LA STORIA DI NIMUEL

COME UN RAGAZZO FILIPPINO SI SALVA DALLA PRECARIETÀ E DALLE VESSAZIONI SUBITE IN ITALIA ATTINGENDO FORZA CONTRATTUALE DALLA POSSIBILITÀ DI SCEGLIERE NEL MERCATO DEL LAVORO E DI ALLARGARE IL PROPRIO RAGGIO DI MOBILITÀ

Racconto per la Nwsl n. 317, 25 ottobre 2014.

Nimuel Amihan ha vent’anni. Appartiene a una famiglia di filippini emigrati a Milano, qui ha studiato e ottenuto un diploma di cuoco e cameriere, qui ha trovato – con difficoltà – un lavoro in una piccola catena di pizzerie, prima come stagista, poi come apprendista, poi assunto a termine e a part-time ma lavorando in realtà a tempo pieno, per 600 euro al mese: lì dentro i soli che abbiano un contratto a tempo indeterminato lavorano nella pizzeria da più di dieci anni. Quando è venuto l’ispettore, lui non ha avuto il coraggio di denunciare il lavoro in nero; e quando è venuto un sindacalista per una assemblea del personale quello gli ha detto di rivolgersi a un avvocato. Un giorno una sorella maggiore lo chiama dall’Inghilterra e gli dice:
– “Vieni qui, in due settimane un lavoro lo trovi e ti pagano il doppio”.
Lui raggiunge la sorella, gira un po’ per le agenzie e in una decina di giorni ne trova una che lo invia per due mesi come lavoratore temporaneo in un ristorantino alla periferia di Londra; al termine dei due mesi la stessa agenzia lo avverte che c’è un altro ristorante dove cercano  un cameriere che parli anche l’italiano; e in quest’altro, effettivamente, passato il periodo di prova lo stipendio netto è più del doppio di quello che prendeva in Italia. Qualche tempo dopo, un fine settimana Nimuel torna a casa per vedere la sua ragazza e cercare di convincere anche lei a trasferirsi oltre Manica. Va a salutare gli ex-colleghi della pizzeria, dove incontra il principale e gli racconta che ha trovato un lavoro stabile per l’equivalente di 1300 euro al mese. A questo punto, colpo di scena:
– “Sei forte! – gli dice fresco fresco il principale – Se vuoi tornare, ho giusto bisogno di un cameriere che parli l’inglese; ti riprendo io con lo stesso stipendio netto.”
– “Ancora a termine?”
– “No, fisso.”
Nimuel pensa “veramente l’inglese lo parlo da quando ero nelle Filippine; non potevi pensarci prima?”. Ma si trattiene, perché, se la sua ragazza non intende venire con lui in Inghilterra, forse questa offerta gli conviene. Ora deve scegliere; ma, quale che sia la scelta, è lui ad avere il coltello dalla parte del manico.

La vicenda di Nimuel Amihan spiega meglio di qualsiasi trattato di diritto o economia del lavoro il significato della riforma a cui Parlamento e Governo stanno lavorando. Perché porta con sé una lezione fondamentale: non c’è legge o contratto collettivo, non c’è giudice, o ispettore, o sindacalista, che possano assicurare a una persona che vive del suo lavoro la libertà e la dignità che le è data dalla possibilità di andarsene sbattendo la porta dall’azienda dove è trattata male, perché sa dove trovarne un’altra dove la trattano meglio. I buoni servizi per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro nel mercato possono molto di più della Gazzetta Ufficiale.

P.s. Qualcuno obietta che in In Italia c’è molta meno domanda di manodopera che in Inghilterra. Questo è in parte vero per il Sud, ma non per il Centro-Nord. E comunque in Italia ci sono centinaia di migliaia di posti che restano permanentemente scoperti per mancanza dell’offerta di personale che abbia le qualifiche richieste e/o per mancanza di servizi che mettano in comunicazione le persone che hanno o potrebbero acquisire quelle qualifiche con chi ne ha bisogno. E, non dimentichiamo, in Italia si stipulano ogni anno 1,6 milioni di contratti regolari a tempo indeterminato e almeno altrettanti a termine di durata superiore a sei mesi, ai quali si accede soltanto sulla base di reti amicali, parentali o professionali: chi non ne dispone è tagliato fuori.

 

 

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