LASCIAMOCI AIUTARE DA BRUXELLES A FARE UNA BUONA RIFORMA DEL MERCATO DEL LAVORO E DELLA TASSAZIONE SU IMPRESE E LAVORO: NON C’È NIENTE DI MALE IN QUESTO E NE TRARREMO MAGGIORE POTERE NEGOZIALE
Editoriale di Franco Bruni pubblicato sulla Stampa il 13 settembre 2014.
Le riunioni di Milano dell’Eurogruppo e dell’Ecofin precedono un autunno importante e delicato per l’Italia e l’Europa, fra le quali la relazione dev’essere corretta e proficua.
Finora l’atteggiamento di Renzi con l’Ue ha avuto aspetti condivisibili. È giusto sottolineare che abbiamo disciplinato più di altri il nostro disavanzo pubblico. E’ giusto chiedere che la ripresa sia stimolata da grandi iniziative europee, compreso il finanziamento comunitario di ingenti investimenti. È corretto affermare che i provvedimenti necessari all’Italia ci sono noti, che non ci servono romanzine dall’Ue, che dell’Europa non siamo sudditi ma protagonisti. Ricordo quando il premier, nell’insistere con successo sulla nomina del ministro Mogherini alla guida della politica estera europea, giunse a dire che se i membri della Commissione che si occupano di economia non solo italiani, non c’è problema, visto che esprimono strategie fatte col contributo determinante dell’Italia.
È poi sacrosanto lo sforzo di Renzi perché l’Italia si concentri sulle riforme strutturali. È benemerita la sua infaticabile propaganda perché il Paese si convinca che la chiave della ripresa è il cambiamento del modo con cui l’Italia funziona. Questo aspetto della sua retorica è coerente col mutare dell’enfasi dell’Ue, che insiste sulle riforme e non più solo sul rigore di bilancio. Un’enfasi che è arrivata a rivendicare all’Ue un ruolo di “regista” delle riforme strutturali nazionali. Il primo a parlare di una messa in comune della sovranità sulle riforme è stato Draghi. L’idea è stata ripresa ieri nei vertici di Milano anche perché è da tempo implicita nell’obbligo di condividere annualmente i piani nazionali di riforma, obbligo finora preso poco sul serio dai Paesi membri.
Ma proprio sul fronte delle riforme, centrale sia per l’Ue che per l’Italia, si nota, anche in questi giorni, una brutta sbavatura nell’atteggiamento di Renzi, quando dice che l’Ue non deve occuparsi delle nostre riforme. “Dall’Ue non ci aspettiamo lezioni ma 300 miliardi di investimenti”: è una frase che insegue il consenso di qualche elettore ma la cui arroganza non paga ed è in contraddizione con la visione dell’Europa che lo stesso Renzi ha spiegato agli italiani. Anche se sappiamo il da farsi, l’Europa può aiutarci, stimolarci a farlo. Non deve rimbrottarci, visto che di riforme hanno urgenza tutti i Paesi membri e le istituzioni europee nel loro insieme. Ma Bruxelles può essere la sede dove i progetti di riforma, che a livello nazionale incontrano gravi difficoltà politiche, prendono forza comunitaria, vengono resi compatibili, aiutati con finanziamenti, stimolati e controllati nella loro implementazione. E Renzi può dire, coerentemente col suo messaggio che “l’Europa siamo noi”, non solo di sapere che riforme fare in Italia, ma anche di avere voce in capitolo nelle riforme francesi e tedesche.
Fra i molti ottimismi di Renzi, quello meno convincente è l’idea che il consenso per le riforme è alle porte, che la maggioranza c’è. In realtà si vedono all’opera, con qualche successo, tutti i possibili tipi di ostacolo alle riforme: da quelli chiari e legittimi dell’opposizione parlamentare, a quelli subdoli delle corporazioni, delle lobby private e delle burocrazie pubbliche, a quelli opachi e spesso qualitativamente squallidi di quei membri del partito del Presidente che cercano ogni appiglio per rimanere in luce, anche se non lo meritano. Renzi ha ancora un consenso forte nell’elettorato, presumibile dai risultati delle europee e dalle indagini di opinione, ma non ha una maggioranza parlamentare adeguata, per ampiezza e compattezza, ad affrontare con serenità e speditezza le riforme rivoluzionarie che ha annunciato. Perciò gli conviene evitare il disprezzo per la cosiddetta “disciplina esterna”, che tante volte negli scorsi decenni ha aiutato l’Italia a migliorare il suo cammino economico. Il premier ha già spiegato agli italiani che la voce dell’Ue non è solo quella dei tagli sanguinosi ai deficit. Perché allora si trincera proprio dietro il rispetto del 3% e non vuole dialogare sulle riforme? l’Ue può anche essere la sede dove chiarire meglio i tempi e i modi delle riforme della pubblica amministrazione, del mercato del lavoro, della struttura della tassazione, può essere la leva con cui far diventare questi disegni realtà, proprio perché in Europa ciascun Paese beneficia delle buone riforme fatte dagli altri, che esso stesso può contribuire a decidere.
Non se la prenda il premier se l’Ue gli chiederà un’accelerazione nel calendarizzare e precisare le sue riforme. È un aiuto prezioso che gli viene offerto per superare gli ostacoli che trova sulla sua strada. Sappia accoglierlo e sfruttarlo con l’abilità politica che lo distingue. Ieri l’Eurogruppo ha designato come priorità dei Paesi membri la riduzione delle tassazioni sul lavoro. Il suo comunicato afferma che gli effetti della riduzione crescono se essa è “parte di una più ampia riforma del mercato del lavoro”. Lasciamoci subito aiutare dall’Europa a fare la riforma del lavoro. Oggi è quella che è più urgente e possibile accelerare, fino a farla decollare credibilmente prima del Consiglio Europeo di ottobre.
La legge delega va ben precisata. Occorre esser sicuri di ottenere la semplificazione del codice, il decentramento della contrattazione, il cambiamento radicale delle politiche di assistenza alla disoccupazione, il nuovo contratto unico a tutele crescenti. E quest’ultimo dev’essere ben definito: non basta sospendere per tre anni l’articolo 18, occorre che per un periodo abbastanza lungo vada crescendo gradualmente l’onere economico che l’impresa deve sopportare per licenziare un lavoratore sul quale, così, avrà anche crescente incentivo a investire in formazione e aumento di responsabilità. Se l’Europa è riuscita, negli anni scorsi, a farci tagliare un deficit catastrofico, permettendoci di pagare tassi molto più bassi, perché non accettare il suo stimolo a far passare una legge che è già in Parlamento?
franco.bruni@unibocconi.it
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