NEROZZI: DISCUTIAMO DEL CONTRATTO UNICO

E’ TEMPO DI AFFRONTARE DUE NODI FONDAMENTALI: L’INNOVAZIONE INDUSTRIALE E LA RISTRUTTURAZIONE DI UN MONDO DEL LAVORO DESTRUTTURATO ED INEGUALE

Articolo di Paolo Nerozzi,
Il Riformista, 1° maggio 2009

Il professor Tito Boeri, con la consueta lucidità che lo contraddistingue, ha affrontato sulle pagine di “Repubblica” – da un punto di vista scarsamente affrontato dai consueti osservatori – gli avvenimenti che hanno contribuito a determinare le recenti fratture sindacali, individuando nel nodo della “bilateralità” la principale ragione di scontro.
Affrontando un tema che prescinde dalla consueta rappresentazione tra radicalità e moderatismo, e anche tra una concezione più innovativa o più conservativa, punta il dito, invece – per comprendere le ragioni della rottura – su una “visione diversa” sia del ruolo della contrattazione, sia della funzione stessa del sindacato.
Una frattura che nasce principalmente sul concetto di bilateralità, sostenuto fortemente dal ministro Maurizio Sacconi, nell’idea di mettere in campo una “complicità” tra le parti sociali che superi sia il confronto che la concertazione e lo stesso conflitto. Avviando così una prassi che attribuisce alle parti sociali funzioni oggi esercitate – nel nostro Paese ed anche in gran parte del resto del mondo – dallo
Stato; mutando, in tal modo, sostanzialmente la natura del ruolo del sindacato, così come lo abbiamo conosciuto finora, e relegandolo profondamente nei meccanismi di gestione del welfare non in forma integrativa, bensì sostitutiva degli organi statati, e infine offrendo – cito il professor Boeri – non solo occasione di gestione, ma anche di potere e di risorse.
Questo è un punto, a mio avviso, non irrilevante della discussione in corso e dell’attuale crisi delle relazioni tra le parti sociali. E credo che sia particolarmente utile che uno studioso, non certo sempre tenero con la Cgil, affronti questo tema. Credo che siamo in presenza di un disegno politico che, anche a partire dalla bilateralità, punti a costruire un blocco sociale di riferimento del centrodestra.
Chi come me pensa che un sindacato autonomo e a volte conflittuale sia un bene per la democrazia e per lo sviluppo nel nostro Paese – come la storia ultracentenaria del sindacato confederale dimostra – crede che si debba affrontare con rapidità e determinazione due questioni di fondo: il tema dell’innovazione industriale – che prima i processi di globalizzazione e oggi la crisi economica ci rappresentano – e dell’individuazione di politiche capaci di tenere insieme un mondo del lavoro particolarmente destrutturato e ineguale, non solo tra garantiti e non garantiti, ma anche profondamente tra i cosiddetti lavoratori tradizionali.
Penso ad alcune categorie – dagli addetti ai servizi alla persona alle cooperative di pulizia e tanti altri – che se anche inseriti in strutture tradizionali non hanno la forza di vedere riconosciuti i loro diritti. Per questi lavoratori è ormai indispensabile pensare a strumenti, quali per esempio esempio il salario minimo, capaci di sostenere almeno un livello minimo di garanzia. E, più in generale, dobbiamo guardare con attenzione a quelle proposte sul “contratto unico” – elaborate anche dallo stesso Boeri – che in un quadro di progressivo allargamento dei diritti, e non di contrazione, offra la possibilità di ricostruire un’unità del mondo del lavoro. Tutti temi che, purtroppo, non hanno trovato riscontro nella piattaforma di riforma del sistema di contrattazione così come non ha trovato un adeguato riconoscimento
la contrattazione territoriale e di filiera, indispensabile per dare una risposta al lavoro diffuso nella
piccola e media impresa. In questo quadro il tema della democrazia sindacale, da anni irrisolto se non per la Pubblica amministrazione grazie al lavoro di Massimo D’Antona sulla rappresentanza, aveva trovato spazio nell’accordo unitario di riforma del sistema di contrattazione e sarebbe bene che questo tema acquisisse una centralità che oggi non ha.
In un Paese dove le forme della democrazia sono in continua mutazione, dare certezza al mondo del lavoro e avere strumenti per la validazione dei contratti è tema che non riguarda solo i sindacati ma interroga altresì l’intero sistema politico. È arrivato, a mio avviso, il tempo di misurare il grado di riformismo tra radicalità e conservazione, tornando ad occuparsi del merito delle questioni.

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