IL COSTO ESPLICITO E IL RISPARMIO IMPLICITO NELLA FLEXSECURITY

Il costo esplicito che le imprese si assumono con il contratto di transizione è di molto inferiore al costo implicito, nascosto, di un sistema che consente di licenziare soltanto se l’impresa è in crisi.

Intervista a cura di Francesco Riccardi, per l’Avvenire, 7 maggio 2009

Qual è il suo giudizio sull’impostazione generale, culturale, del libro bianco sul Welfare? Vi trova dei punti di contatto con le vostre riflessioni?
Alcuni punti di contatto certamente sì.

Per esempio?
Il principio di sussidiarietà, la necessità di aumentare il tasso di occupazione femminile, l’impegno a redistribuire meglio la spesa sociale, il programma di ristrutturare il sistema di protezione del lavoro. Ma su ciascuno di questi punti il documento enuncia soltanto delle linee di tendenza generiche: è estremamente vago e teorizza la necessità di rinviare tutto a tempi migliori.

A proposito del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali c’è la possibilità di armonizzare le due proposte: quella di Statuto dei lavori e la vostra di transizione alla flexsecurity?
Ci sarebbe, certo, questa possibilità. Per superare il regime di apartheid tra protetti e non protetti le soluzioni sono fondamentalmente di due tipi: la liberalizzazione all’americana, oppure la flexsecurity alla nord-europea. Lo “Statuto dei lavori”, se non vuole essere acqua fresca, deve collocarsi sulla linea della coniugazione tra il massimo possibile di flessibilizzazione delle strutture produttive e il massimo possibile di sicurezza del lavoratore nel mercato del lavoro.

Quali sono invece le maggiori distanze?
Non è facile dirlo, dal momento che da parte nostra c’è un disegno di legge nero su bianco, già presentato al Senato, mentre da parte del Governo non c’è neppure una bozza informale di progetto.

Il libro bianco dà molto spazio e valore agli enti bilaterali. Anche lei ne prevede lo sviluppo nel suo disegno di legge sulla flexsecurity. Eppure nella sinistra e anche da parte di alcuni economisti liberisti sono guardati con molto sospetto.
Effettivamente, tra le esperienze di “gestione bilaterale” dei servizi nel mercato del lavoro ve ne sono di molto positive e di molto negative. Per questo Il mio disegno di legge lascia totalmente libera la scelta del modello di “agenzia” cui affidare i lavoratori che perdono il posto, da parte di imprese e sindacati che decideranno di impegnarsi nella sperimentazione del nuovo modello. Poiché imprese e lavoratori rischiano insieme, lasciamoli liberi di scegliere, caso per caso, la forma che dà loro maggiore affidamento. E lasciamo che modelli operativi diversi si confrontino e competano tra loro.

Non crede che sussidi generalizzati, come richiesti dal PD, uniti a una maggior libertà di licenziamento per motivi economici, possano portare le imprese, nelle fasi di crisi, a espellere moltissimi lavoratori?
Il progetto che propongo, accollando al sistema delle imprese il sostegno del reddito del lavoratore licenziato fino alla sua ricollocazione – con un massimo di quattro anni, nei quali l’indennità digrada dal 90 al 60 per cento dell’ultima retribuzione –, di fatto produce un costo del licenziamento tanto più alto quanto più lungo sarà il periodo necessario per ricollocare il lavoratore. Il nuovo regime, in questo modo, produrrà automaticamente un marcato effetto anticiclico.

Il costo di questo sistema non è eccessivo per le imprese?
No: le imprese, anzi, ne avranno un vantaggio. Il costo esplicito che esse così si assumono è di molto inferiore al costo implicito, nascosto, di un sistema che consente di licenziare soltanto se il bilancio è in rosso, se l’impresa è in crisi.

E i lavoratori che cosa ci guadagnano?
Pari opportunità di lavoro a tempo indeterminato, con stabilità crescente col crescere dell’anzianità di servizio, per tutti. La migliore allocazione delle risorse umane consentita dalla maggiore fluidità del tessuto produttivo, poi, significa migliore valorizzazione del lavoro e quindi retribuzioni più alte.

La Fiat si candida a diventare un leader mondiale. Ciò comporterà con ogni probabilità anche una profonda ristrutturazione. C’è la possibilità anche di innovare le relazioni industriali, di costruire contemporaneamente un nuovo sistema più partecipativo? Come?
Il caso Fiat può essere un eccellente banco di prova di un nuovo sistema di relazioni industriali e di protezione del lavoro. Il sindacato deve scegliere: se seguire la vecchia prassi della resistenza passiva, oppure proporre all’impresa il new deal: nessun ostacolo alle ristrutturazioni necessarie, in cambio della garanzia che i lavoratori che perderanno il posto saranno presi in carico da una agenzia capace di assicurare loro la continuità del reddito e di assisterli efficacemente nella riconversione a nuovi impieghi, di investire sul loro capitale umano per riconvertirli a nuove attività nelle quali il loro lavoro sia valorizzato come e anche meglio di prima.

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