INCOMINCIATO L’ESAME IN AULA DEL JOBS ACT DA PARTE DEL SENATO

IL DISEGNO DI LEGGE-DELEGA SI PROPONE DI ATTUARE PROPRIO QUEI PRINCIPI DELLA COSTRUZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ E DEL DIRITTO EFFETTIVO AL LAVORO, CHE NELLA SITUAZIONE ATTUALE SONO GRAVEMENTE INATTUATI

Relazione del sen. Maurizio Sacconi sul disegno di legge-delega sul lavoro n. 1428/2014 e mio intervento sulle pregiudiziali di incostituzionalità, dal resoconto stenografico della seduta pomeridiana del Senato del 24 settembre 2014 – Sono on line anche il testo trasmesso all’Aula dalla Commissione e il diario dei lavori della Commissione Lavoro  sullo stesso disegno di legge

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LA RELAZIONE

[…]

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge nn. 1428, 24, 103, 165, 180, 183, 199, 203, 219, 263, 349, 482, 500, 555, 571, 625, 716, 727, 893, 936, 1100, 1152, 1221, 1279, 1312 e 1409.

Il relatore, senatore Sacconi, ha chiesto l’autorizzazione a svolgere la relazione orale. Non facendosi osservazioni la richiesta si intende accolta.

Pertanto, ha facoltà di parlare il relatore.

SACCONI, relatore. Signora Presidente, signor Ministro, onorevoli colleghe e colleghi, nonostante o proprio in ragione della mia non breve esperienza parlamentare largamente concentrata sui temi riconducibili alla vita attiva della persona, mi accingo a svolgere la relazione al disegno di legge-delega di riforma del mercato del lavoro con la sincera emozione di chi auspica si concluda con questo atto un faticoso e contraddittorio percorso, avviato nel 1997 con la prima legge consigliata da Marco Biagi e più conosciuta come legge Treu. Iniziava allora, contestualmente ad analoghe iniziative in molti Paesi europei sollecitate dalla stessa Commissione, un processo di rinnovamento dei mercati del lavoro nel segno della combinazione tra le esigenze di flessibilità organizzativa delle imprese e quelle di migliore sicurezza delle persone rispetto alla continua occupazione e al reddito da lavoro nel contesto della globalizzazione delle economie.

Questa prima legge ebbe il merito di aprire una strada, di spezzare alcuni pregiudizi ideologici come quello del monopolio del collocamento pubblico, di consentire anche in Italia in particolare l’impiego del lavoro interinale anche se, a mio avviso, il trasferimento dei centri per l’impiego dallo Stato alle Province non si rivelò una soluzione felice e ha reso difficile fino ad oggi ogni loro effettiva rivalutazione.

Pochi anni dopo, nel 2001, Marco Biagi coordinò con me la redazione di un Libro bianco che descriveva le fragilità di un mercato del lavoro opaco e poco inclusivo, nel quale da un lato le imprese avevano persistentemente, anche in tempi di crescita tumultuosa, contenuto il livello della forza lavoro e la propria stessa dimensione mentre, dall’altro, le persone risultavano lasciate a se stesse nella ricerca di un’occupazione con forti divari di genere, di età e di territorio.

Egli indicava in conseguenza la soluzione, per un verso, nelle flessibilità regolatorie – in entrata e in uscita – del singolo rapporto di lavoro e, per l’altro, in una forte azione pubblica di orientamento, di agevole incontro tra domanda e offerta di lavoro, di investimento nelle competenze.

Se una cifra prevalente nella lezione di Marco Biagi mi permetto di individuare, questa si trova nell’importazione del concetto di occupabilità ovvero della continua autosufficienza della persona nel mercato del lavoro. Ciò implica il passaggio dalle tutele rigide e passive ad una sorta di post-moderno articolo 18, consistente nel diritto del lavoratore di accedere alle conoscenze e alle competenze che egli liberamente, anche se utilmente consigliato, ritiene corrispondenti alle sue vocazioni e alle possibilità di occupazione.

Non a caso la cosiddetta “legge Biagi” viene concepita in parallelo ad un’impegnativa riforma del sistema educativo che per prima introduceva la possibilità di opzioni di tipo duale in quanto integranti l’apprendimento teorico con i saperi pratici.

