IL FLOP DEGLI INCENTIVI PER L’OCCUPAZIONE E IL RUOLO DEI CONSULENTI DEL LAVORO

NON È CERTO COLPA DEI LIBERI PROFESSIONISTI SE LA COMPLESSITÀ DELLE NORME SUL LAVORO RENDE INDISPENSABILE LA LORO OPERA, CON I COSTI PER LE IMPRESE CHE QUESTO COMPORTA

Lettera pervenuta il 29 agosto 2014 – L’intervista a cui la lettera si riferisce è comparsa sul sito repubblicadeglistagisti.it il 3 luglio 2014.

 

Caro professore,
sono una consulente del lavoro orgogliosa del proprio lavoro. Quindi colpita negativamente da quanto ho letto nella sua intervista al sito repubblicadeglistagisti.it sulle cause dell’insuccesso del “bonus giovani” per il triennio 2013-2015. Alla domanda “Che cosa non ha funzionato nel provvedimento adottato dal Governo Letta?” lei risponde: “I costi di transazione. Perché un incentivo funzioni bene occorre che gli operatori possano averne una notizia chiara in modo facile e diretto. Se, invece, per capire di che cosa si tratta è necessario il consulente, una parte dell’incentivo si perde per remunerare il consulente; e tutti coloro che non si avvalgono di un consulente non entrano nel gioco.” E poi, alla domanda sulla condizione sia necessaria perché gli incentivi funzionino, ribadisce: “[alla condizione] che tutto questo sia previsto in modo semplice e stabile nel tempo. Cioè con costi di transazione bassi o nulli, in modo che tutti i milioni di imprenditori grandi e piccoli possano avere l’informazione necessaria semplicemente leggendo il giornale, e usufruirne senza il ‘filtro’ necessario dei consulenti”. In questo modo Lei dipinge quello dei consulenti del lavoro come un ruolo sostanzialmente parassitario e nocivo per il funzionamento del sistema economico. Il nostro ruolo, invece, è quello di facilitare la conoscenza dei testi legislativi e i rapporti tra gli imprenditori e le amministrazioni pubbliche competenti in materia di lavoro. Non pensa di aver espresso un giudizio ingeneroso nei nostri confronti?
L.C.

Sono veramente dispiaciuto che i due passaggi della mia intervista citati in questo messaggio si siano prestati a essere letti come una svalutazione del ruolo dei consulenti del lavoro. Preciso, innanzitutto, che in quei due passaggi ho usato il termine “consulenti” in modo del tutto generico, per indicare tutti i professionisti che si occupano di assistere le imprese negli adempimenti relativi ai rapporti di lavoro: non soltanto i “consulenti del lavoro” intesi in senso stretto, dunque, ma anche gli avvocati giuslavoristi, i commercialisti, i tributaristi, i funzionari delle associazioni imprenditoriali. Ma, soprattutto, in quei due passaggi non ho inteso certamente svalutare il ruolo di questi professionisti, che è reso prezioso e in molti casi assolutamente indispensabile proprio dalla complessità e illeggibilità della normativa vigente in materia di lavoro. Ho inteso soltanto osservare che se questa normativa fosse più semplice e immediatamente comprensibile da parte di chi deve applicarla sarebbe meno necessaria la consulenza del professionista, con conseguente riduzione dei costi di transazione e, in particolare, dei costi di gestione dei rapporti di lavoro. I consulenti esistono in tutto il mondo civile, e costituiscono parte essenziale del tessuto produttivo, per lo più proprio come facilitatori del rapporto tra operatori e amministrazioni pubbliche; ma in pochi Paesi il loro ruolo è esteso come lo è nel nostro, a causa della complessità della nostra normativa, nella materia di lavoro come in quella fiscale, nonché della rapidità con cui essa cambia di continuo. Nessuna svalutazione del ruolo importantissimo dei consulenti del lavoro, dunque, bensì soltanto l’auspicio che la semplificazione della normativa in materia di lavoro consenta ai piccoli e medi imprenditori (e – perché no? – anche ai grandi, soprattutto stranieri e interessati a investire in casa nostra) di conoscerne il contenuto e le novità più facilmente e con minori costi.   (p.i.)

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