COME SI CONCILIA LA PROTEZIONE DEGLI OMOSESSUALI CONTRO LA DISCRIMINAZIONE E LA GARANZIA DELLA POSSIBILITÀ PER LE ORGANIZZAZIONI RELIGIOSE DI SELEZIONARE IL PROPRIO PERSONALE SECONDO I PROPRI PRINCIPI?
Lettere pervenute a seguito della pubblicazione del mio intervento Le difficili scelte per la libertà e l’uguaglianza, 27 luglio 2014
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CONTRO IL D.D.L. SCALFAROTTO MIRATO ALLA PREVENZIONE DELL’OMOFOBIA
Buongiorno professor Ichino,
sono un assiduo lettore della Sua newsletter (e non solo) e desidero innanzi tutto ringraziarLa per quanto sta facendo a favore di noi italiani in tema di riforma del nostro complicatissimo ed obsoleto diritto del lavoro. Ma non è di questo che desidero parlarLe quanto della Sua frase che riporto qui sotto:
“ . . . l’affermazione secondo cui l’esercizio dell’omosessualità costituisce un male, un comportamento immorale, ‘contro natura’. L’opinione di moltissimi italiani, tra i quali chi scrive, e probabilmente anche di Papa Francesco, è che questa affermazione sia sbagliata e contraria allo spirito del Vangelo… “
Ovviamente non mi permetto di criticare la Sua opinione e neppure la Sua ipotesi che essa sia condivisa da Papa Francesco, ma semplicemente di ricordarLe che più probabilmente – a mio avviso – Papa Francesco e altrettanti moltissimi italiani condividono quanto recita il Catechismo della Chiesa Cattolica, del quale Le riporto i seguenti paragrafi, dedicati a questo tema:
Castità e omosessualità
2357 L’omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un’attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che « gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati ». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.
2359 Le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Attraverso le virtù della padronanza di sé, educatrici della libertà interiore, mediante il sostegno, talvolta, di un’amicizia disinteressata, con la preghiera e la grazia sacramentale, possono e devono, gradatamente e risolutamente, avvicinarsi alla perfezione cristiana.
Da Suo elettore al Senato nella circoscrizione Lombardia desidero quindi di invitarLa a riflettere sul voto che in futuro Le sarà chiesto riguardo al d.d.l. Scalfarotto, che – se approvato nella formulazione attuale – demanderà alla Magistratura se giudicare omofobo e sanzionare penalmente anche la riproposizione pubblica dei punti del Catechismo sopra citati.
La ringrazio molto per l’attenzione dedicatami arrivando fin qui nella lettura e Le porgo i migliori saluti.
Giuseppe Crippa – Monza
LA MIA RISPOSTA
La questione affrontata nel mio intervento sul Corriere di domenica non riguarda affatto la libertà della Chiesa cattolica di predicare i tre paragrafi sopra citati del proprio Catechismo, che è del tutto pacifica e non è insidiata dal disegno di legge Scalfarotto n. 1052/2013 (v. infra; da aspirante cristiano mi limito a dubitare fortemente della nozione di “legge naturale” cui quel Catechismo fa riferimento). La questione discussa riguarda invece la libertà di una scuola cattolica – o ebrea, o musulmana – di selezionare i propri insegnanti secondo il criterio della conformità del loro comportamento a quei precetti, in un ordinamento nel quale vige un divieto generale di discriminazione delle persone in relazione al loro orientamento sessuale. In quell’intervento mi sono proposto di esporre gli argomenti principali a sostegno della tesi favorevole e di quella contraria all’applicabilità di questo divieto di discriminazione anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze della scuola religiosa, evidenziando la difficoltà e marcata opinabilità della soluzione del problema. Sarebbe interessante conoscere la risposta a questo interrogativo sostenuta dall’Autore di questa lettera. Quanto al disegno di legge Scalfarotto n. 1052/2013, approvato in prima lettura dalla Camera nel settembre scorso e ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato, esso si propone di prevenire le manifestazioni di omofobia, ma stabilisce esplicitamente che «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi […] se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Non mi sembra, dunque, che da una legge così formulata possa derivare alcun rischio di inibizione della predicazione dei tre paragrafi del Catechismo della Chiesa Cattolica sopra citati. Mi lascia assai perplesso, semmai, l’idea che la legittimità di una manifestazione di pensiero o di una condotta personale possa essere condizionata al suo collocarsi “all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto”: eliminerei senz’altro questa limitazione, conservando soltanto il divieto penalmente sanzionato dell'”istigazione all’odio e alla violenza”. Perché istituire un reato specifico di istigazione all’odio e alla violenza contro omosessuali e transessuali? Immagino – pur non avendo alcuna competenza in materia – che la risposta a questo interrogativo stia nel fatto che le manifestazioni di odio e violenza contro questi due insiemi di persone assumono una loro tipicità sociale, verificandosi con frequenza particolare. (p.i.)