Il ridisegno dei contratti di apprendistato fu realizzato in conseguenza, così come si pensò di spezzare l’autoreferenzialità di molte istituzioni educative attraverso l’introduzione nelle università e nelle scuole superiori di uffici di placement, ovvero di orientamento e di collocamento fino alla co-progettazione con le imprese di specifici percorsi di apprendimento.

Iniziava in quel tempo, peraltro, anche il processo di connessione in rete dei servizi pubblici e privati di accompagnamento al lavoro anche se si presentarono presto gli ostacoli determinati dalla frammentazione istituzionale delle competenze – Province e Regioni – e dalle resistenze a rendere interoperabili i sistemi informativi. Negli anni successivi, Governi sostenuti da opposti schieramenti si pongono di fatto in continuità con le leggi Treu e Biagi, continuando ad operare per una più efficiente organizzazione del mercato del lavoro e delle politiche attive, sempre oggettivamente ostacolata dalla frammentazione istituzionale e per garantire una pluralità di canali d’accesso a partire da una giusta enfasi sul contratto di apprendistato. A quest’ultima, tuttavia, non è mai corrisposta un’altrettanto efficace disponibilità delle Regioni, ove più, ove meno, a semplificare modalità e controlli dell’attività formativa.

Particolare rilievo assume nel contempo l’attitudine dei datori di lavoro e delle rappresentanze sindacali a dialogare nella dimensione aziendale, a condividere obiettivi, salario aggiuntivo ad essi correlato, servizi di protezione sociale integrativi. Non a caso una norma di legge dà forza alla contrattazione aziendale o territoriale, consentendo ad essa anche l’adattamento di discipline disposte dalle leggi o dai contratti nazionali.

Questo percorso si interrompe con la legge n. 92 del 28 giugno 2012 che irrigidisce le modalità d’ingresso nel mercato nel lavoro elevando a norma i criteri di vigilanza, senza dare certezza, al contempo, dei modi di risolvere i rapporti di lavoro, rimessi alla discrezionalità di una giustizia che, come ha osservato il presidente del Consiglio Renzi, si rivela imprevedibile negli esiti e fortemente differenziata nei territori.

Nel tempo della grande crisi si irrobustiscono straordinariamente le forme di sostegno al reddito ma non migliorano le politiche attive di accompagnamento ad un lavoro anche se certamente non tutte le Regioni sono uguali.

Crescono fortunatamente servizi privati, ma anche privato-sociali, mentre rimangono segmentati e poco attivi i centri pubblici. Per non parlare della formazione, che appare diffusamente viziata dalla prevalenza dell’offerta sulla domanda, in quanto il finanziamento regionale e comunitario alimenta la sopravvivenza degli operatori invece di determinare virtuosi percorsi di concorrenza nella soddisfazione dei bisogni dei lavoratori.

A questo punto potremmo dire che il presente disegno di legge di delega vuol fare tesoro dell’esperienza di questi anni, delle intuizioni e delle azioni rivelatesi positive, come delle asimmetrie e delle contraddizioni che si sono prodotte, per portare ora a compimento ciò che non si è definito con l’equilibrio necessario. Mi riferisco ancora a quella doverosa combinazione di flessibilità e sicurezza, tra legittima adattabilità dell’impresa alle pressioni competitive e ai cambiamenti tecnologici da un lato e il dovere pubblico di non lasciare mai solo chi cerca un lavoro, incoraggiandolo ad essere parte attiva sulla base dell’offerta di insistite opportunità, dall’altro.

Per questa ragione il disegno di legge è ambizioso ed opera su uno spettro ampio che comprende la tendenziale universalizzazione dei cosiddetti ammortizzatori sociali su base assicurativa, una virtuale infrastrutturazione del mercato del lavoro attraverso gli strumenti della rete oltre a quella fisica, con l’Agenzia nazionale, l’affermazione della centralità della persona mediante il fascicolo elettronico e la sua libera scelta dei servizi che il pubblico poi sostiene a risultato, l’affermazione della rilevanza della famiglia e della maternità, con le conseguenti esigenze di conciliazione tra tempi di vita, la riforma di tutto lo Statuto dei lavoratori, tranne la parte dedicata ai diritti sindacali, la semplificazione della gestione dei rapporti di lavoro, l’ulteriore razionalizzazione delle attività di controllo ispettivo.

