STAMPA: IL “LODO RENZI” SULLA QUESTIONE DEI LICENZIAMENTI

“PROTEZIONE CRESCENTE CON L’ANZIANITÀ” IMPLICA UNA MODULAZIONE GRADUALE, CHE SEMBRA POSSIBILE SOLTANTO SUL PIANO INDENNITARIO E NELL’ASSISTENZA SUCCESSIVA AL LICENZIAMENTO –  LA NUOVA DISCIPLINA SI APPLICHERÀ SOLTANTO AI NUOVI RAPPORTI

Intervista a cura di Emilia Patta, pubblicata su La Stampa il 18 settembre 2014

«È stata una lunghissima battaglia. Ma il tempo è stato galantuomo. Il problema è che il nostro Paese non può più permettersi tempi di discussione e digestione così lunghi: il ritardo che abbiamo accumulato rispetto a Gran Bretagna e Germania ci ha nuociuto moltissimo». Sono passati quasi vent’anni dalla pubblicazione del libro di Pietro Ichino Il lavoro e il mercato in cui si indicava la strada della flexsecurity per superare il dualismo tra lavoratori garantiti e senza garanzie. Nel giorno della presentazione dell’emendamento del governo che sostituisce l’articolo 18 con una forma nuova di protezione, uguale per tutti i nuovi rapporti di lavoro, il senatore Ichino non può che dirsi soddisfatto. Nel 2012 lasciò il Pd di Bersani per Scelta civica proprio per poter continuare più efficacemente la sua battaglia. «D’altra parte – ragiona Ichino – se alle elezioni del febbraio 2013 non ci fosse stata Scelta civica oggi non ci sarebbe il governo Renzi, ma un governo Bersani-Vendola, o un governo Berlusconi».

Senatore Ichino, ma non è che l’articolo 18 rientra dalla finestra con la formula ambigua delle «tutele crescenti»?
È vero che questa delega lascia un notevole margine di discrezionalità al Governo nella riscrittura semplificata della legislazione del lavoro. Ma sulla materia politicamente più sensibile, cioè quella della disciplina dei licenziamenti, il principio enunciato è molto preciso: la tutela dovrà crescere in proporzione all’anzianità di servizio. Questo significa, innanzitutto, che deve essere adottata una tecnica di protezione suscettibile di modulazione, di progressività nel tempo; e già questo significa in modo inequivoco che la sanzione della reintegrazione deve essere riservata ai soli casi estremi, quelli del motivo illecito determinante, come la discriminazione o la rappresaglia sindacale.

Ed è escluso che un lavoratore possa “portarsi dietro” il vecchio regime di protezione in una nuova azienda?
Non del tutto: nel caso di cessione di azienda o ramo di azienda, per esempio, i contratti proseguono con l’acquirente senza soluzione di continuità. Ma può darsi anche il caso di cessione del contratto di lavoro, con il consenso del lavoratore, da un imprenditore a un altro: anche in questo caso la disciplina applicabile resta quella vecchia.

In che cosa può consistere, dunque, la protezione “modulabile”?
Sul versante dell’impresa, essenzialmente in un “costo di separazione”, allineato rispetto agli standard europei, che costituisce di per sé una sorta di “filtro automatico” delle scelte imprenditoriali. Una prima componente basilare di questo severance cost sarà costituita dall’indennità di licenziamento, direttamente proporzionata all’anzianità di servizio. A questa si può pensare di aggiungere, per i lavoratori che abbiano superato una determinata anzianità, un trattamento complementare di disoccupazione, che porti la copertura dell’ASpI dal 75% al 90% per un numero di mesi via via crescente in relazione all’anzianità. Il relativo onere per l’impresa dovrebbe sostituire il contributo che oggi essa paga all’Inps in misura fissa, al momento dell’attivazione della procedura di mobilità; in questo modo l’impresa stessa avrebbe un incentivo a cooperare alla ricollocazione dell’ex-dipendente, perché più presto essa avviene, meno costa questo trattamento complementare. La protezione del lavoratore può essere “crescente” anche sul versante dei servizi per l’impiego, con l’attivazione, per mezzo dei “contratti di ricollocazione” (articolo 2), di una assistenza modulata in relazione ai diversi casi.

Visto che l’articolo 18 resta così com’è per i lavoratori che oggi già ne usufruiscono, può esserci un problema di costituzionalità nella differenza di trattamento fra vecchi e nuovi?
Direi proprio di no: la Corte costituzionale ha sempre ribadito che una differenza di trattamento legislativo può ragionevolmente basarsi sul criterio del tempo di costituzione di un rapporto, come è accaduto per esempio con la riforma pensionistica del 1995. Altrimenti, sarebbe molto difficile fare molte riforme importanti. D’altra parte, vecchia e nuova disciplina sono difficilmente comparabili tra loro; e per chi cerca lavoro, oggi, la nuova offre possibilità di assunzione a tempo indeterminato molto maggiori che la vecchia.

Che cosa manca in questo disegno di legge?
Manca una norma leggera sui rapporti sindacali, che completi l’opera avviata con gli accordi interconfederali del 2011 e del 2013 per lo spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro. Inoltre non ho capito perché si sia preferito non inserire in questa legge-delega anche la delega per l’agevolazione delle forme di partecipazione dei lavoratori – agli utili, al capitale, ai consigli di sorveglianza nelle imprese a governance duale – che la Commissione Lavoro ha già compiutamente messo a punto ed è matura per il varo.
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