SE IL PARTITO DEMOCRATICO VIENE MENO ALL’IMPEGNO RIPETUTAMENTE ASSUNTO PER IL CODICE SEMPLIFICATO DEL LAVORO E IL CONTRATTO A PROTEZIONE CRESCENTE, ESSO PERDERÀ GRAN PARTE DEI NUOVI CONSENSI E L’ITALIA PERDERÀ GRAN PARTEDEL POTERE CONTRATTUALE ACQUISITO ULTIMAMENTE IN EUROPA
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 29 giugno 2014
Cari amici e colleghi democratici, entro il mese di luglio il PD è chiamato a mantenere in Parlamento una promessa ripetuta ben cinque volte dall’inizio di quest’anno: quella dell’emanazione di un Codice semplificato del lavoro centrato su di un contratto a tempo indeterminato “a protezione crescente”, cioè caratterizzato da una stabilità minima nella fase iniziale, destinata ad aumentare gradualmente con l’anzianità di servizio della persona interessata.
Il primo impegno in questo senso è contenuto nella ENews dell’8 gennaio scorso con la quale Matteo Renzi, appena eletto segretario del PD, annuncia i contenuti essenziali del suo Jobs Act: al primo posto la “presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero”, con la previsione del “contratto a protezione crescente”. Questo impegno viene ribadito da Enrico Letta, in qualità di presidente del Consiglio, un mese dopo, il 12 febbraio, con il documento programmatico Impegno Italia 2014, dove, sotto il titolo del secondo capitolo “Adottare il Codice del lavoro semplificato”, si legge “Il diritto del lavoro è attualmente troppo complesso e scarsamente accessibile, anche e soprattutto per gli operatori stranieri che vogliono investire in Italia. Ci impegniamo a […] raccogliere e riordinare in un testo unico breve e facilmente comprensibile la disciplina del lavoro”. Lo stesso impegno compare ancora – ed è la terza volta – nella settima slide presentata un mese dopo da Matteo Renzi, neo-premier, nella famosa conferenza-stampa del 12 marzo. La quarta conferma viene il 5 maggio dal PD, insieme a tutte le altre componenti della maggioranza, in sede di discussione in Senato del decreto-Poletti sul contratto a termine; in quella sede, avendo io presentato un emendamento aggiuntivo, mirato a inserire nel decreto anche il “contratto a protezione crescente”, il ministro mi chiede di ritirare l’emendamento per collocare questa materia nella legge-delega, il cui esame incomincerà di lì a pochi giorni; accolgo la richiesta a fronte di un impegno in questo senso di tutta la maggioranza, consacrato in una “premessa” che viene inserita con un emendamento del Governo: essa annuncia l’“emanazione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, con la previsione sperimentale del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a protezione crescente, salva l’attuale articolazione delle tipologie dei contratti di lavoro”. Quest’ultimo inciso sta a significare che il contratto a protezione crescente non è né un “contratto unico” destinato a sostituire tutti gli altri tipi contrattuali, né un tipo di contratto aggiuntivo rispetto a quelli oggi esistenti: esso non è altro che il contratto ordinario a tempo indeterminato disciplinato in modo nuovo, per tener conto del nuovo contesto economico e anche della nuova disciplina del contratto a termine recata dal decreto Poletti.
Questo stesso preciso impegno viene infine confermato dal PD insieme a tutte le altre componenti della maggioranza alla Camera, in sede di approvazione definitiva del decreto Poletti in terza lettura a metà maggio. Una settimana dopo il PD stravince le elezioni europee con il 40 per cento dei voti: gli italiani colgono il significato straordinario della svolta in corso nel partito guidato da Renzi, e scommettono su di essa.
Si arriva così all’esame in prima lettura in Senato del disegno di legge-delega sul lavoro, che costituisce il luogo di adempimento di quell’impegno. Presento un emendamento che ripropone testualmente, come oggetto della delega legislativa al Governo, quanto indicato nella “premessa” del decreto Poletti. Senza questo emendamento, la delega legislativa non consentirebbe al Governo di adempiere l’impegno, tante volte rinnovato, di emanare il testo unico semplificato, cioè una riscrittura integrale della legislazione sul lavoro (la formulazione che compare nel disegno di legge – “riordino delle forme contrattuali” – non ha certamente questo significato). L’emendamento viene sottoscritto da tutte le componenti della maggioranza, ma non dal PD: alcuni dei suoi dirigenti di vertice affermano ora che la riforma non potrà toccare né la disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato né, in particolare, lo Statuto dei lavoratori, vecchio ormai di 44 anni. L’impegno per il Codice semplificato e il contratto di lavoro a protezione crescente è improvvisamente svanito nel nulla?
Se il PD nei giorni prossimi verrà meno a questo impegno, non soltanto esso perderà gran parte dei nuovi consensi conquistati il 25 maggio, ma farà perdere all’Italia gran parte del nuovo potere contrattuale acquisito negli ultimi mesi in Europa anche sulla base della promessa di una incisiva riforma del lavoro. Per questo vi scongiuro, amici e colleghi democratici: evitate alla politica italiana questa ricaduta nella vecchia inconcludenza; e al Paese la nuova umiliazione che ne conseguirebbe.