Altro che «solo» articolo 18, sul quale ancora una volta tanta attenzione si concentra! Con questo atto possiamo rinnovare tutto e sarebbe invece paradossale se fosse tutto, tranne l’articolo 18.

La Commissione ha svolto un lavoro intensivo pur nei limiti di deleghe che siamo chiamati ad esaminare solo in termini di principi e di criteri di attuazione che hanno quindi impedito la valutazione di misure dettagliate. Avverto il dovere ora di rinnovare all’Assemblea l’invito ad un confronto sincero e utile, nella misura in cui si colloca nella logica delle deleghe. Dobbiamo ricordare a noi stessi che avremo modo di apprezzare i decreti delegati tanto per il profilo di merito quanto per quello della necessaria copertura finanziaria, quando – mi auguro subito dopo la legge delega -saranno consegnati al Parlamento. Non si sottovalutino in questo contesto anche gli ordini del giorno, perché ove accolti dal Governo, concorrono ad impegnarne i modi di esercizio della decretazione delegata.

Vorrei dire all’Assemblea che nella Commissione, peraltro, l’accoglimento di significativi emendamenti dell’opposizione, oltre che della maggioranza, ha consentito almeno così mi è parso, un clima di condivisione degli obiettivi, con la sola eccezione della riforma dello Statuto dei lavoratori. Eppure, tutto si tiene.

Comprensibilmente, da parte di molti, si è lungamente invocata la contestualità delle azioni dedicate ad organizzare un mercato del lavoro più inclusivo e più protettivo nelle cosiddette “fasi di transizione”, con l’adeguamento delle regole inerenti il singolo rapporto di lavoro. Ora questa possibilità è di fronte a noi. La tendenziale universalizzazione degli ammortizzatori sociali viene qui declinata anche in favore delle collaborazioni, senza per questo disancorarla dalla responsabilità delle persone. La logica rimane infatti assicurativa, come è giusto che sia, e i sussidi sono condizionati all’accettazione delle opportunità lavorative o formative offerte. Certo, non viene qui compiuta la scelta di un reddito garantito, tutto a carico del bilancio dello Stato e tale da prescindere dalla responsabilità della persona. Sarebbe a mio avviso una trappola della povertà mentre la prima risposta all’indigenza deve rimanere il lavoro.

In altra sede il Governo si è impegnato all’ulteriore potenziamento degli strumenti di prevenzione e di contrasto della povertà che devono agire in termini di ultima istanza e di prossimità.

Davvero rilevanti sono diventati gli strumenti individuati anche nel lavoro di Commissione per rendere il mercato del lavoro efficiente e trasparente. La infelice segmentazione su base regionale e provinciale delle competenze dovrebbe trovare finalmente soluzione attraverso l’istituzione dell’agenzia nazionale per l’occupazione e l’integrazione dei sistemi informativi, alla cui base – lo ribadisco – dovrebbe collocarsi un fascicolo elettronico comprensivo di tutti gli elementi riferibili alla vita attiva della persona, dai percorsi educativi e formativi, a quelli lavorativi, alle transizioni e ai relativi sussidi, fino al conto corrente previdenziale. Di rilievo è anche la ribadita volontà di favorire il conferimento al sistema nazionale per l’impiego delle informazioni relative ai posti di lavoro vacanti.

È stata resa ancor più esplicita la scelta della collaborazione-competizione tra servizi pubblici e privati nella gestione delle politiche attive quale può essere sollecitata dalla scelta di dotare il disoccupato, attraverso un contratto di ricollocazione, di un voucher spendibile presso un ente da lui stesso liberamente individuato e poi remunerato solo a risultato. A questo proposito, devo richiamare il Governo a varare tempestivamente il regolamento cui fa rinvio la norma di legge che già ha introdotto l’istituto del contratto di ricollocazione.

