e di pressione dalle attività illegali di lobbismo”.
In ogni sistema democratico gli interessi privati si fanno sentire dalle istituzioni, in particolare dai legislatori, dai policy-makers, da tutti i dirigenti pubblici che abbiano un minimo di discrezionalità nell’attuare norme che tocchino quegli interessi. In questo non c’è, in linea di principio, niente di male. Il problema è che questa attività di lobbying legittimo è strettamente contigua alla possibile attività corruttiva. E per prevenire la corruzione non c’è nulla di più efficace che la trasparenza. In questo campo, la luce del sole costituisce il migliore disinfettante.
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