MAXI-JOBS: GOVERNO E RAGIONERIA CENTRALE DEVONO RACCOGLIERE QUESTA SFIDA

LA MANCATA ADOZIONE DEL METODO SPERIMENTALE A SOSTEGNO DELLE POLITICHE ECONOMICHE E DEL LAVORO CI PRECLUDE L’ADOZIONE DELLE MISURE PIÙ EFFICACI, COME QUELLA PROPOSTA NEL PROGETTO DI LUCA RICOLFI, PER USCIRE DALLA RECESSIONE – DIVERGENZE SULLA QUESTIONE DELL’APPRENDISTATO

Interventi su la Stampa del 10 ottobre 2014 del senatore Stefano Lepri (membro della Commissione Lavoro, Pd) e mio in riferimento al progetto presentato dal sociologo Luca Ricolfi sullo stesso quotidiano due giorni prima – Sull’importanza e la possibilità tecnica e giuridica dell’applicazione del metodo sperimentale in questo campo v. il mio editoriale del 10 marzo scorso Detassare le imprese o i lavoratori? L’importanza del metodo sperimentale; inoltre la mia relazione al convegno su La sperimentazione al servizio del diritto del lavoro, dove è affrontata, tra l’altro, la questione della legittimità costituzionale delle disparità di trattamento inevitabili nell’applicazione del metodo sperimentale – Per un esempio di applicazione possibile di questo metodo v. l’articolo 4 del d.d.l. 21 marzo 2013 n. 247 in materia di promozione dell’occupazione femminile
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IL MIO INTERVENTO
A  una sfida come questa, che Luca Ricolfi ha lanciato l’altro ieri, le Ragionerie centrali di Roma e di Bruxelles non possono limitarsi a opporre l’obiezione classica: “noi vogliamo coperture finanziarie effettive e non coperture presunte”. In realtà, anche le coperture oggi normalmente accettate sono frutto di previsioni, basate sul modo in cui le cose sono andate nell’ultimo anno; e in periodi di recessione anche queste sono previsioni molto fragili. Se vogliamo davvero migliorare l’attendibilità delle previsioni, occorre fare proprio quello su cui Ricolfi fonda il suo progetto: individuare con precisione il grado di elasticità della domanda di lavoro, cioè il suo variare in relazione all’incentivo economico. Oggi questo è tecnicamente possibile, con costi relativamente bassi. Perché non adottare nel campo delle politiche del lavoro lo stesso metodo sperimentale che è obbligatorio applicare prima della commercializzazione dei farmaci? Certo, la sperimentazione richiede tempo; ma, se non si incomincia, ci si condanna a legiferare sempre al buio, oppure sulla base di valutazioni statiche e quindi molto rozze, come quelle oggi praticate dalle Ragionerie centrali, che per la loro miopia precludono l’adozione delle misure più efficaci – come questa di cui stiamo discutendo – per uscire dalla recessione.

C’è poi l’obiezione [v. l’intervento di Stefano Lepri qui sotto – n.d.r.] secondo cui il lavoro a basso costo c’è già, sotto forma di apprendistato: un rapporto per il quale è già previsto un fortissimo sgravio contributivo. Il punto è che l’apprendistato è tuttora gravato da tre remore: una notevole complicazione burocratica iniziale, per la definizione dei suoi contenuti formativi; le complicazioni organizzative connesse con l’adempimento dell’obbligo formativo stesso; il rischio della contestazione finale circa la corrispondenza del contenuto formativo effettivo rispetto al programma iniziale, con possibili conseguenze molto costose per l’azienda. Cui si aggiunge il vincolo dell’età dell’apprendista inferiore ai 30 anni.

 

L’INTERVENTO DI STEFANO LEPRI

Ieri Luca Ricolfi ha rilanciato una sua interessante proposta di nuovo contratto di lavoro, chiamato Job Italia, non prima di aver criticato il Presidente del Consiglio, accusato di incoerenza sui tagli alla spesa pubblica. Vorrei far osservare che Renzi ovunque parla di “una manovra da venti miliardi” e non di tagli da venti miliardi. Il dato citato da Ricolfi è poi errato: occorre considerare la tabella del quadro economico programmatico che tiene conto dei presumibili tagli in legge di stabilità (tagli previsti tra 8 e 9 miliardi), non quella del tendenziale (4 miliardi).

Quando alla proposta del Job Italia, è utile confrontarla con l’apprendistato, recentemente riformato. Da una delle tabelle pubblicate (dove si compara lo stipendio netto annuale a fronte di un costo aziendale di 12.500 euro) si evince già una modesta differenza: diecimila euro contro gli oltre novemila dell’apprendistato. Ma i dati cambiano se l’apprendista è assunto nelle imprese fino a nove dipendenti, perché in questo caso è previsto uno sgravio totale dei contributi INPS per i primi tre anni: all’apprendista (pagando la sua quota di contributi, IRPEF e INAIL) restano oltre dieci dei dodicimilacinquecento euro.

Quindi, il contratto Job Italia lascerebbe al massimo mille euro in più all’anno, e solo nelle aziende medio grandi. Ma con una differenza enorme: l’imprenditore è tenuto a formare l’apprendista.

La proposta Ricolfi merita comunque di essere approfondita, anche perché si rivolge a una platea più ampia e perché ha trovato grande apprezzamento tra le aziende. Ma va detto che l’apprendistato, dopo le modifiche apportate recentemente con il decreto Poletti, può svolgere egregiamente l’obiettivo indicato: ridurre drasticamente il costo indiretto del lavoro nei primi anni e quindi favorire la nuova occupazione. Con qualche giusto obbligo in più, però, per gli imprenditori.

 

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