Non a caso poi, in questo ambito delle politiche attive, la Commissione ha voluto indicare l’obiettivo di valorizzare le esperienze bilaterali ovvero quelle forme di collaborazione tra rappresentanze dei lavoratori e degli imprenditori che possono concorrere ad ampliare la diffusione, ancora largamente insufficiente, dei servizi al lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno e in quei segmenti del mercato del lavoro più esposti alle patologie, come l’agricoltura ed il turismo.

Con la delega di cui all’articolo 3, si vogliono poi semplificare procedure e adempimenti relativi alla gestione dei rapporti di lavoro e a tutta la complessa materia dell’igiene e della sicurezza nel lavoro, con un obiettivo dichiarato dalla proposta di Governo già addirittura di dimezzamento degli atti.

In questo ambito si collocano le modalità più semplici di prevenzione delle cosiddette «dimissioni in bianco» affinché assicurino la certezza della cessazione del rapporto quando il lavoratore ha comportamenti in questo senso concludenti.

La Commissione ha qui riaffermato un principio rilevante: quello del divieto per le Pubbliche amministrazioni di richiedere dati dei quali esse sono già in possesso. Lo stesso regime sanzionatorio dovrebbe risultare semplificato con particolare riguardo alle violazioni formali e agli istituti di tipo premiale.

Alla luce degli obiettivi già declinati si spiega a questo punto la volontà, di cui al nuovo articolo 4, di produrre un Testo unico semplificato delle tipologie contrattuali e del contenuto dei rapporti di lavoro con stretta aderenza al diritto comunitario affinché ci si possa avvicinare ad un mercato del lavoro europeo e non si producano effetti di spiazzamento del nostro Paese nei confronti di altri territori dell’Unione.

Il Governo è delegato ad analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, valutandone la coerenza con la qualità dell’occupazione e le esigenze della produzione.

Ricordo che i modelli contrattuali sono essenzialmente quello a tempo determinato, quello a tempo indeterminato, quelli a tempo modulato, l’apprendistato, il lavoro accessorio e le collaborazioni coordinate e continuative o a progetto. Parliamo quindi di cinque o sei modelli contrattuali e poi ci sono milioni di contratti di lavoro perché in ciascuno di essi si può rinvenire uno specifico elemento distintivo.

È bene ricordare e ricordarci che le collaborazioni coordinate e continuative o a progetto nascono e si sviluppano smodatamente nella seconda metà degli anni Novanta sulla base di una semplice circolare fiscale e Biagi, su esplicita richiesta di una parte del sindacato, non farà altro che darvi regole e tutele divenendone, paradossalmente, secondo certo immaginario disinformato, il padre fondatore. E della cosa, devo dirvi, soffriva.

L’iniziale vantaggio della minore contribuzione sta oltretutto venendo meno, per cui a questo punto vale la pena riflettere in particolare sulla persistente utilità delle stesse collaborazioni.

Anche le modalità contrattuali possono in ogni modo concorrere – com’è accaduto, ricordiamocelo – all’emersione del lavoro irregolare. Non a caso, il Governo ha chiesto una delega rivolta a diffondere maggiormente il lavoro accessorio regolabile con buoni prepagati, in modo da intercettare quella grande quantità di spezzoni lavorativi che ancora rimangono sommersi. I cosiddetti voucher sono stati significativamente utilizzati in agricoltura, ma ben poco al di fuori dell’agricoltura; quasi esclusivamente nella parte settentrionale del Paese, ma, sotto la linea Gotica, sfumano e scompaiono rapidamente. Preoccupiamoci quindi non di quelli che ci sono, ma dei molti che non ci sono.

