IL PROGETTO “SOSTEGNO ALL’INCLUSIONE ATTIVA”, CHE PREVEDE UNA SORTA DI REDDITO MINIMO CONDIZIONATO ALL’ATTIVAZIONE DEL BENEFICIARIO SUL MERCATO DEL LAVORO, COSTITUISCE IL MODO MIGLIORE IN CUI L’ITALIA PUÒ RISPONDERE ALLA RACCOMANDAZIONE UE PER LA LOTTA CONTRO LE SITUAZIONI DI INDIGENZA
Intervento dell’ex-ministro del Lavoro Enrico Giovannini, pubblicato sul Corriere della Sera del 4 giugno 2014
Caro Direttore, una delle raccomandazioni della Commissione europea pubblicata il 2 giugno riguarda uno dei principali problemi che l’Italia deve affrontare: la povertà. È un tema complesso, che richiede un insieme di strumenti, su cui, però, sembra essere calata l’attenzione. Ricordo, a tale proposito, che in Italia si contano circa 5 milioni di poveri assoluti, cioè persone che non riescono ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi, e di questi un milione sono minori. In generale, la povertà colpisce maggiormente famiglie numerose e famiglie residenti nel Mezzogiorno. Ricordo, poi, che l’Italia e la Grecia sono i soli Paesi nell’Europa a 15 a non disporre di uno strumento generalizzato di lotta alla povertà.
La Commissione, che l’anno scorso aveva fortemente raccomandato l’avvio di un programma contro la povertà (specialmente per le famiglie numerose), sottolinea come un fatto molto positivo l’avvio della sperimentazione nei grandi comuni metropolitani della «carta di inclusione sociale». Inoltre, la Commissione raccomanda di allargare la sperimentazione a tutto il territorio nazionale, auspicando che lo strumento sia capace di identificare correttamente la popolazione target , sia basato sulla condizionalità e sia associato all’attivazione delle persone sul mercato del lavoro. Se la sperimentazione, avviata dal governo Letta, prevedeva inizialmente un impegno finanziario di 50 milioni, con il «decreto lavoro» di giugno 2013 furono stanziati ulteriori 168 milioni per l’ampliamento della sperimentazione a tutti i comuni del Mezzogiorno, mentre ulteriori 300 milioni furono stanziati a fine anno per il medesimo scopo. Infine, nella legge di stabilità erano stati stanziati ulteriori 40 milioni l’anno per un triennio, per allargare la sperimentazione a tutto il territorio nazionale (http://www.lavoro.gov.it/AreaComunicazione/comunicati/Documents/Governo%20Letta_con_firma.pdf).
In questo modo, per il 2014 si dispone di un potenziale di intervento pari a circa mezzo miliardo di euro, una cifra mai destinata a tale scopo. Queste risorse vanno utilizzate al più presto, facendo evolvere la «carta di inclusione sociale» verso il «Sostegno all’Inclusione Attiva (Sia)», disegnato nel 2013 con l’aiuto dei migliori esperti italiani sul tema. Si tratta di una sorta di reddito minimo, condizionato all’attivazione sul mercato del lavoro da parte del soggetto beneficiario, alla presa in carico della famiglia «povera», così da assicurare la frequenza scolastica dei minori e l’assistenza sanitaria.
Gli elementi di condizionalità, accuratezza nell’individuazione dei beneficiari, controllo dell’effettiva condizione di povertà richiamati dalla Commissione sono pienamente incorporati nello schema del Sia. Se, dunque, l’Italia vuole rispondere alla raccomandazione europea ha a disposizione lo strumento per farlo e per alleviare la condizione di milioni di persone, contrastando l’insicurezza che ormai colpisce una parte consistente della popolazione. Peraltro, la questione dell’introduzione di un reddito minimo è stata già dibattuta a livello europeo ed è parte dell’agenda politica di numerosi partiti. Quello della lotta alla povertà può essere, quindi, il terreno per un reale cambiamento delle politiche sociali, nazionali ed europee.
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