LA REPLICA
Gentilissimo prof. Ichino, mai mi sarei aspettato la pubblicazione della mia lettera sul Suo sito e meno ancora che Lei consideri interessante quanto io pensi circa l’applicabilità del divieto di discriminazione anche nei rapporti di lavoro alle dipendenze della scuola religiosa! La ringrazio ancora e provo quindi ad esprimere sinteticamente la mia opinione: Ritengo che le ragioni della scuola debbano prevalere su quelle del dipendente. Se infatti il Catechismo della Chiesa Cattolica dice “A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”, la Congregazione per la Dottrina della Fede nel documento dal titolo “Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali’ edito nel 1992, precisa: ”Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori …”.
Mi consenta infine un’osservazione a quanto Lei scrive sul d.d.l. Scalfarotto: Il paragrafo citato, introdotto alla Camera con un emendamento molto avversato da parte del relatore, sembra consentire l’impunità a chi leggesse i sopra citati paragrafi del Catechismo all’interno delle strutture ecclesiali ma non in spazi pubblici. Quindi il semplice leggere questi paragrafi in una pubblica piazza potrebbe essere considerato reato se il Senato approvasse questo disegno di legge. Se Lei votasse questa legge nel testo attuale mi sentirei un elettore molto deluso. […]
Giuseppe Crippa
P.S. Nel Suo commento Lei si autodefinisce “aspirante cristiano”. A mio avviso la Sua sequela dell’insegnamento di Cristo è molto più radicale e coerente della mia che pure mi autodefinisco anche cattolico, termine che Lei evita di attribuirsi. Guardi però che la differenza tra cristianesimo e cattolicesimo è la stessa che c’è tra avarizia e politica. Don Milani in “Lettera ad una professoressa” scrisse: “Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia.”
Concordo sulla necessità di sopprimere, nell’art. 2 del disegno di legge n. 1052/2013, le parole “[…] se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”: mi impegno a presentare un emendamento in questo senso, quando si avvierà la discussione di questo provvedimento. Qualche perplessità sulla qualificazione della mia aspirazione al cristianesimo in termini di “avarizia” sulla scorta del noto (e bellissimo) detto milaniano. p.i.