Il cuore del testo unico rimane inevitabilmente la riforma del contratto a tempo indeterminato, perché credo tutti lo vogliamo quanto più utilizzato, non solo – si badi bene – in percentuale su un basso numero di occupati, com’è oggi, ma soprattutto in valori assoluti. I datori di lavoro invocano norme semplici e certe nell’epoca della massima incertezza. Lo statuto fu invece redatto nel 1970 – come ricordo bene – sulla base di atti e contratti degli anni ’50 e ’60, nel tempo in cui si presumeva uno sviluppo irreversibile e sostanzialmente continuo, secondo modalità produttive tendenzialmente seriali. Questa esigenza delle imprese in termini di semplicità e certezza si deve ora conciliare con il diritto del lavoratore, nel caso di licenziamento ingiustificato, ma non discriminatorio (nel qual caso sarebbe nullo, come cioè non vi fosse proprio stato), alla tutela rappresentata da sanzioni adeguate. Quindi il diritto è alla sanzione, non la sanzione o, meglio, una specifica sanzione; occorre una sanzione. Già oggi, nel nostro ordinamento, questa tutela (la sanzione) è variamente definita e modulata. Il diritto è universale, la sanzione è modulata e modulabile.

Il criterio delle tutele crescenti corrisponde, nel contratto a tempo indeterminato, ad un’idea di protezione omogenea, ma che si incrementa nel tempo per dare valore all’anzianità di servizio. Insisto: parliamo del contratto a tempo indeterminato, che, a differenza dei contratti di inserimento (come tipicamente l’apprendistato), non è segmentabile in due fasi, una con minori tutele e salario, perché caratterizzata da graduale ingresso nella compiuta capacità produttiva e nell’ambiente di lavoro (fase caratterizzata da apprendimento, da inserimento, da integrazione), l’altra, la seconda fase, a regime. Qui no. Come dicevo, nel contratto a tempo indeterminato il rapporto di lavoro ha una caratteristica continua, e in essa rileva e non può che rilevare l’anzianità di servizio.

I criteri di delega relativi poi agli articoli 4 e 13 dello Statuto dei lavoratori vogliono più generalmente rendere la regolazione delle mansioni e delle tecnologie di controllo più coerenti con i nuovi processi di produzione.

Non si tratta tanto di incoraggiare il cosiddetto demansionamento quanto piuttosto di consentire mansioni flessibili in relazione ai nuovi modi di lavorare che richiedono comportamenti più duttili, più autonomi, più responsabili. Allo stesso modo, la doverosa tutela della dignità del lavoratore dal controllo a distanza non deve diventare motivo di inibizione per il migliore impiego delle nuove tecnologie, incluse le opportunità di telelavoro fin qui trascurate.

Il nuovo testo unico dovrà in ogni caso porsi in coerenza con la vigente legislazione che riconosce all’imprenditore e alle rappresentanze dei lavoratori, come abbiamo già ricordato, la capacità – entro i principi dell’ordinamento – di adattare la regolazione alle concrete circostanze di tempo, di luogo, di merceologia dell’impresa, attraverso accordi sottoscritti nei termini di cui alle intese interconfederali. Semplicità, certezza, sussidiarietà possono essere quindi considerate le linee metodologiche di redazione del testo organico citato dall’articolo 4.

Non meno rilevanti sono infine – ultimi ma non ultimi – i contenuti di delega di cui all’articolo 5, perché intendono sostenere la famiglia e la maternità attraverso l’estensione delle prestazioni sociali a tutte le lavoratrici madri, l’introduzione del tax credit per le donne lavoratrici con figli minori o disabili, la flessibilità dell’orario lavorativo, il dono solidale di una parte del periodo feriale, la diffusione dei servizi di cura e i congedi parentali.

Concludendo, vorrei ringraziare tutte le commissarie e i commissari. Come ho detto, con l’eccezione dell’articolo 4, la collaborazione è stata intensa e intensiva, perché si è svolta in un ristretto tempo, ma ha consentito, a mio avviso, di migliorare il testo raccogliendo per molta parte emendamenti anche dell’opposizione, che ha concorso non poco a definire meglio i modi con cui organizzare soprattutto la dimensione virtuale del mercato del lavoro, che è quella tuttavia attraverso la quale noi contiamo di far incontrare agevolmente domanda e offerta di lavoro.

Devo ringraziare gli Uffici e la loro pazienza e devo confermare la loro assoluta professionalità e dedizione, e non lo faccio retoricamente. Voglio ringraziare la collega Bellanova, sottosegretario al lavoro, che ha con attenzione partecipato a tutti i lavori concorrendovi con intelligente apporto.

Il mio auspicio conclusivo è che i tempi di esame da parte di questa Assemblea possano essere quanto più tempestivi, e così coerenti con il tempo straordinario che viviamo. Un tempo nel quale a problemi straordinariamente nuovi possono legittimamente corrispondere un rinnovamento delle tradizionali culture politiche e il pragmatico incontro tra riformismi che pure discendono da diverse matrici. Fatelo dire a un vecchio socialista come me. Per dirla con Tony Blair: «Values don’t change. But times do!». I valori non cambiano, ma i tempi sì! (Applausi dai Gruppi NCD, PD, PI e SCpI).

PRESIDENTE. Comunico che sono state presentate due questioni pregiudiziali.

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IL MIO INTERVENTO: IL DISEGNO DI LEGGE-DELEGA SI PROPONE DI ATTUARE PROPRIO QUEI PRINCIPI DELLA COSTRUZIONE DELLE PARI OPPORTUNITÀ E DEL DIRITTO EFFETTIVO AL LAVORO, CHE NELLA SITUAZIONE ATTUALE SONO GRAVEMENTE INATTUATI

ICHINO (SCpI). Domando di parlare. (Commenti di dissenso). Perché non dovrei parlare?

PRESIDENTE. Senatore Ichino, come lei sa, l’Aula viene presieduta dal Presidente di turno. Ne ha facoltà.

ICHINO (SCpI). Chiedevo solo un chiarimento ai colleghi un po’ troppo ansiosi di andare a cenare. Signora Presidente, intervengo sulle questioni pregiudiziali per osservare molto brevemente che se fosse contrario alla Costituzione istituire una forma di assicurazione contro la disoccupazione davvero universale, che supera differenze gravi di trattamento tra categorie di lavoratori; se fosse contrario alla Costituzione ricondurre la cassa integrazione guadagni alla sua funzione essenziale e originaria, ossia quella di sostegno del reddito dei lavoratori nelle crisi temporanee di impresa, impedendo che essa venga usata per nascondere le situazioni di reale disoccupazione, impedendo che le crisi occupazionali aziendali vengano affrontate col mettere i lavoratori in freezer per anni e anni, come è stato purtroppo il modo in cui abbiamo affrontato le crisi occupazionali nei decenni passati; se fosse realmente contrario alla Costituzione superare una forma di protezione della sicurezza economica e professionale dei lavoratori costruita interamente sull’ingessatura del loro rapporto di lavoro, ma di fatto applicata a meno di metà dei lavoratori stessi, e sostituirla con una forma di protezione che costruisce la sicurezza economica e professionale dei lavoratori garantendo loro l’effettiva possibilità di trovare un nuovo lavoro quando perdono il vecchio, e far questo assicurando ai lavoratori la possibilità di scegliere il meglio dei servizi nel mercato del lavoro che si offrono oggi, cioè di scegliere l’agenzia specializzata che preferiscono pagandola con un voucher pubblico che rende contendibile la funzione, e che essendo pagabile solo a risultato ottenuto determina un’automatica riqualificazione della spesa pubblica in questo campo; se davvero tutto questo fosse contrario agli articoli 3 e 4 della Costituzione, queste norme della Costituzione andrebbero evidentemente cambiate.

Noi siamo però convinti che tutto questo è molto più conforme proprio a quei principi costituzionali che avete richiamato, di quanto lo sia l’assetto attuale del nostro ordinamento del mercato del lavoro. (Applausi e commenti ironici dal Gruppo LN-Aut). Sì, è più conforme all’articolo 3 sull’eguaglianza, all’articolo 4 sul diritto al lavoro. È molto più conforme a questi principi delegare al Governo l’emanazione di questo nuovo sistema di protezione e l’adozione di questa nuova tecnica di protezione dei lavoratori, che non conservare il regime che abbiamo fin qui seguito.

D’altra parte, proprio l’organicità e nettezza di questa svolta che vogliamo imprimere al nostro ordinamento è tale, che la critica di insufficiente precisione della delega appare con tutta evidenza infondata.

Per queste ragioni Scelta Civica, ma credo anche la maggioranza di quest’Aula, respingerà con molta convinzione le pregiudiziali qui in esame. (Applausi dal Gruppo PD e del senatore Maran).

 

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