PER L’ASSOLUTA INDEROGABILITÀ DELLA TUTELA DELLA LIBERTÀ SESSUALE DEL LAVORATORE
Caro Pietro,
Il caso della discriminazione motivata dall’orientamento sessuale non va assimilato a quello della discriminazione sulla base delle opinioni (legittimità dell’esclusione della Binetti dall’associazione Coscioni – che peraltro immagino sarebbe invece ben lieta di ricevere una doviziosa quota di associazione anche dalla stessa Binetti). Un’opinione è la manifestazione di una scelta culturale individuale e volontaria (tanto volontaria quanto la libertà umana, pur condizionabile, possa esserlo); l’orientamento sessuale no. Quest’ultimo va semmai assimilato alla discriminazione razziale, dato che le caratteristiche esteriori comunemente e sia pure erroneamente associate al concetto di “razza” non sono oggetto di libera scelta, esattamente come non lo è l’orientamento sessuale. Per secoli milioni di omosessuali hanno maledetto la loro sorte, senza poter cambiare orientamento sessuale anche quando lo desideravano con tutte le loro forze, neppure in società così compattamente omofobe che gli omosessuali stessi erano compartecipi dell’universale cultura omofoba. Il fatto è che caratteristiche fisiche, sesso e orientamento sessuale sono tutti, allo stesso titolo, parte dell’identità ascritta di un individuo. Fra gli studiosi dell’argomento non esiste più discussione seria in materia, e questo comincia anche ad essere accettato dalla stessa gerarchia cattolica, che pure – e contraddittoriamente – continua a ritenere la discriminazione legittima e in certi casi doverosa (esattamente come, ancora alla fine degli anni ’40 del Novecento, riteneva illegittima la persecuzione, ma doverosa la discriminazione giuridica degli ebrei). Mi pare quindi impossibile definire “ideologia statale” il divieto di discriminazione, che è semplice conseguenza del principio costituzionale di uguaglianza formale e di pari dignità sociale degli individui. O meglio, si tratta di “ideologia statale”, condivisa ormai da tutte le democrazie occidentali, tanto quanto lo è il divieto di discriminazione razziale. Nessun finanziamento o sostegno pubblico, quindi, a chi discrimina gli individui sulla base della loro identità ascritta. A meno che non si ritenga che anche una scuola di orientamento ideologico esplicitamente razzista non possa legittimamente discriminare neri o magari ebrei e fruire di finanziamenti pubblici. (Altro e più delicato problema è quello, più ampio, relativo alla legittimità, da un punto di vista liberale, dell’imposizione di un indottrinamento ideologico o religioso unilaterale alla prole come parte integrante della potestà genitoriale, soprattutto se imposta a minori adolescenti, “capaci di formarsi una propria opinione” secondo la formula della convenzione di New York sui diritti dei minori del 1989. Da un punto di vista liberale il problema della scuola di tendenza è grave e rilevante, perché l’individuo direttamente interessato non è libero di effettuare alcuna scelta personalmente, e il potere in capo a chi esercita su di lui la potestà non può essere assoluto anziché sottoposto a ragionevoli freni e contrappesi. Oggi il problema può sembrare irrilevante o di mero principio se riferito alle scuole cattoliche o protestanti, ma si manifesterà in tutta la sua evidenza quando genitori fondamentalisti pretenderanno scuole fondamentaliste islamiche per impedire l’integrazione dei propri figli nelle nostre società liberali e dissolute. Solo questione di – poco – tempo).
Giulio Ercolessi – Trieste
Il problema nasce dal fatto che, come ho rilevato nel mio intervento sul Corrieredi domenica, il nostro ordinamento vieta esplicitamente, sotto sanzione penale, la promozione di una cultura razzista, mentre – secondo l’opinione largamente dominante e l’intendimento del disegno di legge Scalfarotto n. 1052/2013: v. la risposta alla lettera precedente – non vieta di affermare i principi e precetti contenuti nei §§ 2357-2359 del Catechismo cattolico. Se dunque la Chiesa è libera di affermare quei principi e precetti, occorre riconoscerle anche la libertà di costituire associazioni e scuole per mezzo delle quali promuovere la diffusione della cultura che li fa propri. L’Autore di questa lettera risolve il problema affermando che lo Stato dovrebbe inibire le scuole religiose, per proteggere le persone da un indottrinamento religioso in età in cui esse non avrebbero la capacità di valutazione matura di ciò che viene loro insegnato; senonché questa posizione (minoritaria anche negli stessi ambienti del liberalismo) non è fatta propria dell’ordinamento italiano. Quand’anche, poi, l’ordinamento la facesse propria, la questione di cui qui si discute si riproporrebbe comunque in riferimento ai rapporti di lavoro facenti capo direttamente alla Chiesa (diocesi, parrocchie, ecc.), o ad associazioni religiose. Anche qui sarebbe interessante conoscere la soluzione del problema proposta dall’Autore di questa lettera, al di là della questione relativa alle scuole private. (p.i.)